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Un esempio di uso dell’identificazione proiettiva in analisi

Nei seminari di Tavistock Bion afferma in maniera perentoria come la situazione analitica non sia semplicemente una “conversazione” fra esseri umani. Essa infatti vi si differenzia nella misura in cui entrano in gioco delle forze invisibili ma potentissime, che vanno oltre i messaggi scambiati attraverso il canale verbale

Un modo per definirle potrebbe risiedere nel concetto di “identificazione proiettiva” di Melanie Klein. Qualcosa, sostanzialmente una condizione simile ad uno stato emotivo, viene passato da un soggetto all’altro in parallelo all’espressione di contenuti verbali o soltanto di silenzi. Chi riceve questo qualcosa viene ad identificarsi con esso, sperimentando nel qui ed ora la sua dominanza nel proprio assetto mentale.

La reciprocità della situazione analitica

C’è una reciprocità nella natura della situazione analitica. Essa non va confusa con la predominanza dell’asse immaginario di cui parlano i terapeuti lacaniani. La critica di Lacan alle analisi fondate integralmente sul registro immaginario riguarda il fenomeno dell’empatia come accecamento del terapeuta rispetto al paziente e alla sua dimensione inconscia. Bion invece avverte della presenza di fenomeni di reciprocità proprio perchè gli analisti si esercitino a vederli, a riconoscerli e ad utilizzarli ai fini di un avanzamento della terapia.

Bollarli come fenomeni immaginari “tout court” puntando ad una rilevazione pura delle questioni di un paziente da parte di un analista come mera “funzione logica” è un mito e un limite del lacanismo. Che lo si voglia o meno l’analisi avviene fra esseri umani, sempre, ed essi sono costantemente sottoposti a pressioni, perdite di lucidità, identificazioni. La differenza la fa il tentare di accorgersi di che cosa accade davvero nella propria mente, in un costante e rinnovato esercizio di ascolto di se stessi e del paziente. Ciò riduce di molto non solo i vari accecamenti, ma promuove anche dei movimenti rispetto all’inerzia che minaccia ogni cura psicoanalitica.

Un esempio clinico

Bion in proposito ci fornisce un bell’esempio di un paziente difficile, uno che non osa esprimere nessun sentimento di rabbia o di frustrazione, che parla solo degli altri, che sembra psichicamente morto, come in catalessi. Non c’è da sorprendersi se non faccia progressi nota l’analista, le interpretazioni non sono nemmeno possibili, proprio perché manca del tutto uno strato conscio e inconscio su cui appoggiarsi.

Qual é l’elemento proiettivo in questo caso? Bion riferisce di sentirsi profondamente “frustrato” , frustrato lui, l’analista, al posto del paziente. Quest’ultimo infatti proietta una parte di sé dentro l’analista in modo da fargli provare tutta la sua frustrazione innominabile.

Ora, che cosa propone Bion rispetto al riconoscimento di tale identificazione proiettiva ? Suggerisce di usarla per sbloccare la situazione, interpretandola al paziente. “ Penso che lei mi faccia sentire frustrato in sua vece, in modo da non sentire alcun sentimento di frustrazione”.

L’effetto immediato è uno scoppio di rabbia e di aggressività, anch’esso interpretato come effetto di un’”inoculazione” sgradita da parte dell’analista verso il paziente. Nel breve infatti il paziente non può migliorare perché incomincia ad accogliere una parte di sé che cercava di tenere scollata dalla sua persona. Può quindi inasprire condotte autolesive o al contrario aggressive verso l’analista. Ma se riesce a tollerare tale incontro e ad accogliere il reale urticante correlato, le difese si smorzano e si può aprire via via il campo ad un’indagine di livello più alto, prima resa inaccessibile dall’aspetto difensivo.

Un gioco pesante

Dunque vedere attraverso le proprie difese, il proprio controtransfert per Bion significa riuscire a riconoscere umilmente, seduta dopo seduta le identificazioni in gioco. E vuol dire anche, in un certo modo, lasciarsi trasformare dall’incontro con il paziente: “generalmente devo far notare ai miei pazienti che non possono venire in analisi da me senza dovermi analizzare, volenti o nolenti. Potrebbero non gradirlo perché non sanno che tipo di collera potrei manifestare se toccassero il testo giusto” .

Detto ciò lo psicoanalista non vuole dire di lasciare libero sfogo ai sentimenti controtransferali, nè tantomeno di mettere il paziente nella posizione dell’analista. La sua è un’osservazione da capire, da non prendere alla lettera, da cogliere in tutta la sua paradossalità.

Ed egli la chiarisce proponendoci un’altra immagine, la metafora di due bambini che giocano, istruiti per bene a non percuotersi e a fare i bravi. Ecco, analista e paziente dovrebbero fare la stessa cosa, comportarsi nello stesso modo civile. Sapendo però entrambi che in realtà il loro è un gioco piuttosto pesante.

Un gioco cioè che porta a smascherare ciò che nella vita di tutti i giorni resta nascosto, un gioco che spinge a vedere in se stessi e negli altri ciò che non si pensava , con tutto il potenziale di dolore, di fatica, di stravolgimento, di rabbia e di gratitudine verso il compagno di giochi.

Aiuto psicoterapeutico