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La nevrosi ossessiva: un mondo dentro l’altro

Nel “La freccia ferma” troviamo l’interessante  capitolo “Un mondo dentro l’altro”, in cui Fachinelli tenta di ricostruire l’eziologia della nevrosi ossessiva, ancorandola ad una “rete interpersonale di rapporti e desideri” e distanziandosi dunque dalla causalità pulsionale/organica freudiana.

La nevrosi nascerebbe infatti  all’interno di una cornice relazionale ben precisa, costituitasi nell’infanzia e non più superata, indipendentemente dalle componenti pulsionali costituzionali (aggressività innata, desiderio originario di morte verso l’altro così come postula Freud).

La struttura bipolare 

Tale modalità di legame con l’altro (che vedremo a breve) rende conto non solo della causalità della nevrosi ma anche del suo modo di presentarsi nel mondo. Ad uno sguardo disattento può in effetti sfuggire quella tipica duplicità di atteggiamenti che ad un clinico o ad una persona particolarmente intima risulta invece piuttosto evidente.

Si dice che l’ossessivo sia un tipo rigido. Fachinelli lo definisce piuttosto tendente all’ “irreprensibile” . La forma deve essere impeccabile, i gesti essenziali, le parole misurate e precise. Spesso colpiscono  l’efficienza logica o la messa a punto dei particolari. Anche una certa docilità cortese, una sottile prontezza di adeguamento all’interlocutore partecipano di tale orientamento all’impeccabilità. 

Abbiamo quindi l’impressione di una “pura mente”, una sorta di  superficie liscia, continua, intangibile, che si muove comunque  secondo regole che ci sono riconoscibili. Di solito la gente comune non va oltre quest’impressione. Ma a ben vedere piccoli segni  svelano l’esistenza di un qualche lato segreto. Un certo modo di studiare particolari laterali ma significativi, da accumulare per dopo. Certe richieste impercettibili, eppure presenti. 

E questo  mondo segreto è fatto di regole che invece non ci sono affatto riconoscibili,  imperativi, procedure e dispositivi che colpiscono non solo per la loro stranezza ma soprattutto per una sorta di logica separata, non condivisibile. 

L’uomo ossessivo, nota finemente Fachinelli, è sempre l’uno e l’altro di questi mondi. Certo, ha la capacità di guardare e valutare il mondo segreto nella sua apparente assurdità, eppure esiste sempre una partecipazione ad esso. Egli è una struttura a tutti gli effetti bipolare, un mondo dentro l’altro.

La separazione non completa

Quale è dunque lo schema relazionale alla base del bipolarismo ossessivo?

 Secondo l’autore lo troviamo nell’arresto ad un preciso momento dello sviluppo infantile, quello che Mahler evidenzia come intermedio fra l’unità simbiotica madre- bambino e la loro completa separazione in unità distinte.

Il bambino cioè è già distinto dalla madre ma non completamente. Il loro legame di comunicazione reciproca vede da un lato un essere debole e fragile, dall’altro una figura onnipotente da cui dipende. 

Il problema sta nell’impossibilità di uscire da questa fase, di per sè normale. Ciò che impedisce il distacco è l’insopportazione della distruttività  necessaria per interrompere un simile rapporto di sicurezza passiva. 

Ogni qualvolta il futuro ossessivo cerca di staccarsi, finisce per avvertire il suo tentativo come un attacco distruttivo al rapporto con l’adulto che, in base alla sua debolezza, gli appare come l’unica garanzia di sopravvivenza. 

L’assicella sospesa su due abissi 

Il bambino si trova così precocemente prigioniero in una posizione di indecidibilità. 

Rimanere nella situazione di appartenenza, di sicurezza significa avere un posto, un’identità, eppure non completa perché dipendente da quella della figura onnipotente. 

D’altro canto  di uscire implica il rischio di distruggere il rapporto con la madre.

È come se egli si trovasse così immobile, inchiodato su un’assicella sospesa fra due abissi antitetici: adeguazione totale alla figura adulta con scomparsa di sè da una parte, autonomia da essa con distruzione del rapporto e morte dell’altro dall’altra. O muoio io o muori tu.

La soluzione ossessiva 

Ecco che allora la nevrosi si costituisce come soluzione al dilemma irrisolvibile. 

Tale immobilità sull’assicella ossessiva permane in tutte le vicessitudini dello sviluppo. Man mano che il bambino cresce le sollecitazioni ad uscire dallo stato di dipendenza si fanno più pressanti. 

Egli  allora risponde tipicamente cambiando la persona a cui si riferisce in questa relazione, passa ad esempio dalla madre al padre o a un parente esterno alla famiglia. 

Intorno alla pubertà, dopo una fase di noia e di abulia, si cominciano a intravedere i primi segni della costruzione della nevrosi. Sotto l’influsso degli stimoli esterni che impongono una crescita e un’autonomia,  la  relazione di appartenenza onnipotente non è più sostenibile.

 Allora, ed è qui la svolta ossessiva,  si tenterà di conservarla mutando il terreno su cui si svolge. 

Il dilemma cioè viene spostato su un ambito diverso rispetto a quello reale (cioè diventare se stessi a prezzo della morte del partner onnipotente) in un mondo di equivalenze e di corrispondenze simbolico- magiche.

E qual è il prezzo di tale spostamento? Esso non riguarda solo la spersonalizzazione del dilemma ma anche del soggetto stesso del dilemma in direzione di un mondo magico.

L’ossessivo si è radicalmente allontanato dalla sua personale  individualità, ha perso irrimediabilemte se stesso.

Ecco spiegato il bipolarismo sopra menzionato: del soggetto resta solo la maschera esangue e impeccabile che gli altri vedono mentre alle sue spalle si addensa un personaggio enigmatico e segreto che lo sovrasta come una montagna. 

È il partner minacciato di morte, che ora ha mutato completamente fisionomia: autorità, legge inesorabile, rigore senza nome, norme spietate, monumento legislativo. Attraverso la ripetizione di gesti e formule l’ossessivo osanna l’autorità, che però nello stesso tempo minaccia di distruggere.

Infatti  la spinta all’identità propria non è affatto placata. La tentazione di effrazione del sistema appare continua. L’insulto a Dio, l’offesa alla Legge esprimono sempre il dilemma originario: vita mia, morte tua. 

È la morte (propria e  dell’altro)  che il futuro ossessivo non  riesce ad assumere. In sostanza egli non ce  la fa ad “allontanarsi dal morto”, sacrificando ad esso la vita intera. 

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