La salute mentale oggi
Nell’epoca contemporanea la salute mentale delle persone, già minata in senso nevrotico dal sistema produttivo globale, è messa a dura prova da due ulteriori fattori, l’esasperazione dell’incertezza politico-economica e l’iper sviluppo della realtà virtuale veicolata dai dispositivi cellulari.
La salute mentale nella modernità
I pionieri della psicoanalisi già nei primi del novecento menzionavano le pretese della società industriale nei confronti dell’Io come fattori chiave per capire molte forme di malessere psichico (spesso in apparenza un malessere invisibile)
Carl Gustav Jung in particolare accentuava come caratteristica della modernità la perdita da parte delle persone (dedite iperattivamente alla soluzione di problemi concreti) di un contatto quotidiano con la propria natura profonda, inconscia e creativa.
Jung sosteneva quanto la dedizione agli affari e all’affermazione sociale fosse deprivante psicologicamente, sbilanciando l’equilibrio personale a discapito della cura dell’interiorità e del nutrimento dell’anima.
L’ipersviluppo dell’Io, controllante e giudicante, ha infatti in generale come ricaduta una coartazione interiore di natura nevrotica.
L’esercizio del controllo, promosso dai valori della modernità (ambizione, performance, esibizione dello status socio economico raggiunto) diventa cioè nocivo verso la serenità personale, impedendo l’espressione di altre potenzialità dell’essere umano che non siano sotto il dominio del calcolo cinico e del raziocinio.
La perdita della vitalità, delle capacità intuitive, dell’originalità in nome di un grigio conformismo si pagano al caro prezzo di un’esistenza comoda ma svuotata di ciò che rende la vita autenticamente vissuta e degna di essere considerata tale.
Ansia e depressione sono gli effetti più comuni e più diffusi, come segni visibili di un disagio che non trova altro modo di esprimersi. Quanto più l’insuccesso e il disadattamento non sono ammissibili tanto più la sofferenza si fa tortuosa e crudele, mettendosi perentoriamente di traverso rispetto allo stesso successo accanitamente inseguito.
In risposta al disagio della civiltà non mancano nemmeno misure compensatorie: c’è chi sceglie vie di compromesso che permettano di stare nel sistema pur con delle valvole di sfogo (viaggi, sport, musica, arte in genere ecc…), chi scivola in una protesta autodistruttiva (abuso di droghe, alcol, condotte antisociali) e chi infine imbocca la via della regressione (atteggiamenti perpetuamente infantili di disimpegno, esibizione compiaciuta di “mollezza” caratteriale, mitizzazione del “buon selvaggio”)
Tali misure, che apparentemente oppongono resistenza, finiscono per essere esse stesse inghiottite dal sistema. Il consumo di droga diventa in certi ambienti un habitus così come l’anticonformismo si trasforma in un nuovo sistema identificatorio di atteggiamenti alla moda, che le masse assorbono ciecamente. Il tatuaggio, simbolo di protesta e di regressione alla spontaneità naive del buon selvaggio, scade al livello di moda e diventa un nuovo diktat sociale, venendo cosi inghiottito nel calderone di imperativi di successo.
Il disagio contemporaneo
Ora, rispetto a un secolo fa, questi atteggiamenti che oscillano fra l’adesione al sistema e il suo rifiuto sono esasperati e complicati dalla perdita di riferimenti solidi e credibili in campo politico, dalla crisi economica e dalla circolazione sfrenata di informazioni e scambi di ogni tipo sul web.
L’ideologia del benessere, del successo e della performance permane tutt’oggi, con tutto il suo potere di pressione psichica e di condizionamento di massa. Bisogna laurearsi, fare tanti soldi, esibire ecc…
Ma il fine oggi più che mai è ambito per se stesso, con l’aggravante che l’elemento della fatica concreta, del sacrificio sta saltando completamente
Il prevalere della cultura social, falsa e superficiale, la rivelazione palese di incapacità e qualunquismo di politici, intellettuali e in generale di figure ai vertici della società, la recessione economica non stanno facendo tramontare i miti consumistici ma, al contrario, essi lievitano a dismisura come dimensioni che chiunque un po’ furbo può ottenere (e se non si ottengono la rabbia e la frustrazione sono giustificate per via di un sentimento di diritto violato e di ingiustizia)
Il malessere ipermoderno non si lega più soltanto alla perdita di energia vitale di un uomo incastrato in meccanismi stritolanti la sua natura profonda.
L’incastro in una rete soffocante c’è ma ciò che si sta perdendo è la relazione fra sforzo e successo, fra competenza e remunerazione, fra qualità e risultato, fra pensiero e azione.
Ne deriva la perdita della capacità di pensare: tutto è il contrario di tutto, persino la logica sequenziale viene meno. E se tutto è uguale anche la responsabilità diventa una cosa rarefatta, da non chiedere e non assumersi.
Il malessere psicologico assume così esso stesso una forma scarsamente interpretabile, perché figlio di una gran confusione.
La gente è sempre più affamata di successo e sempre più incattivita dalla sua fuggevolezza.
La fortuna arriva per caso e svanisce velocemente (come per l’influencer che senza fare nulla ottiene molto per poco tempo), oppure non arriva mai nonostante gli sforzi propiziatori (lontani da un concreto darsi da fare)
Fortunatamente per il mondo (ma sfortunatamente per il loro equilibrio mentale) esistono ancora lavoratori alla vecchia maniera, veri e propri pilastri in aziende e contesti di lavoro spesso gestiti malissimo ai vertici.
Tuttavia il lavoratore in gamba oggi più che mai è spremuto, sfruttato, lasciato in ombra senza gratificazioni vitalizzanti
La risorsa della psicoterapia
Riusciremo a sollevarci da questa anestesia di pensiero e volizione?
Oggi gli psicoanalisti possono assolvere anche una funzione sociale, ormai persa dalle scuole e dalle università (diventati semplici contenitori di nozioni).
Così essi possono dare una mano alle persone a imparare a pensare, a recuperare i più semplici rapporti di causa effetto, a ritrovare un po’ di vista, accecata dai mille stimoli luminosi che escono dalla scatola del cellulare.
Ritrovare un gancio con il pensiero diventa preziosissimo, nella misura esso può fornire quella bussola interiore necessaria a resistere alla pressione di mille stimoli luccicanti ma fuorvianti il senso critico, la progettualità e l’identità
Quando un uomo non sa pensare e dunque non sa chi è si trova a galleggiare senza strumenti in un malessere confuso e frustrante, omologandosi inconsapevolmente a modelli vuoti, pur di sopravvivere.
La psicoterapia questa sopravvivenza psichica la può restituire per un’altra via, più virtuosa per il singolo e la società: l’analisi e divenire se stessi resta il più grande antidoto ai mali dell’anima.