Cinismo e depressione nella contemporaneità
La depressione bipolare come malattia sociale
La forma depressiva più comune nella contemporaneità è legata a un certo bipolarismo, che non si inquadra perfettamente nella sindrome bipolare benché mantenga con essa un rapporto di somiglianza di fondo.
Il bipolarismo coincide cioè con l'esistenza di due anime depressive, una “regressiva” e l’altra “espressiva”.
La prima è connotata da ripiegamento, sentimenti di frustrazione, di vuoto e nullità esistenziale, mentre la seconda è colorata in senso maniacale, implicando un’attitudine iperattiva entusiastica e consumista.
Entrambe sono frutto dell'esasperazione dei valori individualistici e del materialismo spinto che caratterizza i contesti consumistici in cui viviamo.
L’uomo moderno è in balia di questa vera e propria malattia sociale nella misura in cui è sprovvisto di valori solidi e di un senso profondo dell’umano, che, se presenti, lo potrebbero proteggere dall'illusione distruttiva di onnipotenza.
Ad esse può infatti opporre resistenza un percorso esistenziale o un lavoro di psicoterapia che fanno riscoprire il valore di essere se stessi e di rispettare l'altro, ponendo l'accento sulla singolarità e l'interiorità (che sono il rovescio dell'omologazione conformistica e della riduzione dell'essere umano a oggetto di consumo e di strumentalizzazione).
Euforia e depressione come conseguenze del mito del successo a tutti i costi
La società così come la viviamo spinge verso un’unica direzione, ovvero verso il successo sociale e l’affermazione di sé stessi a tutti i costi. Il narcisismo è l’unico vero orizzonte che orienta le esistenze contemporanee: la ricerca del piacere tramite l’appropriazione consumistica dell’oggetto e il dominio sull’altro tiranneggiano le coscienze esaltandole con fasi “up” e umiliandole con rovinosi “down” psichici.
Le fasi di euforia sono connesse all’eccesso e all’accelerazione, funzionali all’adattamento al sistema e dunque premianti a livello narcisistico e sociale. Il mito della produzione, dell’efficienza e del profitto soggioga la psiche come una droga, ai danni del rapporto con l’altro. Ecco i drogati del lavoro, del fitness, dello shopping compulsivo e del sesso fine a se stesso, interessati unicamente a se stessi, a fare soldi, a consumare, a rapportarsi all’altro esclusivamente a fini opportunistici.
Le fasi più propriamente depressive costituiscono l’altra faccia della medaglia; il godimento solitario dell’oggetto consegna ad un vuoto enorme, ovvero all’esperienza della volatilità della gratificazione. Per mantenere lo stato “up” bisogna passare immediatamente ad uno stimolo nuovo, pena l’incontro con la voragine dell’ infelicità.
Ma non tutte le battute d’arresto sono inevitabili; prima o poi il limite si impone (le energie si esauriscono, così come i soldi, le attrattive fisiche ecc..) e allora si apre il baratro della nullità esistenziale. Il maniaco del lavoro si trasforma in un perdigiorno, quello del fitness salutista in un bulimico senza fondo, la mente e il corpo si fermano in un black out pressoché totale in cui agiti degradanti di vario genere possono perfino peggiorare la situazione
Una qualche fragilità psichica è l’humus che predispone a restare vittime delle sirene del sistema in cui viviamo. Ma tale debolezza non riguarda soltanto il dubbio rispetto al proprio valore, che si tenta di suturare ottenendo uno status sociale desiderabile. Questi forse sono i casi più semplici, perché in genere resta attiva una capacità di autoanalisi su cui poter contare per un lavoro psicoterapeutico efficace.
Essere se stessi e rispettare gli altri: il vero successo e l'antidoto alla depressione maniacale
L’antidoto rispetto allo strapotere del sistema su creature incerte rispetto alla propria identità è dato dal “conosci te stesso”. Aumentando i livelli di consapevolezza, scoprendo le proprie caratteristiche e mettendole in valore al di là della logica della desiderabilità sociale consolida un atteggiamento critico e di resistenza verso il livellamento del sentire stimolato dall’ingranaggio consumistico.
L’umore in queste circostanze migliora moltissimo, le oscillazioni fra euforia e depressione si appiattiscono perché la persona sviluppa un’alleanza solida con sé stessa, capisce chi è e cosa vuole davvero, anche passando attraverso intense fasi di conflitto e di ribellione.
Non tutta la tristezza può essere drenata da un approccio del genere, ma essa resta un sentimento normale, sfumatamente melanconico, che riguarda il fatto stesso di esistere. Esistere infatti ci espone alla gioia e al dolore, alle frustrazioni connesse ad un cammino che di fatto compiamo nel buio, esposti al caso, alla buona e alla cattiva sorte. Ma la lesione può essere integrata e sopportata senza scivolamenti in eccessi tossici e distruttivi.
Più complicato se non impossibile invece è tentare di trattare quelle melanconie (regressive o espressive che siano) che implicano un’adesione anche valoriale al sistema imperante. La nostra struttura psichica infatti comporta anche un substrato etico a cui si è innatamente predisposti e che apprendiamo anche in famiglia o a scuola o tramite incontri significativi.
Non si tratta della mera cultura, che non salva certo l’anima nella misura in cui può essere utilizzata come strumento di potere, di esibizionismo e dunque di potenziamento egoico (che non tiene conto dell’altro ma lo riduce a “cosa” da educare e manipolare).
Ci si riferisce piuttosto alla capacità di provare amore nei confronti dell’altro, inteso non come oggetto (amore narcisistico) ma come soggetto “sacro” in quanto “creatura” dotata di pari dignità e valore rispetto a noi stessi, sebbene “diverso” e “altro” da noi.
È l’amore verso l’alterità il vero strumento di resistenza all’individualismo contemporaneo che avvelena le menti, le obnubila e schiavizza con effetti nefasti paragonabili a quelli delle droghe.
L’amore ci rende umani e non macchine fredde di godimento. Quando riconosciamo l’altro nella sua differenza, quando nutriamo rispetto, quando rispondiamo con i fatti al comandamento cristiano “non fare all’altro ciò che non vorresti fosse fatto a te” beneficiamo del grande effetto di ritorno di pace e serenità interiore.
Se il sistema impone di schiacciare l’altro come un intralcio alla nostra volontà di potenza noi possiamo sempre dire di no, possiamo sempre trovare delle strade alternative per contrastare il nostro spegnimento umano. Avremo meno successo? Ma che ci importa, è il successo sociale il metro con cui si misura la vita? O l’essere riusciti a lasciare un segno positivo in un altro essere umano nonché in sé stessi?
Spazi di resistenza fortunatamente esistono, pur in seno alla nostra folle società. Essere se stessi e rispettare gli altri sono i segreti per raggiungere il vero successo, quello personale, intimo, invisibile ma in realtà in grado di sprigionare energie potenti e contagiose.
Non è un cammino facile, senza ostacoli, ma rende liberi e forti, indipendenti rispetto alle girandole umorali patologiche e dissipative dell’uomo desolantemente cinico.
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