Famiglia oppressiva: quando i ruoli si invertono
La così detta “famiglia oppressiva” è un luogo in cui i rapporti familiari anziché potenziare la forza e l’indipendenza dei suoi giovani membri ne diminuiscono le potenzialità espressive e vitali.
Le forme di autoritarismo
La modalità più evidente con cui avviene questo processo di “nevrotizzazione” è l’autoritarismo tout court, esercitante una castrazione diretta sui sogni, gli impulsi e i desideri dei bambini e dei ragazzi.
L’autoritarismo sfacciato oggi non è più così socialmente diffuso come un tempo. Ciò non significa tuttavia che non esista più, agendo in forme più subdole, mascherandosi spesso dietro ad atteggiamenti di segno contrario, apparentemente libertari e democratici.
Il genitore smaccatamente autoritario è facilmente riconoscibile e “odiabile”, mentre quello ambiguo, dai modi altalenanti e camuffati di benevolenza è meno semplice da identificare come un modello negativo.
In ogni caso dietro a ogni atteggiamento dispotico, sia diretto che indiretto, si celano motivazioni che nulla hanno a che spartire con l’educazione.
Le cause profonde della volontà repressiva
Il pretesto dell’educazione infatti autorizza comportamenti al fondo repressivi e violenti, che violano la fiducia in se stessi instillando uno smisurato e insensato senso di colpa.
Tale volontà repressiva origina sempre, a livello inconscio, dal senso di fallimento e di frustrazione esistenziale del genitore.
La rivalsa sul più debole restituisce un po’ di quell’autostima che non si è riusciti a conquistare per altre vie, è una gratificazione malsana dell’ego.
In seconda battuta ostacolare il percorso di indipendenza del figlio svela la volontà di tenerlo avvinto a sè, quindi è nuovamente la spia di una grande immaturità psichica. Ad essa si aggiunge l’invidia verso il più giovane, che ha davanti a sè opportunità e chance ormai bruciate nella propria esistenza.
La confusione di ruoli e l’assenza di confini perpetrate dall’adulto disorientano e destabilizzano. Non di rado la violenza strisciante in molte famiglie passa attraverso il ricatto affettivo, attraverso silenzi, musi e vittimizzazioni.
Nella mente del figlio il proprio desiderio individuale viene associato all’idea di colpa. Egli comincia a sentirsi schiacciato, incatenato a qualcosa, incaricato com’è di assicurare la felicità del genitore.
In più il messaggio che riceve è spesso ricco di contraddizioni. Da una parte gli si chiede di essere di successo e performante, dall’altra di restare sottomesso come un bambino. Come si fa infatti ad essere veramente sicuri e di successo se non si ha avuto la possibilità di sperimentarsi e di mettersi alla prova?
Lo sviluppo di sintomi psichici
Ciò presto o tardi si traduce nello sviluppo di sintomi psichici, che spaziano dalla depressione, all’ansia, alla dipendenza. Essi costituiscono la traduzione simbolica perfetta di un sentire profondo: sentirsi in gabbia, castrati nella depressione, sentirsi in balia del capriccio altrui nell’ansia, sentirsi incapaci di forza e valore personale nella dipendenza.
Tali sintomi vengono erroneamente interpretatati come spia di qualcosa che non va in se stessi come persone, e non l’effetto psicologico patogeno delle dinamiche familiari malate.
Spesso i primi ad essere sintomatici sono proprio i genitori, per cui nella sofferenza patita si può rintracciare anche un modellamento, un’identificazione passiva per esposizione prolungata a modalità disfunzionali.
Mettere lucidamente e precocemente in discussione il proprio ambiente familiare sarebbe auspicabile. Molti ci riescono in fase adolescenziale mentre per altri la crisi arriva più tardi, magari in occasione del debutto nel mondo lavorativo o sentimentale.
Là dove si incontrano situazioni che richiedono autonomia e confini di sè ben chiari si può andare facilmente in crash, non avendo le risorse per farcela senza l’ausilio di sintomi (atteggiamenti di chiusura, dipendenza ecc…)
Anche certe situazioni inaccettabili sentimentali o lavorative possono essere tollerate per anni, perché somigliano pericolosamente a ciò che si è abituati a vivere fin dalla più tenera età
La psicoterapia resta un’arma molto potente per contrastare, se non azzerare, l’effetto condizionante del senso di colpa.
Grazie alla ricostruzione della propria storia e dei suoi processi inconsci ci si può piano piano affrancare, con la consapevolezza che l’elaborazione psichica non è una rapida magia ma un percorso difficile, non lineare, a tratti sofferto, gioioso, produttivo ma anche periodicamente stagnante.
Con pazienza e perseveranza i risultati arrivano, perché in noi, oltre alle tracce del male, esiste anche un grandissimo potenziale rigenerante i cui effetti si apprezzano nel tempo e con gli sforzi profusi.