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Attacchi di panico: sintomi e psicoterapia

Gli attacchi di panico si manifestano con una sintomatologia ben riconoscibile. Chi è preda della crisi di panico improvvisamente perde il controllo del proprio corpo e della propria mente. Il tutto dura in genere da pochi minuti fino a un massimo di mezz’ora

Compaiono tremori, sudorazione, vertigini, difficoltà a respirare (dispnea o fame d’aria) e dolori al petto.  Ad essi si accompagna la sensazione di morire o di impazzire.

Quando l’attacco è in corso lo scombussolamento è tale da spingere a chiedere aiuto, persino al 118 (le sensazioni sono talmente intense da far pensare di essere preda di un infarto o di un ictus).

Talvolta l’attacco si conclude con uno svenimento, in genere sotto lo sguardo impotente di amici o semplici passanti.

La vergogna successiva all’episodio contribuisce a fissare la paura. In più l’inefficacia del sostegno degli altri nel far cessare l’attacco induce la credenza che nulla e nessuno possano davvero essere d’aiuto. L’unica soluzione è isolarsi e tuttalpiù scegliere un “accompagnatore” che mitighi parzialmente il senso di disorientamento.

Le persone inoltre possono sviluppare successivamente all’attacco il timore che esso si ripresenti nelle medesime circostanze e negli stessi luoghi in cui si è verificato per la prima volta

Al panico può quindi seguire la costruzione di fobie specifiche. La paura infine porta a moltiplicare le situazioni da evitare, in un circolo vizioso di limitazioni sempre più invalidanti.

Il ricordo delle sensazioni psicofisiche penose e terrorizzanti è così vivo da determinare una progressiva chiusura fra le pareti di casa, con elevatissimi costi per quanto concerne la vita sociale e lavorativa.

L’autonomia personale è  fortemente minata dal panico. La regressione verso atteggiamenti infantili e lo sviluppo di una visione di se stessi come di soggetti bisognosi e incapaci di sostenersi da soli fanno da ostacolo alla guarigione. La dipendenza dall’altro delle cure diventa totale e inibente, rallentando il processo di cura (che si basa sempre sulla reale volontà di staccarsi da una zona di confort)

Il rischio dell’instaurarsi di una vera e propria depressione è molto concreto e reale.

Le cause del panico

Ma perché si sviluppano le crisi di panico?

È unanimemente riconosciuto che esse hanno un’origine psicologica (al netto di una vulnerabilità biologica di base). 

In genere colpiscono persone che hanno delle difese psichiche molto rigide (che a un certo punto proprio a causa di tale rigidità letteralmente si spezzano) o che al contrario soffrono di un’estrema debolezza dell’io (quasi quotidianamente restano in balia del proprio mondo interno o delle circostanze esterne)

Alla base del panico c’è un vissuto psicologico traumatico non elaborato ma piuttosto  “incapsulato”, “isolato” in un angolo dell’inconscio come un materiale pericoloso e tossico da tenere ben rinchiuso.

Se i vissuti traumatici (di marca infantile e non) superano le capacità della mente di attribuire loro un senso, in momenti di particolare vulnerabilità e stanchezza essi possono tornare e saltare fuori dalla “capsula” in tutta la loro tempestosità 

Il panico segnala questo ritorno, con i suoi sintomi violenti “mima” un “black out“ psicofisico sperimentato in altre circostanze in risposta a eventi stressanti attuali.

La sensazione di impotenza la fa da padrone: la persona è come trascinata e schiacciata da una forza indomabile, la stessa forza che anni addietro aveva aggredito la psiche e superato le sue capacità di analisi e comprensione.

Molti traumi psichici (molti dei quali legati all’abbandono) passano infatti come “inavvertiti” nel momento stesso in cui accadono, soprattutto se rappresentano non più dei fenomeni isolati ma una consuetudine protratta di vita. Ci si può assuefare al dolore psichico senza possibilità di interrogazione profonda, senza modo di mettere in prospettiva la realtà emotiva che si sta attraversando. 

Le persone che soffrono di panico hanno alle spalle delle “cause remote” di malessere. Le “cause immediate” agiscono in momenti di particolare vulnerabilità psicofisica. Si tratta di eventi o situazioni di vita che per similarità e associazione risultano in grado di attivare le emozioni terrorizzanti connesse alle situazioni del passato. Il presente (in genere legato a una separazione ma non solo) slatentizza il vecchio trauma d’abbandono.

Di nuovo la vita fa confrontare proprio con “quella cosa” che si credeva ormai passata. Il senso di impotenza è annichilente, la mente e il corpo vanno in tilt.

Tutti i progressi e le conquiste maturative fatte nel corso degli anni vengono così spazzati via, si torna ad essere dei bambini  (senza strumenti mentali elaborati) abbandonati e  in preda alla paura.

La terapia degli attacchi di panico

La terapia degli attacchi di panico non può mai prescindere dalla considerazione della storia personale di chi ne soffre.

Senza un contesto e una cornice che inquadra il sintomo si rischia infatti di lavorare alla cieca. 

Si capisce come durante le acuzie la terapia della parola sia semplicemente impossibile. Riposo e tranquillità sono i primi, utili soccorsi (da non protrarre troppo a lungo pena il rischio di restare impantanati in una nicchia rassicurante).

Passata l’ondata, quando la persona è più calma e in grado di pensare, è utile avviare una riflessione sulla condizione di vita attuale.

Cosa non sta funzionando? Cosa turba davvero la mente? Quali collegamenti ci sono con il passato?

Questo lavoro di ricerca dei nessi e delle associazioni è già di per sè curativo perché smuove dall’impotenza e mobilita delle risorse. 

Nello stesso tempo finché chi soffre di panico resta ostinatamente attaccato ai rimedi anti paura (chiusura in casa, delimitazione fobica) la terapia non ha molti margini di azione. 

La terapia stessa può trasformarsi in un luogo rassicurante che collude con l’assetto mentale post attacco, improntato alla regressione e alla ricerca di accudimento.

Il panico non si cura con l’accudimento o la commiserazione ma con l’ascolto e la co-costruzione di un discorso atto a dare senso al passato e al presente.

Non ci si sbarazza del panico sull’onda della fretta nè lo si lenisce con il mero contenimento. I farmaci possono aiutare a far regredire il sintomo ma allo stesso tempo silenziano la questione irrisolta, lasciando di fatto inalterato il suo potenziale tossico.

Ci vuole invece molta fiducia nella possibilità di trovare nuovi significati all’interno della relazione terapeutica.

Quando la mente aggancia un senso sfuggente e riesce veramente a vedere le cose sotto un’angolazione diversa ecco che si apre la via a un cambiamento rasserenante. 

Più si guadagna terreno verso autenticità e verità più si guarisce, più ci si riappropria di se stessi e si combatte l’impotenza (vera alleata del panico).

L’obiettivo non è riprendere il controllo perduto ma arrivare a una nuova e salda alleanza con le parti vitali di sè.

Ricominciare a “sentirsi”, ad avere nuovamente un contatto con il proprio intimo “idioma”.

Più ci agganciamo al nostro “spirito”, più possiamo contare su una spessa autocoscienza, più possiamo separarci dall’altro per camminare sulle nostre gambe un po’ più liberi dall’abitudine al negativismo e al vittimismo.

Il panico in sè vittimizza ma poter tornare a elaborare e pensare (in modalità non lamentosa ma aperta al reale delle cose) resta l’unico vero antidoto contro la tentazione della regressione.

Restare attaccati invece a un assetto mentale di rinuncia e di perpetua paura fabbricando scenari catastrofici la cui realtà non viene messa in discussione condanna a uno stato permanente di apatica insoddisfazione.

L’esistenza condizionata dallo spauracchio del panico si svuota, così che le potenzialità creative individuali non si dispiegano. Le persone rischiano di andare avanti ponendosi mille limitazioni (tutte di natura immaginaria perché determinate dalla paura), restando dunque in una zona  “grigia” che fa vivere costantemente al di sotto delle proprie possibilità e capacità. 

Le scelte cruciali sono compiute all’insegna del mettere una croce sopra a “desideri” e aspirazioni, perché “tanto non ce la si fa”.

Ma i desideri di realizzazione e di pienezza, anche quando sono messi via, non smettono di farsi sentire e di assillare con la loro insopprimibile presenza, dando luogo a ulteriori sofferenze.

Affrontare la paura e i fantasmi che la determinano resta quindi l’unico antidoto all’espansione a macchia d’olio del malessere. 

Questo lavoro può e deve essere fatto con calma, nel rispetto dei propri tempi e delle proprie resistenze, nell’ottica generale di “non cedere” alla seduzione del ripiegamento nel guscio. 

Aiuto psicoterapeutico , Disagio contemporaneo