Un volto letterario dell'isteria: “La Principessa” di D.H. Lawrence
La nevrosi femminile per eccellenza si chiama "isteria": ripresa e valorizzata grazie alla “talking cure” da Sigmund Freud alla fine dell'Ottocento, essa la ritroviamo in tutte le epoche storiche, al di là dei suoi travestimenti e dell'ampia gamma di manifestazioni esteriori che può assumere.
Il nucleo patogeno ha sempre a che vedere con una difficoltà nell’assunzione della sessualità, ossia con una rimozione di impulsi sessuali che può essere totale o parziale e che può intervenire anche dopo un periodo di "funzionamento" sessuale "normale" se non addirittura "disinibito".
L'isteria cioè non risponde squisitamente ad un tabù imposto dalla società, le sue cause remote affondano in dinamiche intrapsichiche legate ai rapporti con le prime figure d'attaccamento, i genitori. Un complesso Edipico irrisolto, una delusione o una fissazione verso una figura maschile fortemente idealizzata (il padre) ed una rivendicazione astiosa nei confronti della madre, si trovano invariabilmente all'origine delle future difficoltà in campo amoroso e sessuale. Ciò rende conto del fatto che ne possano occasionalmente soffrire anche donne particolarmente libertine e dagli orizzonti aperti.
Allora l'isteria prende il sopravvento, secondo modalità singolari e diverse per ciascuna, sulla donna, figura"mitica" supposta riuscire a tenere insieme desiderio e godimento senza alcuna difficoltà. Per certi versi l'isteria si accompagna strutturalmente alla femminilità, la cui assunzione piena è per tutte un'invenzione soggettiva, non certo un semplice dato di natura nè un adeguamento conformistico ad un'immagine.
Certo, il tipo più conosciuto e più "classico" è affetto da un'inibizione pressoché totale della corrente libidica, che fa irruzione prepotentemente sotto forma di "sintomi isterici", segno di un conflitto e di un ritorno del "rimosso". La divisione fra "Io" ed "Es", fra razionalità e pulsionalità inconscia è massima, portando ad estremi di freddezza ed avversione sessuale ai limiti della distruttività e del dramma.
La Principessa
La "Principessa" di D.H. Lawrence è un buon esempio di cosa sia un'isteria "allo stato puro", refrattaria ad alcuna mitigazione possibile. La storia è interessante perché ci mostra, tramite una ricostruzione letteraria e non clinica, le origini della nevrosi e gli esiti fatali di mortificazione a cui può portare nella relazione uomo-donna. La vicenda sfocia in una vera e propria tragedia, che va intesa come una metafora della morte del desiderio del soggetto e del partner a cui il rifiuto isterico, portato avanti con spietatezza, può condurre. Non si tratta dunque di semplice insensibilità sessuale, essa ha delle ripercussioni nel rapporto fra i sessi, che si può deteriorare fino alla follia.
Siamo negli anni trenta, Lawrence scrive il racconto durante un soggiorno nel Nuovo Messico, dove ambienta la vicenda, ispirandosi ad un personaggio femminile incontrato realmente. Di questa donna lo scrittore aveva intuito un tratto: la pretesa di sentirsi superiore alle esigenze del sesso, superiorità smentita da un eccitamento che poteva prendere forma solo in maniera sublimatoria, all'interno di un'amicizia adorante, senza sesso.
La protagonista, Mary Henrietta (sempre chiamata nel racconto con il nome di "Principessa"), è una giovane donna che non viene toccata dalla vita e dalle passioni fino alla morte del padre, avvenuta al suo trentottesimo anno di età. Vive con lui un rapporto simbiotico, a seguito della precoce scomparsa della madre. Si coglie un innamoramento platonico ricambiato verso questa figura, che fissa l'irresoluzione e l'impossibilità di uscita dall'Edipo. L'Edipo si realizza di fatto, la madre muore e padre e figlia formano una coppia indissolubile "papà ed io siamo una vecchia coppia, una così vecchia coppia maniaca, e viviamo in un mondo tutto nostro e speciale".
La giovane ha modi da adulta ma per quanto si mostri saggia ed esperta resta sul piano intrapsichico profondamente infantile. Lo scrittore afferma lapidariamente: "Era colpa di suo padre". E argomenta il perché con esattezza. Il padre la chiama sempre "Principessa", mai per nome, e le rivela di sentirsi lui stesso un Principe, superiore agli altri, così volgari! La esorta a non rivelare a nessuno il loro segreto "È il nostro grande segreto cara, io sono un principe e tu una principessa" , e di non curarsi mai di ciò che pensano o dicono gli altri, data la sua superiorità. La spinge ad essere cortese superficialmente ma a tenere a mente che lei è una principessa mentre gli altri sono solo dei meschini plebei. "Qualcosa si cristallizzò in lei fin da piccina, rendendola limpida e perfetta, e impenetrabile come cristallo".
Mary Enrietta crescendo diventa sempre più bella, ma la sua è una "bellezza senza sesso", fredda, un cristallo incorrotto appunto. Gli anni passano e lei resta "intatta", a quasi quarant'anni ne dimostra venticinque. Non ha nessun interesse sessuale verso gli uomini, che disprezza e nei quali ingenera un misto di attrazione e di odio per la sua "insopportabile impertinenza di fiore presuntuoso".
Alla morte del padre si trova del tutto spiazzata. Improvvisamente fuori dalla sua "serra" si confronta con un vuoto, sente per la prima volta l'esigenza di fare qualcosa. Ma non è a suo agio, aveva sempre pensato che fare qualcosa fosse appannaggio del volgo. Pensa al matrimonio come pura possibilità di sistemazione, perché gli uomini continuano a non interessarle affatto sul piano sessuale. Sembra cercare un sostituto del padre, con cui continuare un rapporto all'insegna della desessualizzazione.
Durante un viaggio nel Nuovo Messico con un'amica incontra un certo Domingo Romero, una guida del luogo, ed è l'unico uomo che eccita la sua curiosità per via di una "scintilla" nello sguardo che lo rende "diverso" dalla massa degli uomini.
Si potrebbe pensare che la Principessa trovi l'amore e vi si abbandoni, pur faticosamente. Ma il suo rifiuto della sessualità è così radicale da rendere l'incontro pressoché impossibile. È l'incontro con il maschio, con la sensualità autenticamente mascolina, matura e selvatica a sbalestrala. Lei non può che sublimare, tentare di ricondurre il tutto sui binari del modello paterno, uomo belloccio ma "asessuato", sognante, infantile.
Non riesce a cogliere la possibilità data dall'incontro d'amore, dalla fusione di desiderio amoroso e godimento sessuale: Romero infatti, oltre che emanare una schietta pulsionalità, mostra anche una "benevolenza di maschio" che non aveva mai incontrato prima. "Dal cuore di Romero si sprigionava un oscuro raggio di soccorso, di sostegno" . Tra i due cresce una "silenziosa intimità", un "intimo riconoscimento" che però non è assumibile dalla "personalità" della Principessa, ossia dalla prigione narcisistica del suo Ego infantile che rigidamente mantiene il controllo.
Durante una gita in montagna i due restano accidentalmente da soli e si ritrovano a condividere una fredda notte dentro un rifugio. Qui il conflitto fra "Io" ed "Es" scoppia in tutta la sua potenza, ma purtroppo non arriva ad una risoluzione positiva, dando inizio al dramma. "Aveva bisogno di calore, di protezione, di essere sottratta a se stessa. E nello stesso tempo, più profondo di tutto, un bisogno di conservarsi intatta, indeflorata, indipendente, libera da ogni influenza e diritto altrui". Cede al rapporto sessuale spinta dall' inconscio richiamo del calore ("egli aveva un potere su di lei, su qualche parte ignorata di lei che essa non avrebbe voluto conoscere") ma vi si sottomette senza partecipazione di nessun genere, nemmeno emotiva. "Non lo aveva desiderato, aveva deciso che accadesse. Sospirò di sollievo quando fu finito".
Il rifiuto vince così il conflitto, lo azzera sintomaticamente. Tornando in possesso di tutta se stessa, del suo Io, del suo spirito "duro e intatto come un diamante" mortifica l'uomo, vibrante di desiderio e di tenerezza, dicendogli di non aver minimamente gradito il rapporto, di non volerne altri e di voler tornare a casa. "Un vuoto stupore invase, a quelle parole, il volto di lui, subito seguito da un nero sguardo di collera e poi di impietrita, sinistra disperazione".
Incapace di dominare la rabbia e la passione, Romero la costringe con la forza a restare con lui e ad avere altri rapporti. È l'inizio della tragedia, di una prigionia che si conclude con la morte dell'uomo, ucciso dopo aver sparato agli uomini accorsi a "salvare" la Principessa.
L'ostinazione di Romero, il dispiegarsi della sua follia passionale, indica simbolicamente il fallimento del rapporto fra i sessi, l'incomunicabilità fra uomo e donna. L'uomo, ferito nel suo orgoglio di maschio, scatena una furia di possesso anch'essa indicativa di una sintomaticità maschile. La sessualità maschile può esitare ossessivamente in violenza verso l'oggetto che sfugge al possesso così come quella femminile si ammala cristallizzandosi in rifiuto. Entrambi falliscono l'incontro per via dei reciproci sintomi, decretando la morte della fiamma vitale che avrebbe potuto unirli.
La Principessa sposerà un uomo "attempato" e sembrerà, agli occhi di tutti, soddisfatta e dimentica dell'accaduto. L'equilibrio si ristabilisce e il conflitto si ricompone nuovamente solo su base assolutamente sintomatica, attraverso il matrimonio asessuato con un uomo che nell'inconscio non rappresenta altro che il padre.