L’ansia psicosomatica
Quando si parla di ansia si hanno in mente i sintomi classici: tachicardia, tremori, sensazione generale di inadeguatezza, offuscamento mentale, pensieri ossessivi.
La persona, durante la crisi ansiosa, è dolorosamente cosciente del proprio stato, lo avverte ma non è in grado di controllarlo con la volontà.
L’ansia ha la capacità di annebbiare e di inibire al punto tale da impedire ogni espressione spontanea di sè, di spingere verso azioni assurde e controproducenti e di far fare figuracce.
Contenimento dell’ansia e rischio di somatizzazione
Tipicamente gli ansiosi con il tempo imparano a contenere le proprie ansie, sia grazie a percorsi terapeutici che in virtù di ricerche e tentativi svolti in autonomia.
Può accadere così che consapevolezze faticosamente raggiunte o strategie ad hoc di aggiramento del problema aiutino notevolmente nel rendere la montata ansiosa meno invalidante e più gestibile.
In genere nel primo caso, quello in cui tramite un lavoro psicoterapeutico si arriva ad agganciare la dinamica inconscia sottostante, le remissioni sintomatiche sono più durature e stabili.
Se le tecniche di controllo dell’ansia non sono da disprezzare, esse hanno il limite di mettere al lavoro soprattutto l’Io cosciente, trascurando le profonde e ramificate radici inconsce alla base del sintomo.
In questi casi sicuramente l’ansia recede dalle “situazioni tipiche”, lasciando spazio a performance altrimenti impensabili, per riapparire però altrove in forme più subdole.
I così detti sintomi psicosomatici a carico del sistema digestivo (gastriti, coliti e perfino certe intolleranze alimentari) sono un esempio di come l’ansia possa riaffiorare attraverso la via somatica.
Eradicata con successo essa trova modo di farsi sentire in altro modo. Messa a tacere inizia a esprimersi con il linguaggio muto del dolore fisico.
Anche certe aritmie cardiache (le così dette palpitazioni) altro non sono che una somatizzazione dell’ansia.
Cuore e apparato gastro intestinale infatti si prestano bene al processo di somatizzazione perché ricchi di terminazioni nervose (le loro funzioni sono controllate dal sistema nervoso autonomo).
Profilo psicologico del soggetto psicosomatico
Appare chiaro allora quanto l’ansia non sia imbrigliabile definitivamente da tecniche o pratiche e, anzi, proprio quella di natura psicosomatica costituisca un segnalatore implacabile di qualcosa di profondo a cui non viene accordato il dovuto spazio e ascolto.
L’eccesso di controllo si accompagna sempre alle forme psicosomatiche dell’ansia.
Gli psicosomatici non sembrano affatto individui fragili e vulnerabili, anzi,si presentano come dei duri, forti, vincenti.
Per qualche motivo nella loro mente si è creata l’associazione fra vulnerabilità e non desiderabilità. Inconsciamente fanno di tutto per nascondere agli occhi dell’altro (e dunque in primis ai loro stessi occhi) i segni di eventuali mancanze.
La questione narcisistica è molto presente. Una poderosa frustrazione dell’immagine di sè, episodica o protratta nel tempo, li ha colpiti nel corso dell’infanzia o dell’adolescenza, portandoli a sviluppare un’immagine carente e deficitaria di se stessi.
Spesso i futuri psicosomatici sono stati anche concretamente vittime di bullismo o di atteggiamenti violenti e di esclusione da parte del gruppo dei pari.
Tutta la loro vita potrebbe essere letta come un immane sforzo di ribaltare quel “meno” in un “più”, di impossessarsi finalmente di un’immagine di successo, eternamente sfuggente nonostante tangibili prove di realtà.
Persone così possono raggiungere anche traguardi notevolissimi senza che il loro inconscio si plachi, senza che si sviluppi finalmente un amore incondizionato verso se stessi, pregi e difetti inclusi.
Sfide e compiti ardui vengono portati a termine non tanto e non solo perché agganciano una passione forte, ma soprattutto per “dimostrare” in continuazione a tutto e tutti quanto si è bravi e prestanti. Bisogna sempre tenere il livello d’allerta elevato e mantenere ben nascosto il lato fragile, la magagna.
E non basta mai. Se per caso poi il desiderio di apparire va incontro ad una debacle o ad un insuccesso, riemerge con effetti devastanti l’immagine di sè vulnerabile e “perdente”.
Molte persone con queste caratteristiche soffrono della così detta sindrome dell’impostore, credono cioè nel loro inconscio di occupare indebitamente posizioni lavorative e sociali prestigiose per cui hanno duramente lavorato. L’immagine inconscia di se stessi è così negativa da non combaciare con la realtà, nei fatti di tutt’altro segno.
A volte sentirsi degli impostori segnala in primis l’autoinganno: ho fatto tutto questo per me o per qualcun altro? A chi e che cosa dovevo dimostrare? Da chi volevo e in fondo voglio ancora essere riconosciuto?
Per via di tale buco nell’immagine di sè non mancano tendenze più o meno marcate alla depressione e alla rabbia.
Come uscire dal circolo vizioso della somatizzazione
Si capisce in questi quadri come sia di vitale importanza mettersi in contatto periodicamente con il proprio vero stato emotivo, non tanto per schiacciarlo e silenziarlo, quanto per dargli il dovuto ascolto.
Il grosso limite di un approccio “dimostrativo” è quello di ribaltare un “meno” in un “più” solo al livello osservabile dagli altri.
La persona non deve aver paura di chiedersi se è davvero felice, davvero soddisfatta, davvero in pace con se stessa, ben al di là dei traguardi raggiunti.
Il rischio di restare condizionati dall’apparire per gli altri è quello di vivere una vita di successo apparente che però non rispecchia il proprio sè profondo, ormai smarrito sotto coltri di identificazioni.
I sintomi psicosomatici dicono sempre una verità che non vogliamo vedere.
Invece di accanirsi su strategie mediche per eliminarli c’è da domandarsi di quale verità si tratti e poi prendersi del tempo per restare in ascolto.
Non è mai troppo tardi per mettere in discussione scelte e situazioni apparentemente desiderabili ma di fatto angoscianti.
E soprattutto non è mai troppo tardi per imparare a volersi bene, per rilassarsi ed accettare proprio quell’imperfezione per cui siamo stati rifiutati.