Come superare un passato difficile
Le strategie difensive patologiche e l’efficacia della psicoterapia nel superamento del passato
Il ricordo del passato può essere dolorosissimo, così come la consapevolezza dei condizionamenti, dei torti e degli abusi emotivi subiti nelle relazioni intime (famiglia di origine o relazione con il partner).
La mente umana tende a difendersi dal dolore psicologico legato alle relazioni, in maniera radicale tramite meccanismi di negazione o in modo più blando per mezzo della rimozione.
Entrambe le soluzioni risultano però inadeguate nel superare veramente ciò che è successo sul piano dell’emotività profonda.
Superare un dolore infatti non corrisponde con la sua cancellazione o il suo oblio.
Quello che ha arrecato vero dolore non si dimentica mai, così come le sue conseguenze lasciano sempre tracce irreversibili.
Esiste una terza via. Alcuni soggetti sono dotati naturalmente della capacità di sopportare la consapevolezza del dolore e di tutte le implicazioni che esso ha avuto e ha nella propria vita.
Altri possono beneficiare della psicoterapia, ovvero dell’aiuto di un professionista che questo lavoro l’ha già fatto su se stesso.
Imparare a sopportare il dolore non significa imparare ad arrendersi ad esso ma acquisire dimestichezza nel conoscerlo, dargli un nome, capirne i condizionamenti e non esserne più integralmente sopraffatti (portando avanti scelte basate su un’alleanza con la parte viva, autentica e spontanea di se stessi).
L’approccio negazionista al dolore psicologico
Quando la risposta all’evento traumatico è la negazione non c’è possibilità di presa di distanza dalla persona o dalla dinamica che suscita malessere.
Nella negazione non si è in contatto con le proprie emozioni, che vengono letteralmente “cancellate” in modo da non dover mettere in discussione l’appropriatezza del comportamento dell’altro o il grado di adeguatezza della situazione che si sta vivendo.
La negazione si associa quindi al mantenimento della vicinanza alla relazione traumatica, senza prese di posizione o tentativi di mettersi al riparo.
La difesa della negazione protegge dall’impatto delle emozioni negative e “salva l’altro” al prezzo della passività e della perdita di se stessi. La persona che nega non pensa di stare tanto male, eppure agli occhi degli altri appare un morto che cammina, una figura ridotta all’ombra di se stessa, piegata da un dolore che le ristagna dentro senza possibilità di deflagrare.
L’atteggiamento negazionista, oltre a costituire una difesa auto distruttiva, risulta anche distruttivo verso gli altri. Chi non è più in contatto con le sue emozioni vere non può nemmeno più intercettare quelle degli altri, diventando così rigido e sostanzialmente anaffettivo.
Inoltre, non staccandosi mai dalla dinamica malata, risulta incapace di indipendenza, non maturando come persona. Come si fa infatti a crescere emotivamente se il sentire profondo è anestetizzato e riprogrammato sulle frequenze di un falso sentire?
La cosiddetta “fuga nella normalità”, rifugio nell’adesione a schemi di comportamento e immagini predefiniti, ha questa radice difensiva di natura negazionista.
Chi perde se stesso facilmente prende in prestito dei pezzetti di identità dal campo sociale, per sentirsi almeno un po’ reale. E rischia di essere sballottato fra cadute depressive, segno del ritorno innominabile della realtà scissa, e momenti euforici privi di fondamento.
La pratica della negazione purtroppo oggi è sostenuta anche dall’idealismo di molti approcci terapeutici, che promettono la possibilità di buttarsi tutto alle spalle e di diventare “persone nuove”.
La rimozione e la sua barriera permeabile
La rimozione, similmente alla negazione, mette una barriera fra sé e i vissuti dolorosi.
Se la negazione porta verso la “cancellazione“ di questi contenuti, la rimozione spinge verso una loro “archiviazione”.
La rimozione appare quindi un meccanismo più blando, meno radicale, perché non punta alla distruzione ma al sollievo dato da un temporaneo accantonamento del “materiale scottante”.
L’appuntamento con se stessi è differito, non interrotto definitivamente.
Il malessere infatti non cessa del tutto, ritorna per così dire “a piccole dosi”, tramite dei sintomi (ritorno del rimosso) che fanno star male e che quindi continuano ad attirare l’attenzione sul fatto che c’è veramente qualcosa che non va.
La continuità con la propria sofferenza è quindi mantenuta. I sintomi ne costituiscono i messaggeri, spesso improvvisi e inspiegabili.
Ad esempio enigmatici inciampi nella performance lavorativa o défaillance nella sfera sessuale consentono di segnalare ed accedere all’ampio iceberg sottostante.
Senza preavviso si smette di funzionare, così, senza un perché apparente.
Tutto apparentemente va per il verso giusto eppure la sofferenza rimossa non smette di bussare alla propria porta, riportando alla verità a cui si tentava di sottrarsi.
L'aiuto della psicoterapia nel superamento del passato
La domanda di aiuto ad un terapeuta può avvenire a partire da questo ritorno del rimosso; allora il lavoro sarà quello di andare oltre al sintomo e di raggiungere piano piano il nucleo dolente sottostante, per poterlo guardare, mettere in parola e iniziare ad affrontarlo.
L’obiettivo della terapia non è la cancellazione, la restituzione ad integrum. Approcci terapeutici che promettono questo sono ispirati da un’ingenuità di fondo o peggio da una modalità maniacale di affrontare i problemi (come la mania è solo il rovescio patologico della depressione così la guarigione rappresenta il guscio vuoto della situazione dolorosa di partenza)
Ma allora, questo passato si può davvero superare? Come guarire dalla depressione?
La risposta è sì e no al tempo stesso, sì perché può essere attraversato e disattivato nel suo potere di ripetizione e di messa in scacco dell’intera vita.
No perché certe tracce restano indelebili e la differenza la fa soltanto l’uso che riusciamo a farne, uso che senza consapevolezza sarebbe distruttivo.
Un lavoro del profondo porta a sviluppare un approccio positivo e non vittimistico nella misura in cui, senza negare il trauma, stimola a tirare fuori il meglio dal peggio.
L’esperienza del dolore, se accolta e riconosciuta, offre degli strumenti conoscitivi e affina la sensibilità umana, nonché una capacità di osservazione e comprensione non banale e stereotipata.
Troviamo noi stessi anche nei nostri traumi, negli sbarramenti e nelle ingiustizie patite proprio quando eravamo senza pelle.
Cessare di fuggire e di rifiutare, accogliere tutto quanto ci è capitato e ci capiterà ci rende saldi e aderenti a noi stessi, nel bene e nel male. Ci rende veri, autentici, pur con le nostre cicatrici.
Allora i sensi di colpa, le paure, i giudizi, tutto l’inutile rimuginio mentale finalmente molla la presa per farci assaporare cosa significa la pace.
Aiuto psicoterapeutico , Conflitto inconscio , Guarire dai sintomi