L’amore vero
L’amore vero non ha niente a che vedere con la sessualità, con il bisogno affettivo, il divertimento o la familiarità.
Amore o egoismo?
Questi aspetti infatti sono legati ad un tornaconto egoistico, a ciò che posso prendere dall’altro, mentre l’amore, se è tale, è rivolto all’altro per quello che è e non per quello che può offrire.
Amare l’altro per quello che è vuol dire in primis vederlo nella sua unicità, costituita non solo da qualità desiderabili (il che farebbe entrare in gioco solo la solita dinamica del rispecchiamento) ma soprattutto dal suo tratto irregolare, un po’ disadattato, sofferto.
Ognuno di noi ha dei limiti e delle caratteristiche personali eccentriche, nascoste più o meno efficacemente dalla facciata sociale.
Più si è mentalmente liberi (o liberati) più queste irregolarità le si lasciano trasparire. Allora si ambisce ad essere amati così come si è (non da tutti naturalmente, la maturità coincide con la serena rinuncia a voler piacere a tutti).
Tuttavia normalmente non tutte le difese vengono meno nei riguardi degli altri.
C’è chi usa il cinismo, chi l’ironia, chi la razionalità per scongiurare il peggiore dei rischi: essere usati, manipolati e poi buttati via.
Il discorso non vale solo nel caso dei rapporti uomo donna. L’amicizia così detta “vera” è l’equivalente dell’amore, senza l’elemento romantico/erotico. I nostri amici più cari ci piacciono per le persone che sono, per il piacere puro della condivisione, non per quello che hanno da darci.
Purtroppo le sacrosante difese spesso vengono messe da parte nelle situazioni sbagliate. Molta sofferenza che trattiamo in psicoterapia ha a che fare con questo fenomeno: ci si apre a chi non vuole o non sa amare, nell’illusione di essere visti.
Il problema tuttavia nasce non tanto dal soffrire una delusione, che fa parte della vita, ma dall’incaponirsi a non voler accettare verità amare su se stessi e sugli altri. Sono le bende dell’idealizzazione le vere bestie nere, mai l’errore di valutazione in sè. Non si vive senza sbagliare, senza rischiare, senza almeno provarci, senza aprirsi mai.
La metafora della gamba di legno
C’è un racconto (“Brava gente di campagna”) di una grandissima scrittrice americana, Flannery O’Connor, che parla proprio di questo.
Una ragazza con una gamba di legno viene sedotta da un venditore di Bibbie e derubata della propria gamba.
La giovane, la cui gamba di legno rappresenta proprio quell’irregolarità legnosa che ognuno di noi ha (a livello fisico e/o caratteriale) è ben corazzata nei confronti dell’amore. Istintivamente coglie che lo strano corteggiatore è un bluff, troppe cose non tornano. Ma è incuriosita, lusingata. Così si mantiene fredda, impermeabile alla sensazione, credendo di avere il controllo sulla situazione.
Quando ha luogo l’azione drammatica? La ragazza cede le sue difese nel momento in cui il giovane le parla, non limitandosi a dirle che la ama. Le dice che lei è diversa da tutte le altre, unica, proprio in virtù della sua gamba di legno.
Ecco che lei acconsente a farsi sganciare la gamba, si apre cioè all’altro in maniera incondizionata. Ma così facendo si espone, è alla mercé altrui. Anziché accogliere con amore la fragilità totale così messa a nudo, il ragazzo svela il suo vero scopo: sfruttare lo stato di confusione, arrendevolezza e impotenza della giovane per approfittarsi sessualmente di lei.
Rifiutato decisamente, alle richieste disperate di riavere indietro la gamba il ragazzo agisce con violenza: non abbiamo lo stupro ma il furto della gamba, a significare totale freddezza affettiva, abbandono e disinteresse dei patimenti morali dell’altro.
Qui non viene “rubato il cuore” , espressione sentimentalistica che non coglie il punto delle disfatte amorose. Quando non è amore anche il sentimento stesso di chi lo prova è un’illusione. In realtà è la “gamba di legno” a venir strappata via senza rispetto, intesa come la parte più intima, indifesa e un po’ legnosa di ogni essere umano, che anela sempre al riconoscimento.
Il furto della gamba è il contrario del riconoscimento, suona come squalifica umiliante nel punto più nascosto e sensibile dell’animo.
Può sembrare che la dinamica riguardi il cliché dell’uomo predatore verso la giovane indifesa. A ben guardare il discorso concerne tutti, dipende solo dal grado di egoismo individuale, e quello è unisex.
Più si pensa solo a prendere più si è protetti dall’aspettativa di riconoscimento umano, col risultato però di un appiattimento di tutta la gamma emotiva e una riduzione del vivere al mero guadagno, alla sola convenienza.
Ciò che andrebbe imparato dalla protagonista del racconto della Flannery però si spinge più in là. In un lampo lei vede il suo destino d’abbandono e lo accetta. Dopo l’urlo disperato, dopo l’orrore della consapevolezza scende su di lei la Grazia.
Infondo in terapia ci si va per questo. Per accettare il vero e tornare alla pace con se stessi.