La forza di volontà
Le due facce della forza di volontà e il loro coinvolgimento nella psicoterapia
La forza di volontà può essere accostata alla perseveranza, ovvero alla capacità dell’Io di mantenere una rotta e una direzione nonostante la fatica, le condizioni avverse e la lontananza dall’obiettivo. Questa capacità dell'Io la possiamo considerare come espressione di una forza di volontà positiva quando si allaccia a desideri profondi di autorealizzazione, non imposti dagli altri ma provenienti dalla fonte intima del proprio sè. Essa affonda le radici nella fiducia che esista sempre la possibilità di poter cambiare e migliorare. Al contrario quando l'Io si irrigidisce per autoimposizione e bisogno di compiacere gli altri, così da performare secondo gli standard socialmente desiderabili, osserviamo una forma patologica di forza di volontà. La persona si sfinisce e si esaurisce, diventa maniacale e perde di vista il vero obiettivo esistenziale da centrare. La depressione è l'effetto di ritorno di una volontà troppo rigida e inflessibile. In psicoterapia facciamo appello alla prima tipologia di forza di volontà, che prende il nome di resilienza e si configura come la possibilità di andare avanti e di ricostruire con un senso di gratitudine di esserci, a prescindere dal successo e dall'immagine sociale.
La forza di volontà positiva e la forza di volontà patologica
La tenacia, vista come forza dell'Io, appare semplicemente come una facoltà dipendente strettamente dall’autocontrollo. Eppure essa, pur venendo operativamente esercitata dalla coscienza, affonda le sue radici nell’inconscio e si radica al Sè.
Il motore alla base della forza di volontà va quindi cercato altrove, fuori dall’influenza dell’Io, e varia da individuo a individuo. In ogni caso esso dipende dal complesso intreccio di esperienze vissute nella prima metà della vita, nonché dalla dotazione innata con la quale veniamo al mondo.
In quest’ottica una volontà sviluppata può sottendere motivazioni molto diverse, perfino opposte. A volte coincide con una facilitazione dell’espressione di sè (nella misura in cui si pone al servizio dell’autorealizzazione), altre rappresenta un ostacolo rispetto ai desideri profondi individuali (quando è il risultato di insicurezze e di tendenze dimostrative verso l’altro).
Si capisce allora come in psicoterapia non sempre lo sforzo di volontà vada inquadrato e promosso come un atto virtuoso da perseguire a ogni costo in risposta alle impasse, alle indecisioni, alle paure e ai blocchi nell’azione.
Esiste una forza di volontà positiva, frutto di un desiderio vitale e costruttivo, e una volontà patologica, al servizio della mortificazione di sè, del conformismo o del bisogno di ottenere riconoscimento.
La volontà “sana” è quella che si mette in azione quando c’è la passione, quando un’attività o un progetto prendono moltissimo, quando il desiderio di affinarsi e di progredire vanno di pari passo con il gusto per quello a cui ci si sta dedicando.
Pur avendo una radice positiva questa volontà non è immune agli attacchi di frustrazione e fatica, ma essa racchiude in sè una potenza capace di sopportare e attraversare privazioni e incertezze, includendole nel processo creativo.
È infatti altrettanto “sana” la spinta volitiva che subentra dopo un insuccesso, quando il morale è basso, quando le difficoltà si accavallano e l’orizzonte è pieno di nubi.
In questi casi la volontà di rialzarsi, di “rimboccarsi le maniche” segnala la presenza di una vitalità che non intende arrendersi ai colpi della sfortuna, perché il desiderio di “sopravvivere”, di "ricostruire", di tornare a vivere con slancio e pienezza ha la meglio su qualsiasi condizione sfavorevole.
La forza di volontà come resilienza e il suo valore in psicoterapia
Questo tipo di volontà prende il nome di “resilienza”, indica la capacità di resistere, di contrastare il negativo non alla maniera di una lotta carica di tensione o di una battaglia piena di freddezza e sete di dominio. Si tratta piuttosto di un’affermazione vitale umile, che si ancora alle piccole cose e con pazienza ricostruisce pezzo dopo pezzo il mondo andato in frantumi.
In psicoterapia, in relazione alle persone in crisi (alle prese con cambiamenti importanti, con la solitudine, con il lutto o la malattia) cerchiamo di fare appello a questo tipo di forza.
Una forza che non è dell’ordine della prevaricazione, del masochismo o del bisogno di riscatto. Essa assomiglia molto di più al silenzioso rispuntare delle gemme dopo l’inverno o alla quiete che segue la tempesta.
Questa spinta vitale sommessa ma potentissima giace nell’inconscio della maggior parte di noi, in terapia si tratta di riscoprirla piano piano, di capire che il presente è tutto quello che abbiamo e che esso reclama sempre la nostra attenzione, come un bambino che ha bisogno di noi. Il presente ci richiama alla vita con cose apparentemente di poco conto, eppure essenziali per andare avanti.
La sveglia presto al mattino, rifarsi il letto, la doccia o la colazione racchiudono nella loro banalità un potenziale vitale enorme, perché nella loro ritualità rappresentano la vita che si dipana giorno dopo giorno e che necessita primariamente di ordine e di cura.
La forza di volontà così intesa è un balsamo per chi soffre di depressione, per chi si sente perso o affonda nella tristezza e nella noia esistenziale.
Mentre l’esortazione a darsi da fare, a essere forti e positivi non solo non serve ma rinforza ancora di più la polarità maniaco-depressiva nella mente dell’abulico.
Fare leva sulla volontà intesa come energia entusiastica vuol dire “maniacalizzare” una depressione, significa introdurre scariche di adrenalina fini a se stesse in un deserto che necessita solo di un po’ d’acqua.
Fondamentale, per iniziare a conoscere il segreto della forza di volontà, è osservare la natura, il suo incessante rinnovarsi nonostante catastrofi, rovine e morte.
“Finché c’è vita c’è speranza” si dice, e in quesa frase scontata in effetti è racchiusa una grande verità.
La cosa fondamentale è cessare di guardare a se stessi come a creature che hanno perso irrimediabilmente dei treni e dunque non valgono nulla. Vedere il potere tossico delle idee preconcette su come dovrebbero andare le cose, smettere di giudicare e paragonare la propria vita con quella degli altri, iniziare a fare con quello che c’è, qui, ora, lasciando andare il rumore dei pensieri colpevolizzanti, che sono al fondo sempre i pensieri degli altri (a loro volta ingabbiati nella paura).
Allora le cose piano piano tornano a funzionare, ma non si tratta di miracoli. La vita premia la vita che non si accomoda nell’inerzia o non inaridisce nella pulsione di potenza.
Il premio non è la ricchezza o il successo ma l’intimo senso di essere umili operai nella fucina di Dio, grati di poter partecipare e godere dello spettacolo dolce amaro dell’esistenza.
Male oscuro, Aiuto psicoterapeutico