La libertà interiore
Molte domande di psicoterapia sottendono il bisogno di liberarsi da catene mentali, fattesi troppo stringenti e limitanti.
Le persone nei primi tempi di una cura si lamentano di situazioni “oggettive” in cui si sentono incastrate. Tuttavia dopo un po’ esprimono i veri condizionamenti interiori, di cui sono al tempo stesso vittime e artefici.
Cosa sono queste “tenaglie” psichiche che ingabbiano fino a oscurare ogni senso di benessere e perché si installano in maniera così pertinace? Fino a che punto e come può accadere di liberarsene?
Le catene mentali
Gli esempi più classici di pressioni interne che lasciano poco margine alla vitalità sono il senso di colpa, il senso del dovere, la paura e le aspettative degli altri.
A ben guardare queste influenze che agiscono nella psiche individuale hanno un’origine sociale. Colpa, dovere, paura e aspettativa svolgono una precisa funzione a livello societario, ovvero quella di garantire il buon ordine e l’ubbidienza dei cittadini alle regole.
La famiglia, anch’essa un prodotto sociale, si incarica di trasmettere tali influssi tramite l’educazione del bambino. Ogni bambino, per diventare un essere civilizzato, li assorbe in misura più o meno massiccia, a seconda dell’adesione conscia o inconscia dei suoi genitori al discorso dominante.
Oggigiorno solo apparentemente l’azione di colpa, dovere, paura e aspettative si è mitigata. È cambiata la fonte da cui provengono, non la loro sostanza. Una volta erano la chiesa e le istituzioni, oggi abbiamo le mode e i social, con i loro imperativi categorici alienanti.
L’individuo, se sulle prime è un passivo recettore, da un certo punto in poi aderisce ai condizionamenti ricevuti, perfezionandoli, fabbricandone di nuovi, considerandoli al pari di verità assolute, valide per tutti tranne che per pochi “fortunati”
La scoperta in psicoterapia della propria libertà potenziale rispetto a ciò che viene ritenuto ovvio e fatalmente inevitabile pone non pochi problemi.
Tale consapevolezza infatti porta a rileggere tutta la propria vita e a rammaricarsi di aver buttato via tempo. Poi, essa richiede che si trovi la forza di non crogiolarsi nella vittimizzazione; il coraggio di cambiare è lo sforzo più difficile, per taluni quasi impossibile. Ma consapevolezza senza azione rischia di essere dolorosissima e sterile, per cui in molti casi si preferisce tornare in un comodo oblio o restare nell’eterno lamento.
Le quattro bestie nere
Ma cosa sono nel dettaglio queste quattro “bestie nere” che la psicoterapia tenta di mitigare e rendere un po’ meno prepotenti?
Il senso di colpa, importante quando fa da freno ad atti francamente criminali e antisociali, si sposta indebitamente verso campi che non sarebbero originariamente di sua competenza.
Ho la possibilità di cambiare lavoro? Mi sento in colpa verso l’attuale datore di lavoro. Potrei lavorare all’estero? Rinuncio per il senso di colpa verso i familiari. Mi sono innamorato di un’altra ragazza? Lascio perdere perché mi sento in colpa per la sofferenza della fidanzata e mi sento una brutta persona.
Questi sono solo piccoli esempi esplicativi di situazioni non particolarmente complesse dal punto di vista morale che tuttavia vanno in stallo perché vacilla la forza di assumersi direttamente la responsabilità di ciò che si vuole. L’altro viene mobilitato perché così può essere considerato come il responsabile che vieta la meta agognata, quando in realtà il vero sabotatore è la propria mente.
Stesso discorso per il senso del dovere. Come faccio a sottrarmi da un lavoro stabile e ben pagato ma mortificante ogni istinto vitale? Come uscire da una relazione perfetta, con beni in comune, magari figli ancora piccoli e progetti di lungo termine?
Qui al tema della colpa si somma pure quello del dovere, dover essere “giusti”, “bravi” “moralmente corretti” ecc…
E non è difficile vedere in azione anche la paura: e se poi dopo aver cambiato tutto non sono ancora felice? E se capisco che volevo ciò che ho perso? E se cado in miseria? E se e se e se??
Il “se” è l’espressione più classica della paura. La scusa migliore per stare fermi, non rovesciare nessun ordine prestabilito e non toccare con mano la realtà di cui si è fatti, spesso ambigua, contraddittoria, eppure vera e viva. “Meglio un po’ morti che vivi”, sussurra la paura.
E infine le aspettative. In tutti gli esempi citati si può ritrovare il tema del cosa penseranno gli altri. Mia madre ne morirebbe, perderei tutti gli amici, al lavoro non mi parlerebbe più nessuno, già vedo che mi guardano male quando mi lamento ecc…
Il processo di affrancamento da schemi interiori soffocanti raramente è rapido e indolore, soprattutto quando essi sono incistati negli strati profondi della personalità.
Nei casi estremi il “vorrei ma non posso” che ne riassume e condensa l’azione condizionante, arriva a tal punto da rendere impossibile la separazione del desiderio dal suo divieto. Le strutture ossessive si impigliano in questa rete, per cui l’interdizione porta ad un’effettiva distruzione del moto vitale e desiderante di partenza.
La psicoterapia se agisce solo con le armi della consapevolezza va in crash, nulla cambia anche dopo anni e anni di rimuginazione sull’infanzia, la famiglia ecc…
Più efficace è il modo in cui si vive l’esperienza. In terapia si può vivere una libertà sconosciuta, seduta dopo seduta la mente si alleggerisce, si apre a un gioco e a visioni mai prese in considerazione prima.
Cruciale è l’atteggiamento mentale e la predisposizione psichica del terapeuta. Un approccio troppo freddo e razionale blocca, così come una modalità troppo amichevole e leggera.
Conta moltissimo il grado di libertà interiore raggiunto dal terapeuta stesso. Più egli è libero, nei fatti e nella testa, più sarà possibile la costruzione di un campo di totale assenza di giudizio, di colpa, di attesa ecc…
Le vesti potranno essere sciolte, quando, come e se infine lo si vorrà. E una volta nudi e tremanti di paura si potrà contare su una spalla robusta, su cui far leva per trovare in se stessi il coraggio di osare un po’ anche se ormai sembra troppo tardi.