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Il cambiamento tra psicoterapia e psicoanalisi

La mente umana infatti, pur essendo dotata di razionalità cosciente, è governata in larga parte da meccanismi inconsci, che possono fissare una condotta palesemente assurda al di là della volontà e degli sforzi coscienti di razionalizzazione.

L'introspezione dunque, intesa come abilità di auto analisi, da sola (pur all'interno di un contesto di psicoterapia) non basta nel promuovere un'autentica trasformazione interiore, perché rischia di fondarsi troppo su ragionamenti logici da cui scaturiscono soltanto azioni difensive, forzate, non spontanee, non sentite profondamente, non agganciate cioè all'inconscio. Per loro natura le difese tendono o a irrigidirsi, diventando loro stesse il nuovo problema, o a sfaldarsi, alternandosi ciclicamente a ciò che tentano di arginare.

Come ha luogo allora un vero cambiamento? Quali sono le condizioni minime perché possa verificarsi nel corso di una psicoterapia?

Un lavoro psicoterapeutico, per essere efficace in un senso più ampio, non può ridursi ad un discorso fra due 'Io'. Non può cioè configurarsi solo come un'analisi condivisa di un problema, attraverso argomentazioni coerenti e sofisticate volte a sminuzzare in parti sempre più piccole il dato di partenza per arrivare ad una sintesi risolutiva della questione. Tale modo di procedere risulta sterile, non produce nulla di duraturo. Può tutt'al più rinforzare l'autostima del paziente, legittimarlo ad agire, a prendere delle posizioni in cui non crede veramente ma che capisce essere 'giuste' per il suo 'bene' su un piano razionale. L'influenza suggestiva da parte del curante in questi casi gioca un ruolo fondamentale. Quando si verificano tali passaggi all'atto forzati, spesso manca poi la forza di sostenerne le conseguenze, poiché sono frutto di compiacenza verso il terapeuta più che di interiore, maturata, personale convinzione. Il risultato è un ricadere inesorabilmente nei meccanismi precedenti.

Il discorso fra 'Io' ha dunque degli evidenti limiti. In primo piano vediamo il terapeuta al lavoro, mentre sullo fondo appare un paziente passivo, aggrappato alla guida e dunque di fatto dipendente.

Se in tutte le psicoterapie (soprattutto all'inizio o in momenti particolari di svolta o di crisi) si fa sentire un sottofondo di guida da parte del curante, in quelle davvero produttive succede anche altro. Succede cioè che il paziente si trovi spiazzato da ciò che dice. È quando il discorso si lascia andare, molla gli ormeggi e diventa associazione libera che è possibile incontrare qualcosa di sè che non si conosceva, qualcosa cioè dell'ordine dell'inconscio. Si apre così una faglia nella coerenza logica. Sono davvero chi dico di essere? Se la curiosità diventa desidero di sapere, di conoscere il proprio inconscio, la terapia stessa si trasforma in una psicoanalisi.

Allora l'analizzante (perché ora è lui a condurre il gioco) si fa delle domande, si interroga, si angoscia, si lascia investire dall'incontro con ciò su cui non esercita alcun controllo. Non ha più fretta di chiudere, si dà il tempo per comprendere, sente d'essere dentro ad un percorso trasformativo.

Allora piano piano i comportamenti apparentemente assurdi, i blocchi, le impasse acquistano un senso, non sono più visti come 'sbagliati' tout court. Hanno delle ragioni oscure, misteriose, che si tratta di ricostruire con pazienza. Non è il terapeuta che aggiunge significati e interpretazioni ma è l'analizzante stesso che costruisce in seduta il suo sapere. Solo se l'interpretazione è ridotta al minimo si può lasciare spazio alla creatività del paziente, che così si responsabilizza, si muove, si attiva non sul piano della precipitazione a fare ma su quello dell'apertura e della maturazione.

Le condizioni minime affinché un cambiamento non derivi dunque solo dall'influenza del terapeuta che dispensa consigli e rassicura narcisisticamente sono: emergenza dell'inconscio nelle pieghe del discorso, curiosità e riconoscimento dell'inconscio come parte costitutiva di se stessi a cui dare ascolto, assunzione della conseguente divisione soggettiva ed elasticità verso le proprie contraddizioni interne.

Tutto ciò contribuisce ad un alleggerimento dei meccanismi di controllo e ad un arricchimento della conoscenza di sè tale da rendere naturali e non forzate le scelte. Ne consegue un effetto di 'soggettivazione', ovvero di liberazione da schiavitù, condizionamenti e idee distorte. Le proprie debolezze vengono accettate, non più giudicate e perfino trasformate in punti di forza, da cui ricominciare, ripartire.

Il tratto più particolare, soggettivo, irriducibile viene alla luce, ripulito sia dalla polvere di inibizioni e sensi di colpa, che dal vittimismo del 'non ce la faccio', 'non sono abbastanza'.

Il cambiamento si presenta dunque da sè, senza sforzo, mentre il percorso che sta nel mezzo, sebbene stimolante, non è mai privo di difficoltà e fatiche, come in ogni vero attraversamento di qualcosa.

Aiuto psicoterapeutico , Psicoanalisi lacaniana