Amore malato
Molte domande di aiuto che accogliamo in studio (formulate per lo più da donne) ruotano direttamente o indirettamente attorno alla questione di un “amore malato” (o "amore tossico"). Sono infatti principalmente le donne a patire per amore, sebbene non manchino casi in cui è lui a chiedere aiuto a causa delle vessazioni subite dalla partner.
Caratteristiche dell’amore malato
Per “amore malato” intendiamo una varietà di situazioni, che hanno in comune fra di loro l’elemento della conflittualità e della mancanza di rispetto all’interno della coppia.
Oltre all’assenza di un clima stabilmente sereno, dato da uno stato di guerra continuo o intermittente, uno dei due partner si trova in una posizione di subordinazione rispetto all’altro. Il conflitto infatti non si esprime secondo modalità dialettiche e paritarie.
Non sono i toni accesi o le discussioni a costituire il cuore di un amore malato, bensì il lavoro di sistematica distruzione operata da un soggetto sull’altro, ridotto a non avere più diritto di parola, libertà d’espressione e di azione.
Il tutto camuffato da sembianze di storia passionale, di amore struggente e unico al mondo. La vittima crede inizialmente di trovarsi all’interno di una storia eccezionale, esaltata dalle attenzioni fuori misura del compagno e dal ruolo di salvatore di un’anima triste e bisognosa di aiuto. Per poi rendersi dolorosamente conto di “contare” solo nella misura in cui dispensa cure e asseconda i cambiamenti d’umore e i capricci dell’altro.
Amore a senso unico
“Amore malato” è sempre sinonimo di “amore a senso unico”. I ruoli non sono interscambiabili ma irrigiditi nella dinamica per cui c’è uno che dà e uno che prende, sempre, senza mai che le parti possano invertirsi. Alla lunga, il salvatore pieno di vita e di amore, logorato dalla richiesta continua e insensibile del compagno, finisce per trasformarsi in un automa senza più la forza di provare ad opporsi a quelle che ormai sono diventate vere e proprie angherie.
Questo tipo di passività può tuttavia preludere a ribellioni impreviste e totali, dando luogo a rotture, ritorni e a nuove lacerazioni, in circoli viziosi di andata e ritorno che possono durare anche anni se non una vita intera. La vittima spesso, ridotta all’impotenza, ad un certo punto scova un punto debole nel partner e impara a colpire proprio lì per ristabilire una sorta di “equilibrio malato”. La ritorsione pareggia per così dire i conti, ma trattasi di una difesa pericolosissima perché ad essa seguirà sì un periodo di calma, di bonaccia, seguito poi da una ripresa delle violenze psicologiche ancor più aspre e taglienti.
Silenzi e ricatti
Il dramma degli amori malati è che la parola non circola mai davvero liberamente. Il litigio non finisce mai con un chiarimento, con l’uno che ascolta le ragioni dell’altro e che ammette un “mea culpa”. I confronti si riducono a scariche di colpe e responsabilità sull’altro. L’attacco è la modalità principe di rivolgersi al compagno. Esso può assumere la forma della parola scagliata come una freccia ardente, come ingiuria, oppure può farsi silente ed assumere le sembianze del mutismo.
Togliere la parola é uno dei mezzi più utilizzati per ridurre l’altro a cedere alla propria volontà. Il silenzio alla lunga uccide, perché depriva della linfa vitale di ogni relazione, lo scambio verbale.
Nei casi estremi uno strumento di ricatto potentissimo si rivela il farsi del male. Procurarsi ferite, abusare di droghe o alcol sono atti rivolti all’altro con lo scopo preciso di ingenerare in lui sensi di colpa. Agli occhi del mondo chi si fa male viene visto come il poverino che sta male, che ha bisogno di aiuto. Come fa il compagno a resistere anche alla pressione sociale che lo inchioda ad aiutare il bisognoso?
Fragilità della vittima
C’è da dire che la personalità di chi incappa e resta a lungo in amori malati mostra invariabilmente tratti di fragilità e di dipendenza. Una persona mediamente equilibrata, nel momento in cui si rende conto della stortura del compagno, anche quando disposta a concedere una seconda possibilità, ben presto sceglie di salvare se stessa. Di solito interrompe la frequentazione prima che sia troppo tardi, ovvero non solo prima che ci siano figli di mezzo ma anche prima di coinvolgersi davvero profondamente sul piano emotivo e sentimentale.
Chi resta intrappolato in un amore malato mostra dunque tratti di fragilità, per lo più su un piano narcisistico. Bisognoso di essere amato e confermato sul piano del proprio essere, resta folgorato dalla modalità coinvolgente della personalità disturbata. Coloro che soffrono di disturbi della personalità tendono infatti a oscillare tra ipervalutazione e svalutazione dell’altro.
Dunque in fase di innamoramento, quella che è la normale sopravvalutazione dell’oggetto d’amore viene ad aumentare esponenzialmente. L’oggetto amato è il migliore del mondo, il più bello, il più buono, il più bravo. E se colui che è nella pozione di oggetto esaltato ha un bisogno enorme di sentirsi riconosciuto il gioco è fatto. Cadrà nella rete con molta facilità. I primi rimproveri e atteggiamenti svalutanti lo colpiranno a morte, lo faranno soffrire, ma non saranno la molla che lo porterà ad aprire gli occhi sulla natura della relazione.
Infondo, la vittima di un amore malato crede che il partner abbia ragione quando gli si rivolge a male parole, dato che in cuor suo non è convinta del proprio valore come persona. Così finisce per dar retta alle critiche feroci che gli vengono rivolte, come un bambino che viene rimproverato dal genitore e che si persuade che questi stia dicendo cose vere e giuste.
Non solo. L’esplosività del compagno viene inconsciamente apprezzata, nella misura in cui introduce qualcosa della vita che si sente mancare interiormente. Il compagno che sbraita, che agisce impulsivamente, che comanda svolge una funzione di attivatore psichico, ingenera una specie di “arousal” che va a colmare un senso di latente depressione
Va da sé come l’Intreccio tra personalità “borderline” psicopatiche e personalità “dipendenti” e malinconiche sia difficile da sciogliere, proprio perché basato sulle reciproche fragilità.
Difficoltà terapeutiche
Non bastano consigli di buon senso di parenti ed amici, tanto meno interventi decisi da parte dei terapeuti. Spesso, lo psicoterapeuta interpellato dalla vittima si trova in scacco sia di fronte alla lucidità con la quale essa racconta la propria condizione, che davanti alla contemporanea ostinazione con cui persevera nell’autodistruzione.
Nel tempo un lavoro psicoterapeutico può funzionare se il curante riesce a stabilire un’alleanza terapeutica con la parte sana del paziente, quella che in parole semplici si collega all’amore e alla stima di sé. Un’indagine nel passato che va a rintracciare la radice di tale carenza può fare molto, se ad essa il paziente si appassiona autenticamente e non la vede come un mero compito da svolgere.
Ai terapeuti è richiesta pazienza e tolleranza del bisogno del paziente di non staccare dalla situazione patogena. La separazione, vissuta come una minaccia già in epoche passate e nei confronti di altre figure, può essere operata solo nel momento in cui scatta qualcosa nella mente del paziente, dopo magari mesi di terapia girati a vuoto. In realtà, è a posteriori che si dirà se saranno stati mesi di lavoro inconcludente o di “gestazione” di un primo passo che segnerà uno spartiacque fra un prima e un poi.
È importante seguire in psicoterapia la vittima anche dopo la separazione, almeno per un po’. Spesso si tratta di periodi molto produttivi per la realizzazione piena e profonda del proprio contributo nel mantenimento dell’amore malato. Ciò per non incappare nuovamente nella ripetizione, vero subdolo nemico di ogni guarigione.