Cultura del fitness e benessere: davvero un binomio?
Nell’epoca contemporanea la pratica di un’attività sportiva viene riduttivamente considerata come un mezzo per mantenersi in forma, aumentare il buon umore, promuovere l’azione, favorire una corretta igiene dei ritmi sonno veglia e scaricare stress e tensioni.
La componente del piacere, che si fonde con il rispetto della disciplina e la resistenza psicologica alla fatica (vera ricchezza di ogni pratica sportiva) viene appiattita sulla dimensione del “dovere per la salute” svuotato di ogni desiderio.
La legge tirannica del fitness
Da questo punto di vista i tanto decantati effetti “terapeutici” dello sport (con le loro implicazioni in termini edonistici e prestazionali) sono ricercati di per sé, al di là del gusto e della ricchezza specifici di una determinata disciplina sportiva.
Il concetto di “fitness” viene erroneamente confuso con quello di sport. Esso pone per l’appunto l’accento sugli obiettivi concreti da raggiungere ai fini dell’incremento dell’adattamento agli standard della società in cui viviamo (fisico scolpito, endorfine a mille, iper attivazione), privilegiando di fatto dei movimenti fini a se stessi tipici degli allenamenti con i macchinari o strumenti vari in palestra.
L’ inseguimento di un corpo in linea con i canoni estetici imposti dai mass media, unitamente alla ricerca ossessiva di una valvola di sfogo di frustrazioni di vario genere, di fatto “costringe” ad allenamenti il più delle volte svolti contro voglia, svuotati di ogni senso e di ogni dimensione ludica.
Effetti negativi
Questo modo di intendere l’esercizio fisico, meramente orientato ai risultati piú che alla pratica in sé, rischia poi non solo di diventare un nuovo diktat sociale ma di ingenerare pure degli effetti negativi paradossali.
L’obiettivo è dimagrire? Dato che muoversi aumenta i volumi muscolari si cominceranno diete restrittive per non “ingrandirsi”, con il risultato di far venir meno l’energia necessaria a sostenere la fatica dei vari “training”.
Per non parlare del deterioramento alimentare favorito dall’abuso di barrette energetiche o sostanze addirittura dopanti.
Lo scopo è combattere lo stress? Fame, fatica e imperativi categorici non aiutano di certo. Si vuole garantire un sonno più profondo? È noto come una condizione di esaurimento psico fisico inibisca anziché favorire un riposo adeguato.
Dunque ad un certo punto qualcosa si inceppa nella pratica del fitness inteso come modo per essere più belli, sani e prestanti. Diventando un ingranaggio in cui in molti restano schiacciati senza rendersene neppure conto.
Non a caso oggi la dipendenza patologica da pratica di fitness è un fenomeno che osserviamo anche non di rado nella clinica, soprattutto in quella dei disturbi alimentari e dei quadri clinici connotati da maniacalità.
Le personalità più fragili, con tematiche depressive latenti, possono tentare attraverso la via del fitness una sorta di auto terapia, finendo però nel tunnel dei lavori forzati e della lotta “contro” il corpo.
Sport e desiderio
La pratica sportiva autentica e francamente terapeutica per lo spirito invece si differenzia nella misura in cui non mette al primo posto nulla che non sia la passione. E da essa deriva tutto: disciplina, rigore, sopportazione della fatica, sostanziale indifferenza verso eventuali asimmetrie fisiche indotte, ammissione e rispetto del proprio limite, pur nella sua costante messa alla prova.
Va da sé che il desiderio a cui si fa riferimento non possa nascere per i movimenti stereotipati e seriali innescati dai più sofisticati macchinari. Essi non sono da demonizzare, hanno una loro utilità se non vengono fatti oggetto di un’attenzione ossessiva. Come le medicine (se prese nelle dosi prescritte) anche le macchine servono, però, sempre per restare sulla metafora delle medicine, non possono assolutamente sostituire uno stile di vita sano.
La passione può nascere quindi per una disciplina specifica o più d’una, come la danza, la corsa, il nuoto, la scalata, le arti marziali, gli sport di squadra, l’atletica ecc…
Anche questi ambiti, soprattutto a livello agonistico, purtroppo non sono esenti dalla contaminazione della mentalità da fitness e prestazionale, con le conseguenti aberrazioni sulla salute giá descritte. Disturbi alimentari e abuso di sostanze dopanti sono degenerazioni diffusissime ed ormai sotterraneamente accettate come “normali” un po' ovunque.
Potenziale terapeutico
A rigore tuttavia, senza l’interferenza della follia del risultato frutto della grandiositá oggi imperante, la passione per una disciplina sportiva ha in sé un potenziale terapeutico notevolissimo.
Essa, anche praticata non più in età strettamente giovanile, oltre a mettere in contatto con l’elemento natura e con la fisicità, ha la virtù indiscussa di favorire l’incontro con il proprio limite, di tenerne da conto (e dunque di accettarlo) e tuttavia di persistere nonostante la fatica.
A venirne rafforzata non è una volontà arrogante e prevaricatrice, ma una forza che si basa su una rinnovata consapevolezza “psico fisica”.
Si tratta della resistenza, di quel “tenere duro” anche in condizioni sgradevoli senza perdere concentrazione e fiducia.
Il baricentro interiore in questo modo si stabilizza, il carattere si tempra verso dolori e avversità cosí come si allarga la percezione di sè e dell’ambiente circostante.
Tutti punti in comune con le acquisizioni di un lavoro psicoterapeutico profondo, che mira non tanto a rafforzare narcisisticamente l’Io quanto a renderlo spietatamente edotto dei suoi limiti.
Il ridimensionamento conseguente non ha il senso della mortificazione e della rinuncia, al contrario stabilisce con lucidità le condizioni entro cui può esercitarsi l’aone.
Ed è a questo livello che addirittura possono verificarsi delle vere e proprie “magie”, ovvero delle performance eccezionali, dei salti, degli strappi enigmatici e momentanei rispetto ad una condizione sempre e comunque umana.