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Malinconia e creatività

I rapporti fra la malinconia e il genio creativo

Nel bell'articolo dello psichiatra Eugenio Borgna "La Stimmung malinconica e l'esperienza creativa" troviamo un'interrogazione sui rapporti che intercorrono fra malinconia e genio creativo.

È innegabile che la stragrande maggioranza degli artisti o degli uomini che hanno lasciato un segno nella comunità umana abbiano un temperamento malinconico o soffrano di una qualche forma di depressione clinica

Sia la malinconia come "Stimmung", come stato d'animo , che la malinconia come malattia (i confini tra tali realtà psicologiche ed umane non sono così netti) si associano con un'altissima frequenza alla creatività, ne costituiscono l'humus ed il motore.

Perché? La cosa appare contro intuitiva, nella misura in cui l'umor depresso implica di per sè una quota di paralisi e blocco dell'energia vitale. 

Se lo chiedeva già Aristotele, interrogandosi sul mistero che legava alle sindromi melanconiche la maggior parte degli uomini eccezionali dei suoi tempi (politici, filosofi, poeti). E in maniera diversa Giacomo Leopardi si poneva la stessa questione a proposito dell'ispirazione autenticamente poetica, invariabilmente ed enigmaticamente associata ad una "dolce malinconia che partorisce le cose belle".

Il motore creativo della sofferenza

Dal così detto "patologico" nascono dunque figure dell'esperienza catturate dai linguaggi della filosofia, della letteratura, della musica o della pittura. L'esperienza malinconica se da una parte spiana e svuota l'interiorità e l'immaginazione, dall'altra le stimola ed amplifica al tempo stesso. La tristezza cioé può agire come una frustata sulla vita emozionale che, lungi dall'inibirla permanentemente, la scuote, ora bloccandola ora dischiudendola in significazioni plurime ed inedite. Possono scaturirne sentimenti di notevole mutevolezza ed intensità, che si accompagnano ad un linguaggio di inconsueta espressività e profondità.

L'esistenza, colta nella sua quotidianità e banalità, viene messa radicalmente in discussione in concomitanza di una flessione del tono dell'umore. E tale distacco critico non va letto unicamente in un'accezione negativa di isolamento "disadattato" dal mondo, nella misura in cui può rappresentare una via all'emergere di strutture di significato e aree di introspezione e riflessione inimmaginabili prima dell'evenienza depressiva.

L'ipotesi di Borgna è che non siano in sè nè lo stato d'animo melanconico nè la melanconia pura a fungere da motore all'andare oltre il normale conformismo di idee ed atteggiamenti tipico dei creativi. Il denominatore comune sembra essere uno: l'esperienza della sofferenza.

Nel caso della "Stimmung" melanconica si tratta della sofferenza di un animo incline a cogliere il dolore di esistere. Nella melanconia clinica (di matrice psicotica) è la sofferenza che scaturisce dal vissuto della malattia. In entrambi i casi, i cui confini non possono essere rigidamente separati, si ha la sofferenza come amplificatore della conoscenza della propria soggettività e dell'esistenza stessa. Ciò può precipitare, in persone di per sé dotate di talento per la traduzione in linguaggio (di qualsiasi genere esso sia), nella generazione di un'opera.

Quello che sembra agire creativamente allora non sono il temperamento o la malattia in senso stretto, ma la sofferenza che vi si accompagna, con tutto il correlato di angoscia e tumulto emozionale. La sofferenza si istituisce così  come un addentellato possibile fra esperienza depressiva di tipo psicotico ed esperienza depressiva come Stimmung, come stato d'animo o umor depresso tipici dei nevrotici. Essa si trasforma in tal modo, in soggetti predisposti, in sensibilizzazione estetica e creativa, lacerando le sicurezze e le ovvietà della vita.

Il salto dal dolore di esistere alla testimonianza creativa resta tuttavia misterioso, segue sentieri inaccessibili, come "sonde che attraversano il silenzio". Certo è che non tutti i depressi sono artisti, nè viceversa, sebbene non esista arte che non implichi una qualche prossimità al dolore di esistere.

Il Doktor Faustus di Thomas Mann

Quella di Adrian Leverkühn, protagonista dell'ultimo romanzo di Thomas Mann (Doktor Faustus), è una vita segnata dalla malattia luetica (contrassegnata dall'alternanza di sequenze depressive e di sequenze ipertimiche che ricordano quelle maniacali) e divorata dalla creatività.

In essa si vede ben rappresentato il tema enigmatico e sfuggente della malattia e della genialità: la sofferenza insita nella malattia viene riconosciuta come fonte di illuminazione e di trasformazione poetica ed esistenziale.

Non resta che citare direttamente le parole dell'autore, abbaglianti nella loro chiarezza e concordanza con le speculazioni orientate dalla psichiatria fenomenologica.

"La malattia, tanto più se è seria, scandalosa, discreta e segreta, stabilisce una certa antitesi critica al mondo, alla vita dozzinale, ispira sentimenti di ribellione e d'ironia contro l'ordine borghese e spinge il suo uomo a cercar protezione nello spirito libero, nei libri, nel pensiero... il genio è una forma di energia vitale profondamente esperta della malattia, una forma che dalla malattia attinge e per essa diventa creatrice ". 

 

Male oscuro, Sindrome maniaco depressiva, Oscillazioni del tono dell'umore

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