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Esaurimento nervoso e separazione

Quadro di Sibilla Ulivi ispirato a Van Gogh

I sintomi con cui si manifesta l’esaurimento nervoso e le sue cause

Il termine “esaurimento nervoso” viene genericamente utilizzato per denominare tutte quelle situazioni in cui una persona (che magari fra alti e bassi si è sempre barcamenata nella vita) cessa all’improvviso di “funzionare” in modo appropriato.

Non recarsi più al lavoro, trascurare la propria igiene e la cura della casa, isolarsi, litigare con tutti, abusare di alcol o di droghe, spendere smodatamente o lasciarsi andare a eccessi di rabbia e d’angoscia costituiscono i segni esteriori più diffusi dell’ “esaurimento” delle risorse psichiche del soggetto colpito.

Ad essi si possono accompagnare anche sintomi psicotici transitori, che, se non ben trattati, possono proliferare e organizzarsi in un quadro psicotico suscettibile di cronicizzazione.

Tali anomalie comportamentali sono rivelatrici non solo di una difficoltà nel presente ma anche di una profonda sofferenza emotiva di fondo che, a causa di un evento recente fortemente destabilizzante, non si riesce più a “contenere” con i mezzi utilizzati in precedenza.

La predisposizione verso lo sviluppo dell’esaurimento nervoso

L’esaurimento nervoso colpisce quindi maggiormente coloro che sono potenzialmente predisposti ad andarvi incontro, perché già gravati da traumi infantili o da ferite emotive importanti mai del tutto elaborate (soggetti borderline, narcisisti, antisociali, dipendenti ecc…).

In questi quadri in età molto precoce è accaduto qualcosa che ha minato il senso di fiducia verso l’altro e la capacità di sopravvivere psicologicamente alle avversità.

La personalità ne è rimasta turbata e si è sviluppata successivamente in uno stato perennemente “allarmato”, rinforzato dall’ambiente disfunzionale familiare.

Tale deficit nella capacità di autocura e di “coping” verso le avversità (accompagnata da un senso di solitudine interiore e di disperazione sfiduciata) consegna ad uno stato latente di perpetua percezione di vulnerabilitá e di dipendenza dall’altro. L’immagine di sè e dell’altro è lesa e instabile, volteggiando perpetuamente fra idealizzazione e svalutazione.

Bisogna comunque specificare che nessuno di noi può sentirsi completamente immune e garantito dal rischio di sviluppare un “mental break down” nel corso della vita.

Il nostro grado di resilienza e di forza mentale infatti lo sperimentiamo sempre “a posteriori”, anche in età adulta, dopo essere stati investiti da avversità di un certo calibro.

La separazione come fattore precipitante dell’esaurimento nervoso

La separazione da una figura di riferimento costituisce quell’evento eversivo che nella quasi totalità dei casi fa precipitare nel baratro del crollo nervoso.

Lutti e abbandoni sono riscontrabili con una frequenza elevatissima come quegli accadimenti che precedono temporalmente i segni dello scompenso psichico, determinando uno spartiacque netto fra un “prima” e un “dopo”.

Anche la perdita del lavoro o della salute, là dove essi costituiscono letteralmente “tutto”, possono rappresentare l’innesco di crisi importanti, ma percentualmente essi sono meno impattanti rispetto alla deflagrazione interiore scatenata dal distacco da un altro essere umano.

Le relazioni che si spezzano (di solito per la volontà unilaterale di chi se ne va) hanno rappresentato qualcosa di “salvifico” nella vita di chi viene lasciato, un appoggio e una riparazione dalle carenze affettive dell’infanzia.

A volte queste relazioni nascono dopo un periodo di intensa resistenza e di sfuggevolezza, difese messe in atto proprio per sfuggire al rischio di “attaccarsi” a qualcuno che tanto prima o poi abbandonerà (come sempre hanno fatto tutti i partner precedenti).

Oppure i rapporti si sviluppano a partire da un “tampinamento” e da un’insistenza particolarmente accentuata, perpetrate al fine di conquistare la meta ambita, considerata “idonea” a lenire il sottostante male di vivere.

In entrambi i casi lo sviluppo della relazione si rivela estremamente tumultuoso, segnato da lotte e lacerazioni sfibranti.

Anziché aiutarsi reciprocamente queste coppie scoppiano, falliscono nel costituire un luogo di affetto e di cura incondizionati. Alla fine prevale in una delle parti l’egoismo o l’istinto di sopravvivenza, così per paura, per sfinimento o per codardia il partner più problematico o semplicemente più in difficoltà viene lasciato indietro.

Egli così, lentamente o di netto, inizia ad affondare nel gorgo della depressione e dell’angoscia, smettendo di “funzionare” in modo adeguato. Il trauma originario lo investe nuovamente con una potenza raddoppiata.

Peraltro tale dinamica in alcune persone predisposte può portare a sviluppare un comportamento antisociale e prepotente, ossessivo e aggressivo verso l’ex, come viene tristemente reso noto dalle molte notizie di cronaca a cui ormai quotidianamente siamo esposti.

La volontà di “risarcimento” e di “vendetta” può intossicare fino al punto di commettere atti estremi.

La psicoterapia dell’esaurimento nervoso

La psicoterapia dell’esaurimento nervoso ha come obiettivo di breve termine l’interruzione del circolo distruttivo innescato dalla rottura sentimentale e il ripristino del “funzionamento” perduto.

A tal fine è importante offrire un ascolto e una presenza vivi, in modo che il luogo della terapia possa temporaneamente tappare il buco aperto dalla perdita.

Anche le sedute frequenti sono utili nel trattamento dell’emergenza, per potenziare la ripresa di un grado sufficiente di lucidità.

Una volta usciti dal dolore più acuto e paralizzante, una volta che il panico e l’angoscia si sono un po’ placati si può lavorare su un livello di analisi più profondo.

L’obiettivo di lungo termine contempla infatti l’accettazione della perdita e il lasciare andare l’altro, con il conseguente declino della rabbia.

In questa fase se ci sono le risorse per farlo si può acquisire una consapevolezza rinnovata e più completa dei propri meccanismi mentali, funzionale al disinnesco di modalità distruttive e autolimitanti.

Si può comprendere il significato della rabbia e si possono trovare vie non distruttive per esprimere la legittimità del dolore e della frustrazione.

Ciò indipendentemente dalla gravità del quadro clinico e della diagnosi.

L’importante è non cedere all’uso esclusivo di psicofarmaci e calmanti, utili soltanto se essi si accompagnano a un percorso psicoterapeutico valido.

La medicalizzazione eccessiva, la repressione forzata dei sintomi e la conseguente cronicizzazione in questi casi hanno dei costi molto alti per la persona, che potrebbe non riprendersi più e perdere così la possibilità di tornare ad una vita degna e ancora ricca di senso.

Male oscuro, Aiuto psicoterapeutico , Guarire dai sintomi

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