Come combattere la depressione
La depressione per alcuni può essere la compagna di una vita, per altri un incontro occasionale in circostanze difficili, per altri ancora uno spauracchio da evitare a tutti i costi.
Caratteristiche della depressione
L’ avvento della depressione nella sua forma acuta ha sempre un impatto paralizzante, rendendo difficoltoso se non impossibile lo svolgimento delle più comuni attività quotidiane, come la cura di sé, della famiglia e del lavoro. Durante certe acuzie diventa difficile persino parlare, alzarsi dal letto o dalla poltrona. Tutto sembra non avere più senso, la percezione di distacco dalle persone e dalle cose si amplifica fino a ridurre allo stato larvale.
Ci sono poi dei momenti di così detta remissione, in cui l’impatto del malessere sembra attutirsi, la persona lavora, fa le cose, insomma sembra funzionare. Molto spesso si tratta in realtà di una forma di cronicizzazione, in cui alla ripresa del regime usuale di vita non corrisponde una consona partecipazione emotiva. Prevale un vissuto di pesantezza, di fatica, di lamento. Le energie sembrano sempre scarseggiare, la visione di sé stessi, del presente e del futuro è avvolta dal grigio, mentre il passato viene idealizzato come un tempo irrimediabilmente perduto.
L’atteggiamento luttuoso è compensato talvolta da accensioni maniacali, che non durano a lungo e testimoniano uno sforzo inconscio della psiche di auto cura, di rovesciare cioè la situazione nel suo contrario senza che però nulla di ciò che veramente non va nel proprio atteggiamento mentale si sia davvero modificato nel profondo. Ne risulta una sorta di falsa ripartenza, di caricatura del benessere, che sa di grottesco e di immensamente disperato.
La domanda di cura del paziente depresso
Coloro che chiedono aiuto possono arrivare sulla scia della loro impotenza e di quella dei familiari, che non sanno più come dare una mano. Erano persone attive, di successo, ma di colpo si sono arrestate. E si sono trasformate in perdigiorno trasandati e abbandonati a vizi di vario genere. Chiedono di tornare come prima e non sempre per loro è facile dedicarsi ad un’analisi della situazione che vada oltre il qui ed ora.
Chi riesce a mettersi pazientemente in discussione e ad appassionarsi al proprio caso si può sbloccare anche in maniera rapida. In genere quando è così la terapia fa vedere qualcosa che sfuggiva e la persona, davvero desiderosa di tornare a stare bene, riesce a sfruttare la nuova consapevolezza per fare quello scatto in avanti che tardava ad arrivare senza un aiuto specialistico.
Sono tuttavia più frequenti le situazioni in cui la malinconia è mascherata da un’aura di normalità, per cui la domanda di aiuto apparentemente si connette ad un problema pratico, concreto, per poi svelare mano a mano una sottostante stoffa di natura depressiva. Si tratta di quei casi in cui il malessere depressivo ha così intaccato la “radice” dell’essere da formare un tutt’uno con esso, in maniera a volte inconsapevole e acritica.
Togliere il maquillage e arrivare alla nudità del problema non è banale e non va nemmeno sempre bene, nella misura in cui c’è da valutare quanto è possibile sostenere un incontro spietato con sé stessi. Molti a questo livello si dimostrano in grado di risalire ai vari perché ma poi si arenano nel ben noto senso di sconfitta, ormai diventato una malsana abitudine. Può accadere che comincino ad apprezzare i benefici del lavoro dopo molto tempo, dopo aver sperimentato enormi resistenze e regressioni. Non diventano le persone più positive del mondo ma se non mollano si aprono a dimensioni mai vissute in precedenza, ad esempio alla leggerezza e alla fiducia.
Come si cura la depressione
Proprio perché le domande di cura non sono tutte uguali nemmeno i trattamenti della depressione saranno standardizzati.
In generale per combattere con successo il malessere dell’anima bisogna arrivare a volere fortemente la guarigione. Cosa non così scontata perché l’ambivalenza in queste situazioni è molto forte. La depressione da una parte è vissuta come un corpo estraneo, un impedimento, un veleno, un nemico, dall’altra è anche una parte di sé stessi, ormai infiltrata nelle modalità inconsce di sentire, di pensare e di agire.
Il fenomeno dell’attaccamento alla malattia per i vantaggi secondari che essa comporta, ben noto a tutti gli analisti, rende in parte ragione di questo tipo di inerzia ma non la spiega completamente. Certo, non si molla facilmente la malattia perché tornare alla salute comporta poi uno sforzo, una fatica, anche l’assunzione della radicale solitudine in cui ciascuno di noi è. Meglio rifugiarsi nel cantuccio del malessere ed eventualmente godere della preoccupazione degli altri o del lamento cronico rispetto alla loro indifferenza.
Ma c’è qualcosa che va ancora oltre questa trappola in cui il depresso cade senza accorgersi. Ed è la sua concezione filosofica della vita. Egli da un lato non accetta assolutamente la ruvidità dell’esistenza, la rifiuta, non vuole scendere a patti con la castrazione. Dall’altro ciò che gli manca è la fede in un disegno più ampio, è convinto che la vita sia tutta una triste farsa in cui ci si agita tanto ma poi si finisce con il deperire, invecchiare e morire, senza che vi sia un perché.
Quando si parla di depressione bisogna sempre indagare il rapporto con il “mistero” . Un’educazione eccessivamente razionalista e potremmo dire persino “darwinista” mortifica e schiaccia precocemente la sensibilità fiduciosa verso dimensioni che sfuggono alla nostra presa razionale, rabbuiando e incupendo l’animo con tristi e plumbee convinzioni.
D’altro canto l’adesione ad un qualche credo religioso non può nemmeno venire sbandierato come la soluzione al male di vivere, che resta comunque impermeabile ad ogni rimedio strutturato che viene proposto come medicina di tutti i mali.
Ogni soggetto deve trovare in sé stesso la ragione di volercela fare, di non cedere completamente alle sirene della disperazione. Delle risorse sempre, invariabilmente, sopravvivono, anche nelle situazioni più difficili. Si tratta di imparare a metterle in valore, anziché continuare a sabotarle, sviluppando una mentalità per cui esse sono doni da mettere a frutto.
Ogni “non ce la faccio”, quando vissuto come un peccato verso la vita, perde il suo potere.