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La difficoltà ad amare senza condizioni

La principale causa di sofferenza e di distruttività nelle relazioni d’amore (fra partner ma anche fra genitori e figli o fra semplici amici) è la non accoglienza piena dell’altro per quello che è.

Dall’ideale al reale di se stessi

Il giudizio e il tentativo di controllo sono le modalità principali attraverso cui si sostanzia tale rifiuto dell’altro.

In genere i problemi cominciano dopo una prima, facile fase di idealizzazione in cui il partner o il bambino sono percepiti come estensioni migliorative e riparative del proprio sè.

L’incontro con il nuovo infatti si presta di frequente a questa fuga illusoria da se stessi. L’emergenza di elementi dissonanti con il quadro atteso, riporta inevitabilmente a galla i propri temi e le proprie debolezze non affrontate.

L’imperfezione, l’irregolarità dell’altro sono considerate intollerabili nella misura in cui mettono forzatamente in contatto con le proprie mancanze, facendo risuonare  interiormente qualcosa di cui non si vuole prendere atto.

Due esempi di rifiuto del proprio difetto nell’altro

Un bambino dolce e buono, nel momento in cui mostra un forte lato ribelle e aggressivo può mandare in tilt il genitore, nella misura in cui gli mette davanti agli occhi la sua stessa aggressività.

Se questo genitore non è disposto a guardarsi dentro profondamente e a capire la vera causa del disagio che sente, la reazione sarà repressiva verso il figlio. Lo giudicherà e tenterà  di controllarlo, etichettandolo e inasprendo condotte autoritarie.

Non solo, attribuirà alla “cattiveria” del figlio la causa del proprio malessere e giustificherà così la propria aggressività repressa, a cui  darà per tale via uno sfogo “legittimo”.

La stessa cosa avviene fra partner. Se lei è una donna super attiva e lui un tipo accondiscendente, il quadro ideale è composto, si fa come vuole lei per buona pace di entrambi.

Ma quando emerge un risvolto poco gradevole del carattere mite di lui, una certa lentezza unita a irresoluzione, ecco che in lei scatta il rifiuto, la critica e il tentativo di manipolazione.

Anche in questo caso il partner, con la sua fastidiosa flemma, ingenera un’inquietudine nella misura in cui presentifica nella compagna dei fantasmi di impotenza rimossi.

A ben vedere proprio  in virtù di questo non volerne sapere in lei si sviluppa un atteggiamento iper attivo, nel tentativo di cancellare con l’azione una sottostante fragilità non ammessa.

Stesso discorso fra amici. Ci si conosce e si beneficia dell’effetto di rispecchiamento reciproco.

Ma quando le differenze affiorano, anche in termini di scelte di vita, è facile che l’amicizia finisca, di colpo o per lenta erosione.

L’invidia è uno dei killer numero uno dei sentimenti d’amore nelle relazioni fra pari. Essere dello stesso sesso inoltre  potenzia l’effetto narcisistico dello specchio, rotture comprese. E impedisce di godere dello scambio con ciò che troviamo interessante nell’amico, la sua diversità.

Come uscirne?

Non riuscire ad amare senza condizioni non è dunque mai la conseguenza di una “non amabilità” intrinseca nell’altro.

Come abbiamo visto la non accoglienza totale in amore deriva dalle aspettative frustrate  di riparazione del proprio sè attraverso la relazione.

Ogni rapporto umano è destinato a ingenerare  frustrazioni simili, nella misura in cui in ciascuno di noi si annidano ombre e fragilità. Oggetti d’amore totalmente esenti da difetti non ne esistono.

Amare incondizionatamente non significa non vedere lucidamente i limiti dell’altro, non poterli nominare e doverli sottacere. Non vuol dire nemmeno non provare mai stanchezza o preoccupazione per eventuali involuzioni negative.

Significa però avere un atteggiamento di benevolenza nei loro confronti, a partire dalla consapevolezza del loro essere inestricabilmente un tutt’uno con i pregi della persona.

Non solo. Se certi limiti di un figlio, di un compagno o di un amico sconvolgono tanto fino al punto di essere percepiti come intollerabili, c’è da chiedersi che cosa essi attivano in noi.

In genere il limite o il difetto altrui risvegliano in maniera dirompente tendenze personali rimosse o tenute a bada con espedienti, le slatentizzano e le fanno uscire fuori nella più totale inconsapevolezza.

Cercare di mettersi in contatto col proprio malessere senza ricondurlo all’altro è la via da seguire.

Si può così trasformare una crisi nel rapporto in un’opportunità di autoconoscenza in più, in cui il riaffiorare di elementi rimossi non viene perso in una sterile reazione ma diventa strumento per associazioni e messa a fuoco di pezzi di un passato ancora ingombrante perché non digerito.

Quando la crisi e la conflittualità familiare si accentuano oltre un certo limite può valere la pena fermarsi per un po’ per un’autoanalisi.

La psicoterapia costituisce un’opzione interessante anche se non l’unica possibile. L’importante è riuscire a mettere a fuoco la modalità vittimistica -distruttiva, la sua sterilità e negatività, per addentrarsi in un coraggioso percorso di riscoperta di sè.

Il risultato è un potenziamento dell’amore non narcisistico verso la propria persona, che si estende anche alle parti meno nobili e seducenti.

Dall’assunzione del proprio “peggio” deriva la possibilità di amare l’altro così com’è o di dirsi <<bene, questo rapporto non fa proprio per me, è troppo per me>>

Se è vero che in un rapporto almeno uno deve fare il primo passo per andare incontro all’altro, è altresì vero che per restare vicini bisogna che ci si mobiliti in due (tranne nei casi di  figli piccoli)

Ma in quest’ottica di verità, anche quando ci si saluta o ci si lascia andare, si può continuare a nutrire sentimenti amorevoli e non rancorosi, alla luce della consapevolezza del proprio ruolo giocato nella relazione.

Ansia patologica