Sviluppare la fiducia in se stessi
La psicoterapia è uno strumento in grado di incrementare la fiducia in se stessi. Un buon percorso psicoterapeutico infatti, anche quando non è specificatamente ricercato per problematiche di insicurezza, aiuta sempre a recuperare un’alleanza più salda con la propria interiorità, a dispetto delle aspettative sociali e delle false convinzioni accumulate negli anni.
Aspettative e stagnazione terapeutica
L’incremento del senso di fiducia nelle proprie possibilità non accade grazie al rinforzo diretto dell’autostima da parte del terapeuta.
Sicuramente l’occhio imparziale del terapeuta riesce a cogliere i punti di forza del suo assistito (proprio perché il suo giudizio non è inquinato dalla conoscenza e in generale da passioni che possono alterarne la lucidità), tuttavia egli non esprime quasi mai elogi, proprio per non alimentare false sicurezze.
La falsa sicurezza infatti è strettamente legata alla dinamica dell’approvazione:ci si sente tranquilli e a posto solo se l’altro riconosce il valore della nostra persona e del nostro operato.
Tale senso di riconoscimento può essere poi ricercato per se stesso, al punto tale da far assumere modalità artificiose e affettate pur di piacere. L’esibizionismo oppure il chiudersi a riccio diventano dei modi per attirare l’attenzione, impoverendo e arenando il lavoro terapeutico.
Quando la terapia è condotta bene si va ben al di là del rapporto duale fra paziente e analista. Il campo viene completamente sgomberato dalle aspettative.
Sullo sfondo di un’accoglienza benevola (trattare male o eccessivamente freddamente un paziente non ha nessun senso) ci si sente liberi di dire ciò che si vuole e come si vuole, perché si capisce che il terapeuta non ha nessun interesse nel vederci in un modo che non sia il nostro.
Questo senso di libertà di essere, di esprimersi col proprio stile (leggero, complicato o pesante che sia) è la condizione “sine qua non” non solo per la riuscita del percorso, ma anche del potenziamento di un ancoraggio solido a se stessi.
La fragilità dell’Ego che si modula sulla base delle attese dell’altro non porta nulla di buono, sia nella stanza d’analisi che nella vita.
Si può andare avanti a fare terapia per anni senza venire a capo di nulla, restando impigliati nella rete dell’altro.
La terapia in questi casi finisce per essere un calco, una ripetizione della situazione di partenza che ha fatto ammalare, con tutti gli zuccherini e i bocconi amari che contraddistinguono i rapporti tossici.
La terapia che fa respirare
In terapia si va per respirare, e quando finalmente si respira è bellissimo, è una possibilità enorme per dare una svolta alla propria esistenza incatenata ai cliché e alle convinzioni dell’altro.
L’incremento dell’autostima che ne deriva è un sovrappiù, non è direttamente ricercato ma è effetto di un lavoro impostato bene, all’insegna della totale libertà di espressione e di pensiero.
Entro i limiti imposti dalla seduta (che ricalcano un po’ quelli della vita reale) e che sono sostanzialmente quelli dell’educazione, del rispetto degli orari, del tempo non infinito e del pagamento dell’onorario ci si può concedere il lusso di lasciarsi andare.
Questa autenticità porta i suoi frutti, perché è come la fila dei mattoni di una casa in costruzione che ospiterà sopra di sè altri mattoni a venire.
Parlare di sè, enunciare i punti oscuri, i rovelli, le fatiche, le idee nuove, rifletterci con qualcuno che non giudica, ascolta e ogni tanto propone delle interpretazioni che mettono insieme i puntini fa tantissimo per riconnettere a esigenze e tratti personali.
In terapia bisogna sentirsi spalleggiati, ma mai incoraggiati a essere questo o quello o peggio ancora giudicati.
Il terapeuta accoglie tutto, tiene i suoi giudizi e le sue visioni personali per sè. Anzi, ogni paziente con la sua originalità non riconducibile a schemi gli offre lo spunto per restare elastico e aperto, per porsi interrogativi difficili e per riconoscere la limitatezza della sua esperienza umana (ognuno di noi è il risultato di scelte e le scelte ritagliano sempre un campo esperienziale necessariamente limitato)
Lungi da impersonare un guru o quello che necessariamente la sa lunga, il terapeuta lascia spazio all’emergere delle verità individuali (proprio perché è cosciente di se stesso, limiti inclusi), che così trovano modo di esistere e di venire prese sul serio.
In terapia aiutiamo le persone a prendere sul serio ciò di cui soffrono o hanno sofferto. Si sono difese drammatizzando o sminuendo, per essere ok, per essere accettate.
In questo luogo si possono dismettere tutte queste cose, andare dritti al cuore delle questioni ma anche tergiversare e avere paura.
Essere finalmente se stessi senza sconti e senza nascondimenti fa paura, soprattutto quando può essere criticato dagli altri di riferimento.
Ma andare avanti nell’impresa regala frutti duraturi e stabili nel tempo, a volte perfino la salvezza da destini apparentemente già scritti, dal ripiegamento psichico e dal grigiore di una vita non sentita come a propria misura.