Possessività e amore: perché è un binomio distruttivo
Che cos’è, cosa sottende la dinamica possessiva e come si svolge il suo trattamento in psicoterapia
La possessività è una modalità di rapportarsi all’altro che si associa a comportamenti più o meno sottilmente controllanti. Essa si manifesta esclusivamente all’interno di relazioni affettive strette, siano esse di amore o di amicizia. L’intensità del coinvolgimento emotivo e il livello di intimità raggiunto con l’altro costituiscono il terreno su cui si innesta tale modalità relazionale patologica, che invece non si presenta quando il legame è di natura formale o superficiale.
La forte vicinanza con l’altro è un fattore che fa vacillare il falso senso di forza e di autosufficienza su cui si reggono determinate personalità. Pur di non avvertire sentimenti di mancanza, di bisogno o più in generale di vulnerabilità interiore, che secondo un meccanismo sano porterebbero a riconoscere il valore fondamentale dell’altro e ad instaurare con lui una relazione paritaria in cui potersi lasciare andare, esse optano per una dinamica di potere.
La psicoterapia in questi casi è più appannaggio della vittima che del carnefice, e raramente viene ricercata nel pieno dell’esercizio della possessività. Essa, tuttavia, può essere intrapresa quando il partner con il suo allontanamento definitivo riapre i sentimenti di mancanza tenuti a bada dalla dinamica di dominio.
I comportamenti possessivi più diffusi
L’uomo o la donna possessivi agli inizi di una conoscenza non sono mai riconosciuti come francamente patologici. Essi si presentano o come corteggiatori assidui e forse un po’ troppo presenti, oppure al contrario possono mostrare atteggiamenti di segno contrario, come una certa sfuggevolezza.
Gli appartenenti al primo gruppo, nel momento in cui il rapporto si consolida, tendono a esibire atteggiamenti di controllo grossolani e diretti, come isolare socialmente il partner, controllargli il telefono, imporgli comportamenti, decisioni e scelte, limitarne i movimenti, vietarne la possibilità di vestirsi come meglio crede e sottoporlo ad interrogatori e stress di ogni genere.
Tale andamento prevede che dall’altro lato ci sia una persona molto fragile a livello caratteriale, incline alla passività, incapace di ribellione e bisognosa di essere amata al punto tale da non voler prendere atto della tragicità della situazione.
Sottrarsi a questo gioco risulta molto difficile, persino parenti e amici falliscono nel distogliere la vittima dal perseverare nel rapporto distruttivo. Vittima e carnefice costituiscono una coppia tossica a tutti gli effetti, l’uno ha bisogno dell’altro per esistere e dunque lasciarsi andare non costituisce un’opzione. Anche quando subentrano tradimenti effettivi ci si trascina a lungo in un’agonia fatta di rotture e ritorni, in cui i toni e gli atteggiamenti sono sempre più irrispettosi e degradanti.
I soggetti possessivi che invece sulle prime appaiono evitanti e imprendibili, mano a mano che la frequentazione si intensifica sono più sottili nelle loro articolazioni controllanti, pertanto risultano più insidiosi e più invischianti. Anche partner caratterialmente forti e indipendenti possono restare a lungo impigliati nella loro rete, che faticano a riconoscere pienamente proprio in virtù della sofisticazione delle loro condotte.
In genere però una sensazione strana di disagio ne accompagna come sottofondo il vissuto, come un camminare sulle uova, un sentirsi in trappola, senza che nulla di eclatante sia messo in atto. La possessività qui si esplica mediante l’alternanza di caldo-freddo, atteggiamenti indiretti di natura passivo aggressiva e persino tradimenti non ben dissimulati, così che la vittima si ritrova frastornata e a provare dolore e senso di colpa.
Il possessivo è molto abile nel riconoscere quale sia il punto debole del partner e fa leva su di esso per manipolarlo, per limitarne non tanto la libertà fisica, quanto la spensieratezza e la leggerezza interiore. Vedere l’altro soffrire inutilmente e avvitarsi su sé stesso regala un godimento sadico, che consente di elevarsi sull’altro e sentirsene in pieno controllo. La dinamica è simile a quella del gatto con il topo, il topo è l’oggetto del gatto, è suo, gli appartiene anche se tenta di sfuggirgli.
Tuttavia, se la personalità del partner è forte prima o poi però il gioco viene smascherato, così che egli, pur dolorosamente, sceglie di allontanarsi. In questi casi la presa di consapevolezza è graduale ma irreversibile, l’amore finisce per logoramento e quando finisce finisce davvero.
Cosa nasconde il comportamento possessivo?
La radice alla base di tutti i comportamenti possessivi, siano essi più smaccati o più raffinati, è sempre la stessa. Alla base osserviamo personalità patologiche, estremamente fragili narcisisticamente (narcisista positivo e narcisista negativo) e quindi bisognose di mantenere continuamente un senso interiore di superiorità sugli altri per poter esistere.
L’intimità è la scintilla che fa scatenare i comportamenti ossessivi di controllo, da quelli infuocati e volgari alle sofisticate cattiverie buttate lì quasi per caso, architettate ad arte con lo specifico scopo di colpire e affondare.
L’intimità scoperchia la carica aggressiva di questi individui perché riattiva sentimenti di attaccamento profondo, che nella loro mente coincidono con il diventare vulnerabili, con il ritrovarsi indifesi e alla mercè di un altro che può ferire e far sentire piccoli e senza alcun valore.
Chiaramente questo stato di umiliazione e frustrazione ha caratterizzato la loro infanzia in relazione alle figure di attaccamento primarie.
Madri capricciose, inaffidabili, alternanti eccessi di soffocante presenza a eccessi di desolante assenza (unitamente a padri poco presenti e psicologicamente impattanti) sono figure tipiche di queste infanzie violate, che gettano le basi della futura e totale incapacità di amare dei loro figli.
Così in età adulta gli individui che hanno vissuto in climi tossici tenderanno fatalmente a ripetere ciò che hanno subito, con l’obiettivo di ripararsi ma anche con quello di trovarsi finalmente dalla parte del potente, in modo da rovesciare il loro senso di fondo di nullità in uno stato di inebriante potenza.
L’intimità fa da detonatore di tutto ciò perché il manipolatore si identifica inconsciamente nella sua vittima, ci si rispecchia, proiettando in lui la sua parte debole infantile nonché la sua immagine ideale.
Amore e odio si mescolano, perché da una parte il partner incarna il proprio sé infantile, dall’altro assume su di sé l’ombra dell’oggetto onnipotente materno.
In ogni caso ciò che viene perso, ciò che manca è la possibilità di sperimentare un rapporto con l’altro di natura paritaria, in cui l’altro è visto come altro, come qualcuno di completamente diverso e non uno specchio in cui trovare sé stessi o i propri fantasmi irrisolti.
In questi scenari manca completamente la passione e il gusto per la scoperta dell’altro, si crede di sapere tutto, si vuole sapere tutto senza conoscere e capire veramente nulla.
L’indistinzione fra sé e altro, la mancanza di volontà di capire le ragioni altrui si traducono in distruzione allo stato puro.
L’empatia, che consiste nel sentire le emozioni dell’altro come se fossero le proprie (il come se è fondamentale), normalmente consente la cura e l’evitamento di condotte crudeli. E’ anche alla base di comportamenti autentici di riparazione. A questi livelli essa non solo è totalmente assente, ma degenera pure in una sorta di paranoia, per cui “io so chi sei, cosa pensi e cosa vuoi” ancora prima che siano state proferite parole.
La psicoterapia nella dinamica di possesso
La psicoterapia come sempre è richiesta da chi soffre e ha bisogno di aiuto. Per cui va da sé che siano le vittime della dinamica possessiva gli interlocutori più accessibili allo sguardo dello psicoterapeuta.
Il successo della terapia dipende dal grado di forza dell’Io e dalla reale volontà di uscire dalla distruttività.
Non sempre infatti, al di là del lamento si superficie, ci si vuole far aiutare, perché restare nella posizione passiva di chi non vuole vedere offre una serie di vantaggi psicologici inconsci a cui difficilmente si può accedere mediante l’indagine psicologica.
Tuttavia un terapeuta esperto sa capire se come e quando intervenire decisamente per salvare la vita e riesce a distinguere le situazioni che necessitano la sua presenza attiva da quelle in cui il lavoro di elaborazione è giunto già ad un buon livello e necessita solo di qualche spinta e di raffinazioni ulteriori.
Colui o colei che invece ricoprono la posizione del possessivo manipolatore arrivano alla consultazione solo se sono davvero finiti in crisi per via di un abbandono.
La psicoterapia è spesso usata con la mera finalità di recupero dell’autostima minata dalla perdita, quindi è nuovamente utilizzata come un oggetto protesi che serve per tornare alla posizione di partenza di pieno controllo. Il terapeuta stesso viene manipolato per ripristinare l’immagine ideale di sé. Raggiunto lo scopo viene mollato.
Se invece la sofferenza di un abbandono apre una crisi più profonda e tollerabile dall’io del paziente, diventa possibile andare a guardare insieme nel passato, per affrontare una volta per tutte i demoni che tengono in scacco la vita amorosa.
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