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La neuropsicoanalisi: un ponte fra mente e cervello

Se la mente comporta un'esperienza soggettiva irriducibile alla materia e ai processi di cui è fatto il cervello, è pur vero che vi affonda le sue radici. Pertanto un qualche rapporto c'è.

La verifica sperimentale dell'inconscio

Lo stesso Freud era fermamente convinto che esistessero delle basi neurobiologiche a fondamento dei suoi concetti psicodinamici, la decisione di dedicarsi solo a questi ultimi era scaturita dalle scarsità di conoscenze e di strumenti di indagine a disposizione in campo sperimentale ai suoi tempi. Vedeva comunque un futuro in cui la speculazione teorica sui processi psichici e la verificabilità di tali costrutti si sarebbero incontrate.

Oggi dunque con la neuropsicoanalisi viene gettato un ponte fra la ricerca clinica e quella sperimentale, fra la vita psichica e il funzionamento cerebrale, fra un punto di vista "interno" ed uno "esterno".

Mark Solms, neurologo e psicoanalista, è considerato l'esponente di spicco della neuropsicoanalisi, per via dei suoi studi sui danni cerebrali in pazienti trattati con il metodo psicoanalitico. Insieme a neurologi del calibro di Kandel, Sacks, Edelman, Le Doux (solo per citarne alcuni) e psicoanalisti quali Andrè Green e Charles Brenner, Solms tenta di identificare quali aree del cervello operano funzionalmente in relazione a fenomeni psicodinamici.

Grazie alla diagnostica per immagini, che permette di visualizzare il funzionamento del cervello durante un certo tipo di stimolazione, al metodo anatomo clinico e alla fisiologia sperimentale, viene riconosciuta sperimentalmente l'esistenza dell'inconscio, il pilastro su cui si regge tutto l'impianto psicoanalitico. Precisi circuiti sinaptici corticali e sotto corticali sono identificati come sedi di funzioni mentali inconsce. Anche il concetto di rimozione trova per tale via una sua spiegazione.

Se è vero che molti costrutti psicoanalitici quali l'inconscio, la rimozione, il principio di piacere, la pulsione, il significato dei sogni trovano per questa via una dignità "scientifica", altri vengono per la stessa via messi in discussione, come ad esempio l'influenza totalizzante sull'apparato psichico del conflitto fra l'Io e l'Es. Il punto però non sembra questo. Non si tratta di utilizzare le neuroscienze per giustificare o confutare la psicoanalisi. Ciò che è davvero fecondo è lo scambio e l'arricchimento reciproco, al d là dei dogmatismi, degli arroccamenti e delle posizioni "puriste".

La centralità dell'emozione

La rivalutazione nella contemporaneità della psicoanalisi lo si deve alla scoperta da parte delle neuroscienze della centralità delle emozioni sia nella vita psichica che nel funzionamento del cervello. Le teorie di stampo cognitivista si sono rivelate insufficienti nel tener conto della totalità del funzionamento psichico, attribuendo un peso troppo sbilanciato verso l'ambito, seppur importante, dell'elaborazione delle informazioni. La mente viene concepita dalle teorie cognitiviste e computazionali quasi solo come un arido congegno problem-solving. È palese il riduzionismo che esse comportano dell'esperienza umana, che ha anche e soprattutto un radicamento emozionale a tutti i livelli, riscontrabile oggi anche dalla scienza.

Dunque la grossa scoperta delle neuroscienze, così fondante per la psicoanalisi, risiede proprio nella identificazione della centralità dell'emozione. L'emozione è il pattern unico di risposta con cui la struttura cerebrale affronta qualsiasi stimolo, interno od esterno.

Le Doux ci insegna come qualsiasi cosa succeda nel nostro ambiente o dentro di noi venga percepita, processata ed elaborata nel nostro cervello proprio attraverso le emozioni. Avviene cioè una prima risposta istantanea, breve, sottocorticale, filogeneticamente antica che dice subito (senza che noi lo avvertiamo) se si tratta di uno stimolo che minaccia la nostra sopravvivenza. Dopo di che lo stesso stimolo compie un giro più lungo, dal talamo (una struttura sottocorticale) raggiunge la corteccia dove viene elaborato in modo più complesso, coinvolgendo anche il database della nostra memoria. Da ciò deriva pure come la maggior parte della nostra attività mentale sia assolutamente inconscia, e che solo una piccolissima parte riguardi la coscienza.

Quali ricadute sulla pratica terapeutica?

Alla luce di ciò, le ricadute di questo dialogo sulla pratica clinica non possono che essere positive. Intanto tale apertura aiuta i pazienti a non vedere più una netta contrapposizione fra la terapia della parola e l'assunzione dei farmaci. Esse sono due facce della stessa medaglia, così come lo sono lo spirito e la materia. La conoscenza integrata della mente umana va a vantaggio anche della psicoterapia stessa, che si arricchisce così di spunti per fronteggiare questioni da sempre problematiche e già segnalate dal fondatore della psicoanalisi.

Solms afferma come debba essere gratificante (e non fonte di minaccia) per gli psicoanalisti scoprire che possiamo erigere il nostro edificio a partire dalle fondamenta gettate dal pensiero freudiano, invece di buttare via tutto e ricominciare daccapo! Anche mentre identifichiamo i punti deboli delle teorie di Freud e quindi integriamo e rivediamo il suo lavoro appare stimolante completare la sua opera.

La psicoterapia viene confermata e non confutata nella sua efficacia dall'apporto delle neuroscienze. Esse permettono di visualizzare quanto essa produca mutamenti strutturali e permanenti in alcune aree del cervello. L'esperienza soggettiva modifica il funzionamento cerebrale e mentale: si tratta di continuare a lavorare nella direzione di un raffinamento continuo della tecnica, in un'ottica di apertura a tutte le aree del sapere. La vocazione umanistica della psicoanalisi, la sua vicinanza per certi versi all'arte resta inalterata, anche e nonostante il dialogo con le scienze. Non bisogna aver paura di perdere la propria identità, pena un irrigidimento sterile e tristemente autoreferenziale.

Aiuto psicoterapeutico