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Come superare un fallimento senza cadere in depressione

Quadro di Sibilla Ulivi con barca in un mare mosso

In cosa consiste il fallimento, che conseguenze ha sulla psiche e come utilizzarlo per diventare più forti

Fallire significa sostanzialmente registrare lo scarto fra i nostri obiettivi e la realtà, soprattutto quando le cause del mancato successo risiedono in un errore di valutazione riconducibile alla nostra persona.

Ma che conseguenze ha l’impatto del fallimento sulla psiche umana? Quali sono le derive patologiche a cui può portare e quali invece le reazioni virtuose?

Fallimento e frustrazione

Il vissuto emotivo che accompagna il fallimento in prima battuta è sempre la frustrazione, ovvero la sgradita percezione della non coincidenza fra le proprie aspettative e l’andamento delle cose.

La delusione interiore che si prova è quindi una reazione naturale e inevitabile: ogni essere umano cerca il piacere e la realizzazione dei propri desideri (compatibilmente con i limiti imposti dal vivere in società) e non riuscire ad appagarli non può essere certo associato ad emozioni positive!

Tuttavia fin da bambini impariamo ad avere a che fare con il fenomeno per cui le cose nella realtà non vanno sempre come vorremmo, impariamo cioè a sopportare e a tollerare la frustrazione.

L’apprendimento di questa abilità ci consente di vivere, di abbandonare l’onnipotenza infantile (la realtà si piega sempre alla mia volontà, io ho il controllo di tutto), di assorbire la delusione e di “riprovarci” in un secondo momento senza che il senso del nostro valore personale sia messo in discussione.

La negatività associata al fallimento non sta quindi nel disappunto normalissimo che si prova per l’obiettivo mancato o l’aspettativa delusa.

Il fallimento dà luogo ad atteggiamenti patologici quando non viene accettato come possibilità dell’esistenza, quando cioè in noi residua una quota di megalomania.

Il problema del fallimento si situa perciò a livello dell’Io, non sufficientemente flessibile e forte da adattarsi alle mutevoli condizioni imposte dal reale.

Fallimento e reazioni patologiche: depressione e maniacalità

Le reazioni non costruttive al fallimento sono di natura depressiva (narcisismo ferito) o maniacale (narcisismo espanso).

La depressione si manifesta con il senso di colpa e il negativismo (pessimismo cosmico), mentre la maniacalità opta per il negazionismo (la soppressione della presa d’atto di ciò che non va) e la reazione riparatoria accellerata (senza il tempo sufficiente per analizzare la natura dell’errore).

Nel caso della depressione l’insuccesso fa partire rimuginazioni senza sosta del tipo “avrei dovuto fare così e cosà”, “sono stato uno stupido”, “ma come ho fatto” ecc…, unitamente a un senso di rifiuto verso la realtà frustrante, leopardianamente accusata di essere “matrigna” e senza cuore (“tutto e tutti sono una merda”, “il mondo fa schifo” ecc…).

Ne derivano immobilismo, incapacità di apprendere dal proprio errore, lamentazione perpetua, impossibilità di progredire nella vita.

La reazione maniacale invece è improntata alla negazione della realtà, pur di non vedere l’errore e le sue conseguenze si va avanti imperterriti accumulando errori su errori, fallimenti su fallimenti fino a perdere totalmente lucidità e perfino talvolta umanità. Esiste solo la realtà che c’è nella nostra mente, così che le soluzioni ai problemi risultano dei pasticci approssimativi di cui spesso e volentieri gli altri si trovano a pagare il prezzo.

Il tempo lungo della riflessione è abolito, l’Io pur di non vedere l’orrore della propria limitatezza agisce in velocità, ingarbugliando ancora di più le cose.

Fallimento e psicoterapia: la resilienza

L’approccio sano al fallimento invece è di tutt’altra natura e la psicoterapia può costituire un’ottima occasione per fare il punto sulla propria capacità di reagire costruttivamente ai problemi della vita.

Abbiamo detto che la delusione è normalissima, anche un certo grado di abbattimento è più che comprensibile quando il problema è grave (ad esempio scelta del lavoro o del partner sbagliato, con tutte le conseguenze davvero pesanti che ne possono derivare).

In psicoterapia però si impara ad andare oltre la lamentazione o il diniego, si sviluppa l’attitudine alla resilienza.

Resilienza significa prendere atto del problema, fare un’analisi lucida della situazione e di se stessi senza paura di distruggere se stessi e l’altro e incrementare per questa via il proprio livello di consapevolezza.

La resilienza riesce cioè a trasformare una situazione oggettivamente negativa in esperienza di vita, in conoscenza di se stessi e del mondo, in quella che si chiama saggezza.

Grazie alla resilienza si affrontano le difficoltà più disparate senza cadere nella trappola della demolizione di se stessi o dell’accecamento distruttivo di natura maniacale.

Con pazienza i pezzi vengono rimessi insieme, passo dopo passo, attraverso un “riprovarci” da capo costruttivo e consapevole, che non esclude gli insuccessi dal proprio orizzonte ma li integra come fonte di apprendimento e di affinamento personale.

La persona che diventa resiliente si ingaggia in una ricerca che diventa continua, che diventa un modo nuovo di stare al mondo. Si tratta della ricerca instancabile e creativa di strategie per attutire l’impatto della realtà frustrante.
È la capacità di adattamento umana, tutt’altro che passiva, che conduce verso l’equilibrismo intelligente delle nostre esistenze.

Aiuto psicoterapeutico , Sindrome maniaco depressiva

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