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Forza di volontà e benessere psicologico

Una richiesta che ci sentiamo spesso rivolgere come psicoterapeuti è quella di essere aiutati a sviluppare la forza di volontà.

Ma di quale forza si tratta? La forza dell’Io che vuole tenere tutto sotto controllo o un tipo di energia mentale che non rifiuta il “negativo” pur senza restarne succube?

Nè la prima né la seconda sono possibili  senza che chi chiede questo tipo di aiuto inizi a mettere in discussione il proprio atteggiamento  di fondo nei confronti della vita, spesso sostanzialmente passivo e vittimistico.

La psicoterapia: un insieme di consigli?

La psicoterapia infatti non consiste in un insieme di insegnamenti, di tecniche e di consigli. Questi aspetti possono anche far parte di un percorso, ma da soli non rappresentano nessuna chance concreta di cambiamento.

Perché un intervento terapeutico che viene da un’altra persona sia davvero efficace è necessario che colui che si trova in una condizione di difficoltà non abbia fretta di liberasene il prima possibile e trovi il tempo di guardare a fondo la propria sofferenza, qualsiasi forma essa abbia.

Guardare a fondo non vuol dire contemplare il proprio animo ferito e crogiolarsi nel dramma, ma cercare di capire il vero meccanismo in gioco che tiene in scacco e appesantisce la propria vita, togliendole slancio e voglia di fare.

A volte la paralisi della forza mentale dipende da una condizione di simil depressione, di depressione “mascherata” o sotto soglia (che a sua volta ha altre radici da scoprire come ad esempio separazioni, perdite o malattie) oppure è legata a una situazione di indecisione cronica, di eccesso di confort o addirittura di presunzione (so già cosa succederebbe se mi attivassi e so già che non sarei soddisfatto lo stesso).

Si capisce come nel malessere che infiacchisce o cancella la volizione ci sia un contributo fondamentale della mente, che cerca scuse e giustificazioni o che si perde in rivoli secondari e in elucubrazioni sterili.

Sentirsi vittime della sfortuna piuttosto che erigersi con supponenza al rango di colui “che sa già” sono i peggiori nemici della forza di reazione psichica. Nei confronti di questi due giganti come possono avere la benché minima possibilità di successo un corso motivazionale o i “consigli” di buon senso dello psicologo?

Guarire la volontà: la prospettiva della responsabilità

Una volta capito che è l’approccio di base alla vita il vero problema che si nasconde dietro alle ripetute sconfitte e all’impantanarsi nelle avversità si aprono due vie, quella della perpetrazione del lamento, del rimpianto e della rimuginazione senza fine oppure quella “innovativa” dell’assunzione di responsabilità nei confronti dei propri problemi.

La seconda prospettiva comporta un taglio, un “clic”, una cesura rispetto al prima, un dire “basta” non agli altri ma a se stessi e alle abitudini mentali tossiche.

Mi è successo questo e quello? Sto soffrendo a causa di una situazione pesante? La risposta, sulla base del cambiamento di atteggiamento, è: <<bene, posso “fare” qualcosa? Cosa è in mio potere e cosa no? Dove posso incidere?>>

Questo significa allenare la forza mentale. Se capisco che il mio benessere psicologico non dipende dagli altri e dalla “fortuna” ma da me e solo da me mi prendo la responsabilità del mio male, lo prendo in carico come se il dottore fossi io stesso.

Chi si dispera, drammatizza o si chiude nel proprio dolore (pontificando sulla vita e su quanto essa sia brutta e ingiusta) anche quando ha le sue ragioni di stare male si sta infilando in un vicolo cieco insidioso. Nessuno lo verrà a salvare, nessuno farà il lavoro al posto suo, anche quando riceverà un conforto e una mano amichevole.

Anche di fronte al male “insensato” (quello che ci colpisce senza che se ne abbia direttamente partecipato alla creazione) abbiamo una sola risposta davvero terapeutica: considerarlo come una parte di noi, non qualcosa di esterno che ci è capitato ma un evento o una condizione che ci tocca portare appresso, che ci piaccia o no.

L’integrazione del negativo, caricarlo sulle proprie spalle come un fardello personale non allontanabile significa comportarsi responsabilmente, come verso un figlio che ha dei problemi e che ha bisogno di noi.

Accettare il negativo non implica lasciarsi andare ad esso o peggio identificarcisi. Vuol dire smettere di scappare, smettere di dirsi “perché a me” e riconoscerlo come un figlio, come qualcosa che mi appartiene ma che è altro da me, come qualcuno che richiede le mie energie e il mio essere sveglio nel rispetto della sua esistenza fuori da quei canoni con cui siamo soliti classificare una vita felice.

La felicità non è l’assenza di problemi

Dovremmo allora iniziare a porci delle domande serie, del tipo che cosa sia la felicità.

Felicità è assenza di problemi, è avere tutto, tutto al top, tutto sotto controllo? O questa versione coincide piuttosto con quella della mentalità comune, con il bombardamento pubblicitario che ritroviamo ovunque e che purtroppo fomenta molta fragilità psicologica e tanta perenne insoddisfazione?

Momenti di felicità pura nella vita costituiscono delle eccezioni, non la norma. 

Ma, al di là del momento topico esaltante, esiste un tipo di felicità “indistruttibile”, di fondo, che non dipende da ciò che ci accade ma dallo sguardo con cui guardiamo il reale.

Questa felicità sopravvive non senza dolore ma nonostante il dolore.

Convivere con i problemi senza accanirsi nel volerli estirpare, senza fissazioni, sapendo che ci sono e che stiamo facendo il possibile per lenirli e circoscriverli  in quest’ottica non ha il sapore della rinuncia ma quello dell’intensificazione del sentimento della vita.

La vita non è come vorremmo, mai. Possiamo cercare di costruirla il più fedelmente possibile in accordo con i nostri desideri ma accade sempre qualcosa che va storto, che non coincide con i nostri piani. Tenere tutto sotto controllo non ci rende felici ma schiavi di un’idea errata di perfezione.

Non è un caso che molti momenti delicati (lutti, separazioni, malattie, esami, operazioni, ecc…)  siano accompagnati da un paradossale senso di “risveglio”, proprio perché lì si avverte un limite superiore al nostro volere umano, limite che impone l’abbandono della volontà dell’Io e l’abbracciare un altro livello di volontà

La forza di volontà è allora altro rispetto alla forza dell’Io, dell’Io che vuole sempre di più, dell’Io che fantastica potere, bellezza e benessere senza fine.

È una forza misteriosa, che arriva se accogliamo tutto quello che ci accade, anche il dolore, senza rifiuto e con senso di responsabilità.

Dal negativo possiamo trarre degli insegnamenti fondamentali, utili per quando la tempesta si ripresenterà e per il tempo che ancora resta.

Infondo tutto quello che abbiamo è il presente, accoglierlo per quello che è  e abitarlo nel miglior modo possibile lasciando andare ciò che “più non è”  si rivela la chiave per una salute psicologica duratura.



Male oscuro, Aiuto psicoterapeutico