Psicoterapia e meccanismi di difesa dell’Io
La forza mentale implica una buona capacità dell’Io di “funzionare” nel gestire i doveri, le difficoltà, gli impulsi, le emozioni e in generale la complessità emotiva delle relazioni.
La differenza fra l’Io e il Sè
Ma cosa si intende per “Io”? Esso riassume la nostra intera personalità o costituisce solo una parte di essa?
L’Io si potrebbe dire che coincida con quello che generalmente chiamiamo “autocontrollo” o controllo cosciente di Sè. Come una sentinella l'Io “vigila” sia sugli stati interiori che sull’ambiente esterno, in modo da garantire un senso minimo di direzione e di padronanza.
Il resto dell’interiorità non visibile la psicoanalisi la definisce come Sè. Si tratta della totalità della psiche, fatta di fantasie, idee, impulsi, desideri, affetti (anche e soprattutto di natura inconscia) modellati dall’esperienza soggettiva.
La struttura dell’Io dunque è necessaria affinché ognuno di noi non resti eccessivamente in balia del proprio Sè.
Senza un buon funzionamento dell’Io si rischia di rimanere schiavi di impulsi o di idee stravaganti, senza poter costruire nulla e senza poter procedere autonomamente nella vita.
Nello stesso tempo un Io “sano” è anche flessibile e aperto, permette cioè anche al Sè di esprimersi, consentendo alla parte emotiva e immaginativa della mente di arricchire e ispirare scelte e comportamenti.
Quando l’Io è troppo “rigido” esso finisce per ostacolare tout court l’espressione del Sè, forzandolo su posizioni false e innaturali (falso Sè). Quando invece l’Io è troppo “debole” esso finisce per essere sopraffatto dall’inconscio, col risultato che l’individuo viene sballottato in qua e in là senza una rotta o una meta.
Per assolvere il compito di “vigilare” sulla realtà interna, per evitare un eccesso di dolore psichico o di angoscia, l’Io mette in campo delle “difese” psichiche: più esse sono estreme e inflessibili più la comunicazione armonica fra Io e Sè viene spezzata, provocando ulteriore sofferenza e sintomi psichici. Se esse invece non sono troppo massicce contribuiscono a un buon funzionamento mentale.
Esistono poi difese più primitive e difese più evolute: le prime sono maggiormente nocive perché riflettono un’immaturità nel distinguere il Sè dalla realtà, la propria interiorità dal mondo che la circonda. Esse in genere accompagnano disturbi psicotici o disturbi della personalità.
Esempi di difese primitive sono il ritiro, il diniego, l’onnipotenza, l’idealizzazione/svalutazione, la proiezione, l’introiezione e la scissione.
Le difese più evolute sono proprie di personalità non disturbate e operano al livello della capacità di osservare l’esperienza interiore, che risulta in parte indebolita proprio a causa della difesa.
Esse sono la rimozione, l’isolamento dell’affetto, la sublimazione, la razionalizzazione, la formazione reattiva, la regressione, lo spostamento, l’identificazione e persino l’altruismo e l’umorismo.
La psicoterapia e l’analisi delle difese
La psicoterapia psicoanalitica costituisce uno strumento molto utile per conoscere ed eventualmente mitigare le difese quando esse sono troppo marcate e autolimitanti.
Portare le persone a essere il più possibile se stesse ed autentiche è l’obiettivo principe, nella misura in cui molta sofferenza psicologica deriva da un eccesso di controllo dell’Io che rende molto difficoltoso osservare che cosa succede all’interno.
Si capisce come la consapevolezza sia un potente alleato della salute psichica.
Tuttavia la psicoterapia, pur incoraggiando una regressione funzionale all’emergere di verità soppresse, per essere efficace e davvero curativa non deve mai perdere di vista il “funzionamento” dell’Io, ovvero le sue risorse e la capacità di cavarsela nella vita.
Quando il dolore che le persone portano è così soverchiante da sbaragliare persino le difese dell’Io più rigide, l’angoscia deborda da tutti i lati e quindi risulta fondamentale il sostegno emotivo e la ferma capacità interpretativa del terapeuta.
Il rischio di lavorare sulle difese per smantellarle al fine di arrivare al vero Sè con persone in crisi è la creazione di un rapporto di dipendenza che può portare a trascurare il funzionamento lavorativo, affettivo e sociale (utilissimo invece ai fini del superamento dell’impasse stessa).
In nome della scoperta dell’autenticità del Sè le persone possono ulteriormente trascurare se non addirittura abbandonare il loro funzionamento normale, per chiudersi dentro ad una relazione profondamente regressiva e potenzialmente pericolosa con il terapeuta (che può degenerare in una specie di follia a due).
La psicoterapia aiuta quindi a conoscersi, ad accedere a nuclei traumatici o dolorosi dell’esperienza mentale sostenendo peró sempre il “funzionamento” e l’autonomia dell’Io.
Accanto all’analisi delle difese è importante la valorizzazione e il contenimento della persona in difficoltà in termini di risorse e capacità.
L’Io in ogni caso, dal più semplice al più complesso, va sempre sostenuto (non esaltato e invitato all’onnipotenza ma nemmeno attaccato, fatto a pezzi e minato nelle sua sicurezze) in un clima di profondo rispetto e incoraggiamento rispetto a obiettivi concreti.
L’esperienza terapeutica, al netto dei momenti di elaborazione di contenuti e dinamiche dolorose, non dovrebbe mai essere percepita come fredda o peggio umiliante per l’Io.
Smantellare le difese a spese dell’Io è una mediocre interpretazione dell’arte terapeutica, efficace e davvero trasformativa solo in un clima di prudenza e di rispetto del dolore umano.
L’Io, benché non sia la parte più vera e autentica di un individuo, è pur sempre la sua rappresentazione mentale e gioca una parte fondamentale nell’amor proprio e nell’autostima. Non a caso si chiama Io.
Solo la fiducia nel terapeuta e nella sua sensibilità può permettere l’apertura dell’Io e l’eventuale allentamento delle difese, in un processo lungo fatto di squarci di sole, di nuovi addensamenti nuvolosi e di ritorni di momenti luminosi.