L’amore tossico: quando amare diventa un inferno
Quali sono le caratteristiche dell’amore tossico, i tratti psicologici dei partner e le possibilità terapeutiche
Oggi va molto di moda il termine “tossico” per riferirsi a persone o a dinamiche relazionali (soprattutto di natura amorosa) che fanno soffrire in un modo ben specifico e circoscritto.
Si tratta infatti di tutte quelle situazioni in cui il malessere psicologico viene avvertito gradualmente, come l’effetto di un veleno incolore e insapore che entra in circolo subdolamente, per poi sprigionare di colpo la sua azione letale.
Il riferimento alla sostanza nociva infatti è fondamentale per riconoscere e capire i quattro tempi in cui tipicamente si articola lo sviluppo di questi amori malati (benessere al top, sintomi sfumati, caduta nel baratro e infine inferno o resurrezione).
I partner coinvolti hanno specifiche caratteristiche, spesso complementari (anche se non mancano casi in cui entrambi agiscono in modo tossico l'uno ai danni dell'altro).
La difficoltà a separarsi si lega al rifiuto di rinunciare al partner ideale e al brivido dell'alternanza di emozioni euforizzanti e mortificanti.
L'attaccamento alla sofferenza, fenomeno enigmatico ma molto potente nel tenere unite queste coppie, può essere lavorato in psicoterapia, quando la domanda di aiuto si fa profonda e radicale.
Il primo tempo dell'amore tossico: benessere esagerato e assenza di sintomi
Il primo tempo in genere è quello del benessere (visto a posteriori troppo esagerato) e dell’assenza totale di sintomi. Le tossine sono diluite nel vino inebriante dei primi tempi del rapporto.
Totalmente inavvertite esse iniziano a diffondersi in sordina, camuffandosi bene con l’eccitazione fisica e lo stordimento dovuto al bombardamento di dichiarazioni e promesse amorose.
Il secondo tempo dell'amore tossico: i sintomi sfumati
La seconda fase è quella dei sintomi sfumati: lo scontento e il dubbio fanno capolino senza far rumore, al pari di un lieve mal di pancia, di una nausea ancora incipiente, di un senso di fatica inspiegabile, di un’insolita debolezza che si tende a minimizzare.
Qualcosa non va, eppure si fatica a mettere a fuoco esattamente di che cosa si tratta. Si iniziano a fare osservazioni, a porre domande ingenue. Perché fai così? Perchè sei diverso da prima? L’inconscio rileva qualcosa ma la coscienza è del tutto fiduciosa e addormentata.
Il terzo tempo dell'amore tossico: caduta nel baratro e agonia ossessionante
Poi, di colpo, inaspettato irrompe il terzo tempo: come il veleno ormai assorbito scatena vomito, tremori, testa nel pallone, gambe che cedono, così l’amore prende la testa, ossessiona, deprime, rende sempre nervosi e negativi, infligge pianti e notti insonni, diventa un chiodo fisso destabilizzante.
Lui o lei spariscono nei ghiacci, ritornano con passione, aggrediscono, ricattano, interrogano, spiano, ridicolizzano, umiliano, colpevolizzano, si ravvedono, ricominciano da capo, sconvolgono.
La sofferenza a questo livello non è più negabile, ma nemmeno pensabile perché arriva come una mazzata violenta: si stramazza al suolo, si sprofonda nell’agonia che uccide ogni facoltà di giudizio.
Ecco la lunga pena che inevitabilmente porta alla morte dell’amore e della serenità individuale. Ma prima di arrivarci, alla liberazione della fine, è uno strazio, un tormento ingovernabile, che può durare mesi, anche anni. La lucidità si fa strada piano piano, il moribondo ormai capisce tutto ma non ha la forza di reagire.
Oppure, cosa non rara, anche la “vittima” inizia a rispondere al partner utilizzando il suo stesso linguaggio, ossia divenendo essa stessa una figura tossica. La relazione così si trasforma in un campo di battaglia in cui non esiste più differenza fra chi infligge colpi e chi li subisce.
Il quarto tempo dell'amore tossico: inferno o resurrezione
Infine l’approdo all’ultimo step: cosa c’è dopo l’agonia e la morte? L’inferno dell’anima o la resurrezione? Nel post mortem si gioca il destino futuro dei soggetti rimasti intrappolati nelle maglie dell’amore tossico.
La vita può divenire un inferno, restare cioè per sempre segnata dalla depressione, oppure giungere a una catarsi, rigenerarsi e rifiorire.
L’identikit del partner tossico
Il soggetto che mette in atto comportamenti psicologicamente violenti e ricattatori verso il compagno o la compagna ha sempre una personalità molto fragile (personalità borderline o disturbo narcisistico) nascosta da atteggiamenti di segno contrario. Essa si manifesta unitamente a una scarsa dotazione di empatia e di valori umani (quali ad esempio il rispetto dell’altro e il famoso “non fare all’altro ciò che non vorresti fosse fatto a te”).
L’insicurezza personale di fondo e la patologia caratteriale, prese singolarmente, possono spiegare e giustificare solo parzialmente la tendenza a trattare gli altri come pedine da manipolare.
Sicuramente i disturbi della personalità spingono a manovrare gli altri e ad essere incuranti delle loro esigenze ed emozioni per via dell’egocentrismo esasperato che ne qualifica la struttura.
L’interesse a senso unico per se stessi si configura come risposta allarmata ad uno stato di profonda turbolenza interiore, che costituisce la tinta dominante di tutto il mondo interno di questi soggetti.
La capacità di tenere conto dei sentimenti e delle esigenze emozionali degli altri è limitata dalla loro condizione psicologica di allarme continuo.
Il sostegno dell’altro risulta allora fondamentale per fronteggiare e compensare il perenne stato di debolezza e agitazione interiore (intrattabile attraverso meccanismi psicologici di auto riparazione e consolazione).
Inoltre l’altro è facilmente oggetto di proiezioni idealizzanti così come svalutanti: da un lato è esaltato come il salvatore, come la persona più bella e brava del mondo. Dall’altro si presta a costituire una sorta di “discarica” della propria negatività interna, di cui si cerca disperatamente di sbarazzarsi.
Ma tutto ciò non è tossico di per sé, perché un disturbo della personalità non equivale necessariamente a volontà malevola verso il prossimo.
Affinché la tossicità sia totale e senza scampo bisogna che l’assenza di empatia sia radicale, siano cioè assenti sprazzi di auto consapevolezza e volontà di riparazione. Vedersi da fuori e chiedere autenticamente scusa, pentirsi e voler preservare l’altro dai propri problemi restano una possibilità anche per chi è alle prese com fragilità importanti della personalità.
Inoltre nella vera e propria dinamica tossica manca totalmente il valore del rispetto dell’altro e delle leggi che regolano la vita di relazione, quali reciprocità, attenzione e ascolto.
Nel comportamento tossico troviamo sempre il tratto antisociale, che si concretizza nel godimento di fare deliberatamente del male agli altri, di dominarli con la forza e l’autoritarismo (godimento dell’esercizio del potere fine a se stesso).
Il profilo psicologico delle vittime dell’amore tossico
A rigore a tutti gli esseri umani può capitare di incappare in in cattivo incontro.
Intuizione e magari anche esperienze negative del passato portano a riconoscere tempestivamente certe dinamiche malate, mettendo in salvo senza invischiamenti.
Anche momenti di particolare fragilità possono offuscare il senso critico, impedendo il corretto inquadramento della situazione e a sopportare l’insopportabile.
In genere però le persone forti e intimamente risolte non restano impigliate troppo profondamente nella rete del partner tossico: in tempi ragionevoli si svegliano e si sottraggono evitando particolari conseguenze negative (anni e anni buttati, matrimoni, figli ecc).
Le vere vittime dell’amore tossico invece soffrono anch’esse spesso di fragilità psicologiche che, anziché assumere la sembianza “esplosiva” del carattere narcisista o borderline prendono quella più mite e remissiva della dipendenza affettiva.
Le coppie “classiche”vedono perciò come protagonisti da un lato un soggetto prepotente, instabile e tendenzialmente paranoico e dall’altro una persona bisognosa di essere diretta, curata e sostenuta.
Abbiamo quindi un padrone che “preleva” le energie degli altri e vi si nutre per “trattare” la propria condizione di squilibrio psicologico e un individuo dalle fondamenta fragili, che si lascia completamente influenzare dagli atteggiamenti, dalle idee, e perfino dalle amicizie del partner.
L’incontro tra i due avviene in un clima di forte idealizzazione, il padrone esalta la bontà del servo di cui inizia a disporre come vuole. Ma una volta accertata la sua inadeguatezza a soddisfarlo in tutti i suoi illimitati bisogni ecco che scattano le rappresaglie, le cattiverie, più o meno grossolane e violente.
E il servo si umilia, subisce tutto, pur di mantenere il suo Dio.
Più rare ma oggi di sempre maggiore riscontro clinico sono le coppie miste, ovvero quelle costituite da due soggetti che condividono entrambi la medesima configurazione psichica (per lo più caratterizzata dall’amore per il potere).
A questo livello i ruoli di carnefice e vittima non sono ben distinti ma risultano intercambiabili, ognuno cerca di prevalere sull’altro nei modi più disparati e secondo le armi di cui si trova a disporre (invettive, scenate, mutismi, controlli ossessivi ecc…). Il clima di coppia assomiglia a quello di una guerra, intervallata da brevi pause finalizzate a recuperare nuove risorse per riprendere i combattimenti.
Anziché godere dell’amore queste persone godono del farsi del male, a volte fino alla fine dei loro giorni
Perché è così difficile staccarsi dalla dinamica tossica
I motivi alla base della difficoltà di staccarsi dal partner tossico sono generalmente di tre tipi (tutti e tre collegati gli uni agli altri): il giustificazionismo, ovvero la difficoltà a rendersi conto di ciò che accade attribuendosene magari la colpa, la difficoltà a “rinunciare” all’immagine idealizzata del partner salvatore e infine il gusto amaro per l’auto distruzione.
Giustificare l’altro dandosi la colpa di tutto costituisce il motivo più diffuso per non staccare. L’insicurezza della vittima la porta a dubitare delle sue sensazioni, a non prenderle sul serio bollandole come errate. È lei la malata, non l’altro, se le cose vanno male è solo colpa sua. E questo avviene anche quando il comportamento crudele e manipolatorio del compagno è palesemente sotto i suoi occhi.
Anche quando il bersaglio delle angherie finalmente comincia a rendersi conto e a vedere, la resistenza da superare è quella dell’idealizzazione.
Come può lui, il salvatore, essere così perverso? Deve esserci sicuramente un’altra spiegazione!
Così si tira avanti in un clima relazionale sempre più mortificante e degradato. Subentra una specie di assuefazione alla sofferenza, che subdolamente sfocia in un malsano godimento della sofferenza. Amore e dolore si mischiano, come una droga che vince la lucidità mentale e la volontà.
Nei casi più estremi stare insieme nella sofferenza cementa perfino le identità, che senza il rinforzo della relazione patologica con il partner andrebbero verso la dissoluzione. “Non con te ma nemmeno senza di te” è il mantra di molte coppie tossiche.
Come separarsi quando l’amore è tossico: il ruolo della psicoterapia
Si capisce allora come la separazione non sia per nulla semplice. Non basta infatti stare male, soffrire per staccare.Nè sono sufficienti i consigli e talvolta gli appelli accorati di amici e parenti, seriamente preoccupati per l’evidente stato di malessere del loro caro.
Spesso oltre a non essere accolti gli amici vengono allontanati, anche come conseguenza della manipolazione del partner, che effettua un vero e proprio lavaggio del cervello.
La realtà capovolta, distorta è il mondo in cui si trovano a vivere le persone coinvolte negli amori tossici. L’isolamento contribuisce all’incremento della follia a due, un mix resistente a ogni ragionevolezza.
Anche le domande di aiuto a uno specialista psicoterapeuta fanno la stessa fine delle confidenze agli amici: evaporano come neve al sole non appena ci si avvicina al reale in gioco. Gli psicologi vengono consultati sull’onda del malessere, ma il momento della richiesta di aiuto non necessariamente coincide con l’essere davvero pronti a mettere in discussione la relazione e se stessi.
Si chiede aiuto perché si soffre, e si spera che dall’alto arrivi una qualche soluzione provvidenziale. Ma non si vuole o non si può rinunciare al sostegno malato della relazione patologica.
Chi riesce a superare questa fisiologica e massiccia resistenza al cambiamento può salvarsi.
Possono volerci mesi, anni, ma se nel luogo protetto della terapia si trova il coraggio di confrontarsi con la verità, al netto della grande fatica che ciò comporta, si può infine optare per la vita e scegliere di tirarsi fuori dalle paludi dell’amore tossico.
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