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Vita con Lacan

Si tratta di un'ottantina di pagine in cui vengono affettuosamente rievocati ricordi, immagini, aneddoti su viaggi, abitudini, incontri, stravaganze del maestro. Ma il valore del testo, almeno agli occhi di un clinico o di un appassionato di psicoanalisi, non si limita alla raccolta di curiosità più o meno inedite relative al personaggio di Lacan.

Lacan uomo e Lacan analista

Emergono a più riprese, qui e là nel testo, frammenti del rapporto che Lacan intratteneva con l'Altro. Leggendo apprendiamo qualcosa del Lacan uomo, capiamo quanto la sua pratica della psicoanalisi, il suo stesso insegnamento, fossero profondamente intrisi della posizione che lui stesso teneva nei confronti della vita.

Il libro della Millot, da questo punto di vista, ha un vero e proprio valore didattico, perché mostra in presa diretta un volto del "desiderio dell'analista", senza il quale nessuna analisi è possibile. Ciò apre ad una riflessione su quanto peso rivesta nella pratica la persona del terapeuta (ai fini della mobilitazione di un autentico cambiamento nell'analizzante), al di là di qualsiasi rischio di derive ipnotiche e suggestive.

Lacan non si limitava a costituire per il paziente una mera “funzione logica”, asettica e spersonalizzata. Mobilitava transfert grazie al suo essere. Era un uomo aperto incondizionatamente al desiderio, gli faceva spazio senza filtri, senza barriere. Ecco perché per certi versi fosse certamente un po' folle, eccentrico, difficile. Lui stesso si definiva come un bambino di cinque anni che ancora non conosce il peso delle inibizioni. Pieno di curiosità e di disarmante, infantile candore, si teneva lontano da recite e da atteggiamenti costruiti. Fermamente convinto della necessità per i suoi allievi di tenere vivo il contatto con la loro soggettività, li invitava a non imitarlo, perché è il recupero della singolarità la posta in gioco di un'analisi. Come può un analista alla ricerca di modelli aiutare qualcuno a sbarazzarsi dell'ingombro dei propri?

In proposito, in occasione di una famosa conferenza, disse: <<siate più rilassati, più naturali  quando ricevete qualcuno che viene a chiedervi un'analisi. Non sentitevi obbligati a darvi delle arie. Siete giustificati anche a comportarvi da buffoni. Vi basti guardare la mia Televisione. Sono un clown. Prendete esempio da lì e non imitatemi>>.

Ritratto di Lacan

Proviamo allora a mettere in risalto dei tratti isolati nella narrazione della Millot particolarmente rappresentativi del profondo contatto che Lacan intratteneva con l'inconscio e con la divisione umana..

La schiettezza

Nella vita e nei rapporti con gli altri invitava sempre a superare le esitazioni e ogni forma di reticenza. Non amava le  difese, le ritrosie, i sotterfugi e le timidezze, in quanto chiare manifestazioni di inibizione nevrotica. Così li contrastava, o frontalmente, aggredendo con tono brusco l'interlocutore, o dolcemente, con un sorriso o una battuta di spirito. Con gli allievi era particolarmente diretto, quando li vedeva inibiti o li percepiva assumere pose fasulle. Durante i Seminari invitava chi interveniva ad andar dritto al punto, ad avere il coraggio di “gettarsi in acqua”. In genere questa sua modalità produceva degli effetti, anche d'angoscia. Ma la psicoanalisi ci insegna quanto l'angoscia vada tollerata ed attraversata per avere la meglio su una difesa nevrotica.

L'impazienza

Era profondamente impaziente, odiava aspettare, che fosse un semaforo rosso o un piatto al ristorante. Se tardavano a servirlo, per esempio a cena, veniva soddisfatto emettendo un urlo o un sospiro forte.  La rabbia non era indirizzata contro qualcuno ma si rivolgeva al “reale”, che definiva come "i piccoli perni che non entrano nei piccoli buchi". L'intemperanza allora assumeva la forma di una sfida al reale, della lotta della vita conto la mortificazione imposta dal limite insito nella vita stessa.  Un segno della forza ribelle del desiderio soggettivo rispetto all'impersonalità della mera esistenza.

La semplicità

Nel privato era un uomo semplice, nelle relazioni con gli altri era privo di "quelle complicazioni che la dimensione dell'intersoggettività comporta. Non aveva psicologia, non aveva retro pensieri, non attribuiva intenzionalità all'altro. E non esitava a chiedere ciò che voleva nel modo più diretto". Abbatteva così molte sovrastrutture che regolano ma limitano e stritolano la possibilità di vicinanza e comunicazione autentica con l'Altro, toglieva filtri, andava dritto verso ciò che voleva senza troppi giri. L'essenza della nevrosi è proprio l'attesa che sia l'Altro a domandare. Lacan faceva il contrario, compieva il primo passo, con semplicità.

La curiosità

“Era curioso come un bambino di tutto e di tutti” e andava verso l'obiettivo senza indugio, per soddisfare la sua curiosità. Anche in tale attitudine vediamo  il rovescio della nevrosi, che invece porta all’isolamento nel proprio mondo e a non vedere, non cogliere, perdere l'occasione, mancare l'incontro.

Il silenzio e la solitudine

La chiacchiera non era il forte di Lacan. Se la sua curiosità veniva destata da qualcosa o qualcuno faceva molte domande, altrimenti rimaneva silenzioso, in ascolto o preso nei suoi pensieri. Restava sempre un po' altrove, comunque fuori dalla specularità dei rapporti, dal gioco di identificazioni, dall'eccesso di empatia. Pur con gentilezza, svicolava  da ogni presa potenzialmente asfissiante da parte dell'Altro, ragion per cui non amava particolarmente la mondanità, le etichette, le onorificenze.

Sapeva anche restare immobile per ore a studiare, la sua mente aveva un enorme potere di concentrazione. Non a caso un pilastro dell'insegnamento di Lacan è la necessità in una cura di non confondere il piano immaginario della relazione (l'empatia, l'immedesimazione) con quello simbolico (il rapporto fra il soggetto dell'inconscio e l'Altro per così dire “primordiale” di cui l'analista fa da sembiante). Non è forse sempre un po' altrove l'analista nella sua pratica? Non è capace di un’assoluta concentrazione e al tempo stesso di una certa distraibilità?

Lacan e l'etica

Nel testo si trova pure un interessante racconto degli atteggiamenti di Lacan con i malati durante le sue presentazioni pubbliche. Si trattava di veri e propri "incontri" fra lui e i suoi pazienti. Con loro si comportava come faceva con l’Altro nella vita, in modo semplice, non teatrale ma anche schietto, diretto. Soprattutto con i soggetti psicotici aveva l'atteggiamento di chi non sa, di chi si aspetta dei chiarimenti da parte degli stessi malati per capirli.

Millot sottolinea la dimensione etica del lavoro di Lacan, fa vedere come non deviasse mai dalla verità. "Insisteva sui punti di reale, su ciò che faceva ostacolo". Questo non sorvolare sulle smentite della realtà aveva il valore di far acquisire al paziente consapevolezza riguardo alla condizione umana: ciascuno di noi si scontra con l'impossibile. C'è una quota di solitudine inaggirabile con cui bisogna avere a che fare, un luogo "in cui l'esistenza confina con il dolore". Solo da lì si può ripartire, dall’ustione più che dalla sua negazione difensiva. L’effetto è un ridimensionamento narcisistico che depotenzia l’ideale e i suoi miraggi.

Lacan non negava la potenza del reale, nello stesso tempo scalpitava, era intemperante. Lottava, viveva, si arrabbiava anche, però proprio a partire dalla consapevolezza della superiorità del reale.

Nel momento di massima incidenza di tale potenza, la malattia che lo condusse alla morte, fu arrendevole, sereno. Non si accanì, non si fece schiacciare dalla paura, facendo spazio al padrone assoluto.

Catherine Millot, Vita con Lacan - Raffaello Cortina Editore 2017

Psicoanalisi lacaniana