Amore e ripetizioni disfunzionali
Molte giovani donne chiedono aiuto a seguito di relazioni sistematicamente fallimentari con il maschile.
Le continue “debacle” fanno sorgere il dubbio che ci sia qualcosa che non vada nel proprio modo di amare.
Conflitto e ripetizione
Spesso l’autostima ne esce lesa; compito della terapia è allora riuscire a orientare bene questo prezioso movimento di interrogazione, impedendo che si risolva in un’inutile autoflagellazione. Chiedersi i perché delle proprie azioni è un gioco interessantissimo, a patto che non finisca per mettere in dubbio il valore di fondo di se stessi.
In questi casi il lavoro psicoterapeutico può offrire una visione più completa e perfino rivoluzionaria. Ciò che ha le sembianze di un fallimento continuo (relazioni interrotte) può rivelarsi invece come un tentativo di guarigione, pur nell’ambito di un sabotaggio di sè.
In ogni atteggiamento ripetitivo e sintomatico c’è sempre questo doppio versante, messa in scena di una questione irrisolta e liberazione dalla stessa, tutto su un piano di realtà e ad un livello psichico largamente inconscio.
Il conflitto tra il potere del passato (dinamiche familiari tossiche) e la volontà di affrancamento viene teatralizzato senza consapevolezza. In terapia si tratta di cominciare a riconoscere lucidamente entrambi i movimenti, al fine di comprenderne le ragioni profonde.
Tipicamente molte giovani donne restano affascinate da personaggi maschili che in qualche modo le trattano nella stessa maniera che avveniva in casa durante l’infanzia.
Queste figure maschili spesso sono un mix di tratti paterni e materni. Il cocktail è particolarmente micidiale perché riattualizza in uno stesso movimento sia l’attaccamento inconscio irrisolto alla madre che quello al padre.
Non a caso la sensazione di familiarità viene costantemente evocata per far capire quanto la persona fosse “speciale”.
“Fin dai primi momenti ho sentito di conoscerlo da sempre” è il leit motiv ricorrente nei racconti, che evocano la figura del “colpo di fulmine”, dell’immediata e irragionevole sensazione di connessione fisica e mentale.
In generale in ogni innamoramento si verifica tale accecamento percettivo. Il problema nasce quando risulta impossibile prescindere da questo immaginario, per conoscere e capire l’altro davvero per quello che è. L’incantesimo tiene incollati in un equivoco destinato a non sciogliersi nel breve.
La sensazione di familiarità innesca senza troppi dubbi quella dell’amore, l’amore intenso, sofferto e profondamente ambivalente sperimentato nell’infanzia in rapporto ai genitori.
L’aspettativa inconscia è quella di poter finalmente rivivere quell’amore senza le connotazioni negative del passato, risolvendone l’ambivalenza. Una sorta di correzione nel reale, di cancellazione.
Purtroppo ciò che accade è che si verificano esattamente le stesse dinamiche disfunzionali. Esse vengono subite a lungo in nome di quella speranza iniziale, vero motore del rapporto.
Se il partner incarna “realmente” un mix di caratteristiche e atteggiamenti che hanno fatto soffrire in passato, come potrebbe esserci un lieto fine?
Tra questi atteggiamenti sono rilevanti la modalità colpevolizzante, la saccenza, il porsi come colui che conosce per scienza infusa il bene dell’altro, la sfuggevolezza ecc...
In ultima analisi è centrale una modalità possessiva e padronale, tipica del genitore autoritario (che al fondo è una persona fragile e bisognosa di controllo).
Lo schema prevede illusione iniziale, lungo e contrastato processo di disillusione per arrivare infine al taglio netto (in genere però è già all’orizzonte un nuovo incontro con caratteristiche molto simili).
Come interrompere lo schema?
La sfida terapeutica è dunque quella di far toccare con mano la prigionia nel passato, per far venire a galla i nodi rimasti irrisolti e promuovere un ulteriore lavoro di metabolizzazione. Non più fuga e ripresa da capo altrove ma attraversamento.
È importante inoltre mettere in valore il taglio non come modalità di chiusura di quella concreta situazione (a cui tanto ne seguiranno altre simili) ma come possibilità di separazione e di ripresa di un proprio sguardo indipendente e personale sulle cose.
Il parametro numero uno per misurare quanto un rapporto sia sano e costruttivo resta sempre lo stesso, ovvero il sacro rispetto della libertà dell’altro.
Allora si può capire quanto stare in un determinato legame abbia senso. Esso ostacola o arricchisce l’espressione libera della personalità, dei desideri e perfino delle debolezze altrui? È gentile con l’irregolarità, la sa accogliere, sa vedere oltre ad essa o si rivela puro desiderio di dominio e attaccamento?
L’amore vero è ricerca, è tensione verso l’accoglienza totale dell’altro per quello che è, non una virgola in più, non una virgola in meno.