La famiglia oppressiva
La famiglia è strutturalmente “oppressiva”, nella misura in cui i genitori, anche i più illuminati, inevitabilmente tramite l’educazione introducono dei limiti e trasferiscono convincimenti e modalità di comportamento che non sempre si adattano al meglio alla natura dei figli.
Generalmente in un contesto abbastanza sano, la crisi adolescenziale è sufficiente per avviare un processo di integrazione di ciò che è stato appreso in casa con altre visioni del mondo e possibilità. Gli adulti sufficientemente equilibrati sanno fare un passo indietro e lasciano che il ragazzo li critichi e compia delle sperimentazioni. Di solito in contesti del genere già nell’infanzia non vengono messi dei confini troppo rigidi rispetto alle esplorazioni che il figlio può fare. Data una certa struttura costituita di valori e abitudini familiari, i margini di movimento in questi casi restano comunque ampi.
Ma che ne è invece di un ambiente francamente oppressivo? Come è possibile, per chi c’è immerso, capire, al momento delle scelte cruciali della vita, chi è, cosa vuole, quando un invisibile peso si è ormai innestato e stratificato nell’intimo?
La famiglia che schiaccia, coarta, annichilisce le potenzialità espressive e di sviluppo dei figli è quella composta da madre e padre (o uno dei due che domina sull’altro) che agiscono sistematicamente secondo una modalità autoritaria. Lo stile più classico è quello del padre padrone, solo però apparentemente sorpassato nell’epoca attuale.
Oggi permangono delle forme di autoritarismo, anche pesanti, che si esprimono in maniera meno diretta, meno plateale, camuffate dalla retorica dei buoni sentimenti e celate dietro personaggi che esibiscono modalità libertarie e progressiste.
In quali comportamenti si disvela lo stile tirannico e dispotico? E quali sono le conseguenze per la psiche di chi è sottoposto a un tale bombardamento per almeno i primi vent’anni di vita se non oltre?
Lo stile dispotico
L’atteggiamento dittatoriale lo possiamo ritrovare anche nell’educatore che agisce a fin di bene. In ogni educazione si nasconde fatalmente una prevaricazione, ma ciò non può essere una scusa per rinunciare a educare. Ciò che infatti distingue l’educatore esaltato da quello moderato è l’identificazione del primo al suo ruolo, mentre nel secondo vediamo permanere dei dubbi, e soprattutto la capacità di auto critica e di messa in discussione di sé. Quest’ultima fa una differenza enorme e sostanziale, sbagliare è lecito, anche prendere posizioni estreme. Ciò che è invece davvero letale è l’assenza di qualsiasi interrogazione critica rispetto a ciò che si è detto o si è fatto.
Il genitore opprimente è del tutto privo della benché minima disposizione a guardarsi dentro. È come cementificato nelle proprie convinzioni e volontà, che non propone ma impone senza se e senza ma.
Agli occhi dei figli egli è come una montagna impervia e altissima, impossibile da affrontare, in primis dal punto di vista verbale. Nessun contraddittorio è possibile, non solo quando egli si rifiuta al dialogo come alla vecchia maniera per cui “non voglio sentire volare una mosca”, ma anche più modernamente quando fa mostra di voler parlare.
Il così detto dialogo si riduce in breve ad una rissa verbale; la sordità del genitore è tale non solo da non fargli percepire l’asprezza del proprio tono e delle proprie parole sferzanti, ma lo rende anche impermeabile alla ricezione dei contenuti dell’altro. Non di rado il figlio che non si sente ascoltato se è piccolo diventa fastidioso e se è più grande alza la voce per tentare di rompere il muro di sordità dell’altro. Per sentirsi poi dire di essere lui il problema, l’iperattivo, l’aggressivo.
Spesso infatti il padre o la madre di questo tipo accusano di malvagità i loro ragazzi o attribuiscono le peggiori etichette. L’impossibilità di riconoscere criticamente i propri eccessi (per altro umani) determina massicce proiezioni, per cui l’altro viene investito di qualità negative.
In questa maniera chi proietta può sentirsi una vittima e perpetrare l’atteggiamento di diniego della propria aggressività. Finisce poi per usare il ritiro della parola in maniera strumentale, per indurre il più debole al vacillamento ed infine alla resa. Pur di essere amato il figlio generalmente passa sopra e dimentica, fino alla prossima occasione.
Le conseguenze per la psiche
Le conseguenze di chi viene allevato in un clima simile non sono delle più leggere. Per molta parte della vita il ragazzo che assorbe costrizioni, ingiunzioni, critiche e ricatti più o meno sottili si fa l’idea di essere lui ad avere qualcosa che non va. Soffre e pensa di essere tutto sbagliato.
C’è chi poi cresce, si sveglia e si accorge del grande inganno, quando magari molti treni sono ormai perduti. Qualcosa, nella sua persona, è stato violentato, schiacciato, ma se ha una particolare riserva di lucidità può attuare delle manovre di resistenza e di ribellione, comunque non senza costi e storture.
Diventerà un adulto allergico alle costrizioni ma si accorgerà, fatalmente, di incapparci sistematicamente e di dover mobilitare ogni volta mastodontiche energie per affrancarsi. Di solito persone così ad un certo punto cercano di vederci più chiaro e si mettono alla ricerca, leggendo, analizzando, intraprendendo anche delle psicoterapie. La libertà resta la loro chimera impossibile da raggiungere ma voluta e ricercata in tutti gli ambiti della vita.
C’è poi chi resta schiacciato del tutto, e neanche se ne accorge tanto è dentro al vortice di mortificazione. Personalità di per sé non molto forti non sono in grado di affrontare il tiranno a muso duro né di sfilarsi dalla sua presa mortifera. Anche quando se ne vanno di casa se lo portano dentro, o subendo tutta la vita dentro relazioni tossiche o esercitando a loro volta una volontà malata di dominio.
Per queste persone le possibilità di cura sono più scarse ma non impossibili. Frequentemente da adulti, dopo che si ritrovano con le vite distrutte a causa di scelte totalmente sbagliate, possono cominciare a capire delle cose e a mettere in atto delle strategie di difesa più funzionali.
Molti iniziano a conoscersi così, tramite la catastrofe. Le loro sofferenze allora non sono inutili, perché ogni volta che ci si mette di fronte a se stessi la vita assume improvvisamente senso e luminosità. La verità è un urto che può curare, se non la si rifiuta essa ripaga sempre, in qualche imperscrutabile maniera.