L’uso dell’analista come oggetto secondo Winnicott
L’analista, affinché l’analisi abbia un reale potere trasformativo, secondo Winnicott (si veda “L’uso dell’oggetto e l’entrare in rapporto attraverso identificazioni” in “Gioco e realtà”) va “usato” da parte del paziente come un oggetto collocato fuori dall’area dei fenomeni soggettivi. Che significa?
Qui Winnicott si sta riferendo allo sviluppo psichico del bambino, che si verifica nel momento in cui è in grado di entrare in rapporto con l’oggetto (il seno, la madre) in quanto tale, non più come un prolungamento di se stesso.
Dall’oggetto soggettivo all’uso dell’oggetto
Primariamente infatti l’oggetto è “soggettivo”, ovvero distorto dalle proiezioni e identificazioni che illudono che esso sia a disposizione del soggetto, sia lì per lui, dunque non dotato di un’esistenza autonoma.
Lo scatto maturativo per Winnicott coincide con la possibilità di “usare” l’oggetto in quanto tale, non più di entrarvi semplicemente in rapporto in una modalità fusionale. È l’uscita dall’onnipotenza. Essa implica una quota di distruttività, non tanto come conseguenza della frustrazione indotta dal confronto con la realtà (secondo la visione classica) ma per lo più come meccanismo che in se stesso trascina l’oggetto fuori dalla zona soggettiva. Si tratta di una distruttività non rabbiosa, condizione necessaria per eliminare l’oggetto soggettivo e lasciare spazio a quello reale.
A questo punto se l’oggetto (la madre e come vedremo analogamente l’analista) si dimostra in grado di “sopravvivere” a tale distruzione, si verifica la possibilità che esso possa essere usato creativamente ed essere dunque trasformativo.
La qualità di poter modificare infatti è data proprio dalla estraneità dell’oggetto al soggetto. Del resto, può modificarci qualcosa che è identico a noi? Esso non finisce al contrario per dar luogo ad uno sterile rivolgersi a se stessi?
La distruttività si accompagna allora alla gioia legata alla sopravvivenza dell’oggetto “Salve oggetto! Io ti ho distrutto. Io ti amo. Tu hai valore per me perché sei sopravvissuto al mio distruggerti”.
Se l’oggetto si sente minacciato dai maltrattamenti necessari operati dal soggetto, mettendo in campo delle strategie difensive di ritorsione, il suo potenziale di agente di cambiamento viene spento. Il rapporto collassa su un piano di confusione reciproca, scade al livello di un rapporto autoreferenziale.
Le interpretazioni difensive
Così per Winnicott molti analisti compiono l’errore di non sopportare la distruttività del paziente, che naturalmente ad un certo punto si palesa come naturale conseguenza del transfert, del rapporto cioè fra soggetto e oggetto (paziente e analista).
Tale non sopportazione da parte del curante può avvenire sia tramite atteggiamenti apertamente aggressivi oppure, più frequentemente e più sottilmente, attraverso il ricorso all’intepretazione in quanto tale.
L’interpretazione infatti può avere la funzione di auto difesa, di paravento. Parare l’attacco del paziente blocca pesantemente quell’ “evoluzione naturale del transfert” che porta il paziente ad essere sempre più fiducioso nella situazione psicoanalitica. Si verificano al suo posto stagnazione, prolungamento ad infinitum, ripiegamento narcisistico.
Piuttosto che di interpretare Winnicott suggerisce di tollerare gli attacchi e di aspettare. Aspettare che il paziente arrivi da solo a “capire in maniera creativa e con gioia immensa”, perché è solo lui ad avere le risposte. “Noi possiamo o meno renderlo capace di avere un senso globale di quello che si sa o di diventare consapevole con accettazione”.
L’analista sotto questa luce con la sua semplice esistenza Altra favorisce l’esperienza gioiosa (“estatica” per dirla con Fachinelli) dell’incontro e dell’accettazione della propria invisibile alterità, quella misconosciuta o sfuggita per paura.
Le interpretazioni trasformative
L’interpretazione allora non è da bandire tout court, ma da differire al momento in cui si è palesata la distruttività, la si è lasciata fluire e si è osservata la gioia nel vederci sopravvissuti. Allora come analisti possiamo essere certi di poter essere usati, e con noi le nostre interpretazioni.
Le interpretazioni sono efficaci nella misura in cui adesso provengono da qualcuno di cui il paziente ha accettato l’esistenza indipendente, una fonte del tutto diversa da lui e dalle sue proiezioni idealizzanti.
Qualcuno su cui non ha un controllo onnipotente, qualcuno che è Altro (per usare un linguaggio lacaniano) e non un mero fascio di proiezioni. Il sistema autoreferenziale del paziente ora è bucato, crepato. Una “sostanza diversa-da-me” può penetrare nel soggetto e modificarlo.
Detto ciò Winnicott non esclude che con certi pazienti possa bastare un legame con l’oggetto “soggettivo”. Anzi, in moltissimi casi si tratta di un rapporto da preservare in quanto regressione che permette un sostegno narcisistico.
Ma, dato che la psicoanalisi non è un “modus vivendi” ma “tutti noi speriamo che un giorno i nostri pazienti finiscano col non avere più bisogno di noi” , nella maggior parte delle situazioni l’obiettivo è arrivare ad uscire dalla sfera narcisistica per incontrare l’alterità nella sua forma più pura.
Pena l’interminabilità dell’analisi o la sua conclusione in nulla di fatto.
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