L'odio ossessivo
Il concetto di Altro barrato rende conto dell'impossibilità da parte dei simboli di trattare e ordinare pienamente il reale, di riassorbirne la scabrosità vitale ed enigmatica. Lo scarto, la faglia nel sistema dell'Altro è precisamente il desiderio, ovvero ciò che fa obiezione al pensiero, ciò che muove, che tocca e che origina da un'alterità sfuggente e ingovernabile. Ne deriva come correlativamente il desiderio del soggetto sia un'eccentricità interna a lui stesso, un'altra scena, un'obiezione alla volontà dell'Io in quanto espressione diretta dell'inconscio.
Nella nevrosi ossessiva prevale il tentativo di separare rigidamente il luogo dell'Altro da quello del desiderio, di dissociarli. L'ossessivo non sopporta che l'Altro sia intrinsecamente corroso dalla mancanza, che il padre (in quanto garante della legge) sia fallibile poiché contemporaneamente anche essere desiderante. Come trovare allora la garanzia, la sicurezza, la pace incorruttibile se l'Altro pieno, compatto, senza crepe alla fin fine non esiste? Risposta: cercando un modo per staccare la mancanza dall'essere. Sacrificando il desiderio, mortificandolo, distruggendolo. Attraverso un'opera sistematica di soffocamento del desiderio l'ossessivo ottiene il suo risultato: l'Altro finalmente esiste. Un Altro però morto, inaridito. Una vita condannata alla sorda infelicità.
Non a caso la sensazione di essere vivi è connessa inestricabilmente al desiderare. Solo rinunciando alla preservazione utilitaristica dell'essere può realizzarsi un'esistenza fedele al desiderio. Il che non significa vita facile, vita priva di scossoni, ma certamente vita intensamente abitata dall'amore e non dall'odio o dall'invidia. Il principio di interesse e quello soggettivo sono sempre in confitto, sono discordi. Ogni evento di desiderio implica per forza una rottura con l'amministrazione del bene e dell'utile, una perdita, un lasciar andare le certezze.
La nevrosi ossessiva comporta invece un attaccamento spasmodico ai principi morali: il Bene, il Giusto... Essi rappresentano una cementificazione dell'Altro incorrotto dalla castrazione, ideale, infallibile, senza macchie, sbandamenti, irregolarità. La necessità offre così una garanzia contro la contingenza. La vita assume le sembianze di un ordine regolare, immutabile come il funzionamento di un orologio. Le scelte in cui in gioco ci sarebbe un desiderio autentico vengono sintomaticamente procrastinate all'infinito, bloccate dal dubbio e dalla rimuginazione perenne.
L'ossessivo è un soggetto meticoloso, ordinato, pulito, impeccabile, rigoroso. Ma pieno di sintomi, che rappresentano proprio il ritorno della contingenza rifiutata. Il desiderio rimosso non dà pace, tormenta il pensiero, toglie il sonno, sconvolge proprio quella serenità, quell'oblio che con tanto accanimento voleva difendere. Un sibilo di kafkiana memoria impossibile da non udire, pur nella profondità della tana costruita ad arte per fuggire dal mondo.
Ma è in campo amoroso che la sua sintomaticità esplode con tutta la sua carica d'odio e di distruttività. L'ossessivo odia proprio chi ama. E più ama disperatamente più odia con veemenza. L'amore diventa praticabile solo se privo di desiderio, solo se tenero e un po' asessuato. Perché l'intensità sconvolgente del desiderio che introduce la mancanza è intollerabile, destabilizza, toglie il terreno da sotto i piedi. Ecco perché molti ossessivi umiliano, tendono a rendere dipendente ed insicura la loro donna. Tentano così di limitarne la libertà e dunque di attenuarne la carica destabilizzante data dal loro essere soggetti vivi, imprendibili, misteriosi nella loro diversità.
Le donne, in quanto incarnazioni del desiderio nel doppio versante genitivo oggettivo e genitivo soggettivo, sono fonte inesauribile d'angoscia.Non è infrequente la scelta di sposare una donna non amata passionalmente proprio per fronteggiare il caos introdotto dal contatto con il desiderio autentico. L'amante non riuscirà mai a sostituire la moglie proprio perché la sua posizione sarà funzionale al mantenimento dell'equilibrio ossessivo: legge da una parte, desiderio dall'altra.
Quale cura possibile? Innanzitutto essa può avere qualche margine di successo solo quando l'equilibrio si rompe, quando cioè il soggetto è aggredito dai sintomi e non ce la fa più. Chiede aiuto, domanda all'Altro. Il transfert però è subito all'insegna dell'odio, perché anche l'analista, con la sua imperscrutabilità, risveglia la mancanza. Se l'amore prevarrà sull'odio si potrà fare un lavoro, perché il soggetto sperimenterà finalmente l'aprirsi all'Altro, integrando via via la propria e altrui castrazione. Il luogo dell'Altro mancante potrà essere finalmente abitato.