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Il bambino iperattivo

Nella contemporaneità ci si lamenta sempre più della così detta iperattività  infantile, dell’impermeabilità dei  bambini nei confronti dei no dei genitori, della generale intolleranza delle regole e della disciplina che caratterizza la condotta di molti piccoli.

Si tratta in effetti di una vivacità anomala, di un’esuberanza che non fa segno di una soggettività nascente e prorompente. Una certa oppositività è sana nella misura in cui contiene in sè i germi della personalità particolare del bambino,  che andrà via via delineandosi al di là dell’influenza dell’adulto. Mentre non è certo da esaltare la compiacenza passiva dell’infante, completamente inglobato nella volontà e nel detto genitoriale.

Oppositività sana e oppositività “malata”

Tuttavia il disvelarsi della soggettività è altro rispetto alla furia inconcludente del bambino iper attivo. La prima è un tentativo di recuperare una quota di “libertà”  perduta attraverso la separazione dall’Altro (che però emerge sullo sfondo di un sì preliminare a questo Altro, ovvero un’accettazione di base del proprio statuto “umano”, iscritto nell’ordine “simbolico” che offre un posto nel mondo al prezzo dell’impossibilità di godere illimitatamente).

La seconda invece sorge su un rifiuto tout court del primo tempo di “alienazione” ; il bambino resta fuori dal  trattamento da parte del linguaggio della pulsione, resta per così dire un piccolo selvaggio. La sua non costituisce  una ribellione al padrone, ma un puro non riconoscimento della figura del padrone in sé. Il “no”  non fa presa perché semplicemente non ha senso, non si aggancia a nulla, ovvero non riconosce il padre in quanto rappresentante dell’ordine simbolico, in quanto colui che interdice il godimento, lo regola e lo rende possibile in forma umana, sempre in parte sublimata.

Debolezza del Padre e capriccio della madre

Non a caso nella storia di questi bimbi é sempre rintracciabile la figura di un padre debole, non in grado di incarnare la funzione simbolica di interdizione del godimento incestuoso. Ed è la madre che fa esistere il padre, semplicemente desiderandolo, sostenendo agli occhi del bambino la sua figura. Le madri in scenari così non desiderano davvero  il padre dei loro figli (o anche altro) ma cercano la propria soddisfazione pulsionale direttamente nelle loro creature. Ne consegue un impoverimento se non una vera e propria inefficacia  della presa del mondo simbolico sulla pulsione, che resta pertinacemente attaccata alla madre, oggetto primordiale di attaccamento.

L’iperattività è quindi la manifestazione esteriore di questo eccesso pulsionale non trattato per la via tradizionale dell’Edipo. Il problema non è l’amore incestuoso per la madre, presente in tutti i bambini, ma la sua non risoluzione attraverso l’intervento di un terzo, di qualcosa che rompa la coppia, buchi la bolla di ripiegamento reciproco e svincoli il bambino dalla scomoda  posizione di oggetto della madre.

Tale iperattività non a caso si scatena inizialmente quando sono “fatti” esterni a costringere al distacco dalla madre, suscitando una quota di aggressività smodata. Di solito è la madre stessa ad allontanare bruscamente il bambino, per poi riattirarlo a sè secondo il proprio capriccio. Nessuna legge fa presa se non quella della madre, guidata unicamente dalle sue voglie. E se la volubilità materna è particolarmente accentuata, magari anche a causa di un disturbo di personalità, il danno é garantito, nella misura in cui non solo vige unicamente la legge della madre, ma essa è pure completamente imprevedibile e inaffidabile.

Segni di disagio

Va da sé che l’inadeguatezza  infantile si manifesti negli  ambienti sociali (come la famiglia stessa, l’asilo o la scuola) , luoghi in cui è necessaria una qualche  regolazione pulsionale (in società infatti  non si può ottenere perentoriamente tutto ciò che si vuole). Bambini di questo tipo non sono “vivaci”  perché  si ribellano alle costrizioni indotte dal vivere sociale, essi  non hanno minimante il senso di cosa significhi stare in mezzo agli altri perché non hanno inscritta nel loro inconscio  la nozione dell’Altro grande, la nozione di Padre con la p maiuscola.

Così i divieti sono parole vuote, i rimproveri rimandi incomprensibili, che tentano vanamente di fare appello ad una nozione di legge che manca completamente nella mente.

Narcisismo, esibizionismo sessuale inappropriato, aggressività verso i pari e verso gli stessi adulti, deficit di attenzione (la capacità di pensare é minata dalla presenza costante della pressione pulsionale) e volubilità emotiva costituiscono i segni clinici tipici rilevabili da chiunque.

Non da ultima è la sofferenza che questi bambini esprimono nei momenti di crisi, indotte dal braccio di ferro che inevitabilmente si viene a creare con l’adulto di riferimento (genitore, insegnante, nonno ecc...). Nei pianti disperati non di rado capita che si chiedano cosa ci sia che non va in loro, perchè gli altri bambini non li vogliamo, perché ci sia qualcosa in loro che li disturba così. Barlumi di consapevolezza che poi affondano nuovamente sotto la condotta usuale.

Impasse terapeutiche

Il problema grosso con cui si scontrano i curanti più illuminati (molti infatti si limitano serenamente a somministrare farmaci per sedare i piccoli diavoli)  concerne il diniego totale da parte dei genitori delle proprie  responsabilità.  Nella maggior parte dei casi appare impossibile ottenere una collaborazione che non sia di facciata e superficiale  nel sondare cosa può essere davvero andato storto non solo nella storia del bambino, ma nella loro stessa storia di coppia.

Il bambino iperattivo più di altri è sintomo del disagio della coppia, a sua volta derivante dall’irresoluzione di ciascuno dei due partner rispetto alla questione profonda  del proprio desiderio. Difficile per le madri ammettere di non aver mai desiderato il coniuge, o ad un certo punto  di aver smesso di farlo. Difficile per i padri vedere la loro resa e la loro passività nell’accettazione di un ruolo marginale nel cuore delle loro compagne.

Lo scarso desiderio verso il compagno si accompagna poi frequentemente ad una desertificazione degli interessi vitali al di fuori della famiglia. Il figlio in questi scenari è stato tanto voluto nella speranza che la sua venuta al mondo potesse dare un senso alla propria vita. Ma non nell’ottica  di un impegno in cui il dare è preventivato al primo posto. Piuttosto una sorta di oggetto gadget su cui proiettare aspettative di rinforzo ad un narcisismo compromesso, a problematiche psichiche rimaste irrisolte o quanto meno non portate ad un livello sufficiente di consapevolezza.

Il clinico per fare qualcosa di veramente efficace per questi bambini ha bisogno della collaborazione dei genitori, non certo per colpevolizzarli, ma per coinvolgerli in un processo che, seppur in ritardo, possa supplire parzialmente a ciò che è andato perduto. Ma nella maggior parte dei casi si trova di fronte muri di gomma, nell’ambigua posizione di attesa di miglioramenti che non li mettano in questione. Infatti, ogni miglioramento del bambino innescato alla terapia necessita di un contesto preparato per accoglierlo. Miglioramento non vuol dire non dare più problemi, anzi, può coincidere con un temporaneo ed apparente  acuirsi del problema, che solo un ambiente familiare che si è messo radicalmente  in discussione nel suo complesso può tollerare.

Rapporto genitori figli