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Le “idee selvagge” in psicoanalisi

I Seminari di Tavistock

Alcuni passaggi dei Seminari di Tavistock di Bion colpiscono ogni volta che vengono ripresi in mano per la chiarezza e l’apparente semplicità con la quale descrivono ciò che accade davvero in una seduta di psicoanalisi, sia nella mente del paziente che in quella dello psicoanalista.

Uno parla, l’altro per lo più tace e a volte parla, entrambi sono seduti comodamente nelle loro poltrone. Ma chi sono, dove sono realmente in quel momento lì?

Naufraghi in mezzo al mare

Bion in questi Seminari non fa sfoggio di ragionamenti brillanti, cattura proprio perchè ci dice che della mente umana noi non ne sappiamo niente, che sia paziente che analista, al di là della fissità concreta delle loro posizioni nella stanza d’analisi, di fatto si muovono come due naufraghi in mezzo al mare, soli e senza riferimenti di sorta.

Il paziente per ovvi motivi. Patisce e non sa perché, si è perso, è pieno di idee confuse su di sè e sul mondo, cerca aiuto, riferimenti, risposte. Ancora non sa che non gli arriveranno dall’altro, che nel caso sarà lui a salvarsi con i suoi mezzi, con le sue gambe e le sue braccia.

L’analista è in acqua pure lui, tanto più a rischio di affogare tanto più ingombrato di pesi, di sapere, di concetti, di teorie, di tutto ciò di cui è stato rimpinzato nella sua formazione.

Nessuna costruzione teorica in suo possesso può di per sé afferrare la “cosa vera” in gioco nella terapia del suo paziente. Si trova in mezzo al mare da solo, per lo più appesantito dalla sua stessa attrezzatura e caricato ulteriormente dalla pressione di chi lo guarda e convulsamente gli chiede aiuto.

Eppure si è preso una responsabilità dalla quale non può sottrarsi. Non potrà garantire la salvezza ma il suo compito è quello di restare in mare, fino alla fine.

Cura e idee selvagge

Bion ci descrive dunque una situazione di pericolo, potenzialmente traumatica, tutt’altro che confortevole, in cui nessuna linea guida può assicurare il successo delle manovre in gioco. Cosa interviene a dare delle chance di salvezza?

Risposta: l’inventiva e il coraggio dell’analista unitamente alla sua capacità di riconoscere nel paziente il proprio indispensabile collaboratore.

Lungi dal costituire un peso morto da trascinare a riva, il paziente viene coinvolto fin da subito nelle operazioni di salvataggio. È accolto con la sua paura e con tutta la gamma di emozioni che lo travolgono. Ora può gridare, può parlare liberamente, c’è qualcuno lì disposto a farsi carico del suo terrore. Così, piano piano, la paura smette di bloccargli le gambe e allora può cominciare a nuotare anche lui, lui che deve essere salvato, lui che annaspa, lui che non ce la fa comincia invece a darsi da fare.

L’avvio e la prosecuzione della traversata secondo Bion lo si deve alle “idee selvagge” che si formano nella mente del terapeuta. Mente creativa, coraggiosa, capace di tollerare l’ansia del non capirci niente subito e di sopportare la solitudine, la negatività, il tumulto emotivo, il peso delle aspettative.

Cosa sono queste “idee selvagge”? Esse si rivelano precisamente delle “sensazioni” che si formano a mano a mano che procede l’ascolto. Più esso è dimentico di preconcetti, teorie e desideri più il discorso dell’altro si fa libero, autonomo. Il paziente si coinvolge, si appassiona, acconsente a nuotare pure lui. Mentre il terapeuta è completamente “dentro” al discorso, nel flusso di un’attenzione non costretta e fluttuante.

Allora ad un certo punto queste sensazioni inducono a pensare: <<credo di sapere cosa intende dire il paziente>>. Dopo qualche tempo esse si intensificano e aumentano la sicurezza di cogliere nel segno, tanto da poter sfociare in un’interpretazione. Si tratta di vere e proprie illuminazioni, momenti rari ma sostanziali, nei quali si compiono progressi, avanzamenti.

Infatti, se l’interpretazione afferra qualcosa di vero, essa buca il muro che separa i due, producendo degli effetti che però restano in parte sconosciuti. L’analista non ha mai il controllo totale su cosa accadrà nella mente dell’altro, su cosa se ne farà di un’interpretazione, su quanto andrà lontano, su dove approderà al termine della sua traversata.

 L’idea nasce, germina così nella mente dell’analista all’interno della coppia, nel transfert. Il paziente da solo non riuscirebbe a formularla ma poi il destino di questa idea resta indipendente. Esistono effetti probabili, quindi cambiamenti a volte radicali. Ma essi restano solo probabili, perché nulla nel processo terapeutico è certo.

Sta di fatto che se una svolta duratura e sostanziale si verifica, se una qualche riva viene raggiunta, se il paziente può nuotare da solo staccandosi persino definitivamente dal compagno, ciò proviene dalla collaborazione di due esseri umani che sperimentano entrambi la loro imperfetta e limitata dimensione umana.

Mentre viceversa dall’autoritarismo, dal sapere libresco o dalla suggestione scaturiranno effetti magari potenti ma temporanei e superficiali, se non peggio regressioni e incistamenti narcisistici duri da scalfire.

Aiuto psicoterapeutico , Disagio contemporaneo