Sei nell’anima: lo sguardo che cura
La cura del disagio psicologico: un esempio dalla biografia della cantautrice Gianna Nannini
Il biopic sulla vita di Gianna Nannini “Sei nell’anima”, uscito da poco su Netflix, senza volerlo intenzionalmente racchiude un insegnamento prezioso sulla cura del disagio mentale che ogni terapeuta o familiare dovrebbe aver presente nell’accostarsi alla persona in crisi.
Il film, incentrato sulla ricostruzione della formazione e dell’ascesa del talento artistico di Gianna Nannini, offre molte aperture sulla vita personale e intima della cantautrice senese.
Nella narrazione della vicenda umana trova un posto rilevante il crollo nervoso che la donna affronta con successo (grazie al sostegno degli affetti e alla sua personalità combattiva), avvenuto poco prima della sua definitiva consacrazione a icona pop.
Il suo percorso di guarigione costituisce infatti una vera e propria esemplificazione clinica su come guarire dalla depressione.
Dalla forza indomabile al breakdown psichico
L’artista, nella convinzione e determinazione degli esordi, sembra sovrumana e invincibile. Con inventiva e con una grande dose di grinta affronta numerose decisioni difficili e avventure, non vacillando mai rispetto a chi è e a che cosa desidera.
Giovanissima lascia la famiglia di origine e parte da sola per Milano alla ricerca di occasioni, sopportando la contrarietà paterna e vivendo situazioni complesse per la sua età anagrafica.
Affronta la difficile e a tratti rude realtà milanese con disinvoltura e scioltezza, senza freni, giudizi e tabù, muovendosi fra incontri improbabili con i così detti "ultimi" della società (che però sono carichi di vera poesia) e imbattendosi in personaggi negativi di cui non resta mai vittima (ha la capacità di non subire situazioni tossiche pur di lavorare).
La ragazza è guidata unicamente dal suo fiuto, dal suo desiderio di libertà e di espressione della sua poetica musicale, sapendo istintivamente “cosa fare” in tutte le situazioni che si trova a vivere.
Le emozioni che prova, anche molto dolorose, non ne abbattono la prorompente vitalità. Così incontro dopo incontro arriva a farsi conoscere, esce il primo album, le cose vanno per il verso giusto.
Il successo commerciale però ancora non arriva, le pressioni dei produttori si fanno insistenti, così come la ricerca dello stile giusto e dell’ispirazione (che la macchina commerciale vorrebbe continua e in accordo con le leggi del mercato). Gianna ha anche incontrato l’amore, ma tutto corre alla velocità della luce e sembra non esserci spazio per la stabilità di coppia.
E qui, proprio sulla soglia del successo di massa, complice la sregolatezza, la vita frenetica e l’uso di droghe (benché non siano esse a innescare direttamente lo scompenso psichico) il buio scende nella mente.
Deliri, paranoie, allucinazioni: la fragilità che sembrava inesistente nella stoffa psichica di questa “amazzone” irrompe bruscamente in maniera violenta e devastante, rischiando di rigettarla nell’anonimato e nella disabilità permanente.
Il film rende benissimo la portata reale dello scompenso psicotico, senza alleggerimenti e rappresentazioni edulcorate.
La salvezza e il ritorno alla vita dopo il crollo
Ma cosa “salva” la nostra Gianna Nannini? Cosa ce la riporta alla vita e alle sue belle canzoni?
Questo punto interessa moltissimo a chi si occupa di problematiche mentali, dalle più leggere alle più gravi. E dovrebbe essere caro anche ai parenti e agli amici di chi affronta dei momenti particolarmente delicati.
Purtroppo un atteggiamento diffuso è quello che affida acriticamente la cura ai farmaci e a protocolli terapeutici standard.
Il problema mentale patito da Gianna Nannini fa parte delle cosiddette bestie nere della psichiatria, delle diagnosi più infauste e a rischio di cronicizzazione e invalidità permanente.
Gianna Nannini invece si è ripresa, non ha perso il suo talento e soprattutto se stessa perché è stata curata prima di tutto dall’amore della famiglia e del partner.
Ma quale amore? Perchè c'è amore e amore, l'amore può essere anche una gabbia e una prigione.
Le azioni che compie il padre sono da manuale: la va a prendere, la accoglie incondizionatamente, le parla con delicatezza, scaccia via il gatto che solo Gianna vede all’interno della macchina, la tiene stretta nel suo abbraccio rassicurante.
Nel momento del dramma vero non c’è ombra di rifiuto o di colpevolizzazione in questo padre certo non perfetto e così contrario alle “canzonette” della figlia.
E poi la presenza della ragazza tanto amata, che si rivelerà la compagna della vita. Non un amore-colla, una stampella o un doppio. Quello della giovane è già un amore maturo, che protegge, che vigila e soprattutto non vede con altri occhi l’oggetto del suo amore solo perché malato o in difficoltà.
Grazie a lei, che blocca il ricovero ospedaliero sostenendo la bugia dell’assunzione di lsd come causa delle allucinazioni, la Nannini evita l’esperienza estraniante e abbruttente del ricovero in psichiatria. Resta a casa, sostenuta da un percorso di cura fatto su misura.
C’è una scena nel film che ritrae ottimamente il momento in cui la cantante lotta contro le allucinazioni e accetta la pillola offerta dal medico che la visita a domicilio.
Questo passo, apparentemente insignificante, rappresenta in se stesso la guarigione.
Guarigione è rendersi conto del baratro che si ha davanti scegliendo di non lasciarsi andare alla follia, quindi distanziamento dalla malattia, suo riconoscimento, volontà di venirne fuori e affidamento ai medici per il trattamento delle acuzie.
Ma tale passaggio, che appunto contiene un mondo, è possibile se intorno c’è l’amore vero, che silenziosamente accoglie (senza drammi e senza colpe) e fattivamente agisce (senza ricatti o rinfacci).
La magia qui è nell’assenza di madri o padri coraggio, che sono i più tossici, perché narcisisticamente orientati verso se stessi anche quando convintamente “combattono“ per i propri figli.
“Combattere” infatti per i genitori-coraggio altro non è che decidere per loro, forzare, inserire in categorie, pontificare. Quanto di più anti terapeutico si possa immaginare.
Basta la semplice accoglienza del padre di Gianna Nannini, umile e docile ma allo stesso tempo capace di sostenere e far appoggiare la figlia.
Questo almeno nell’emergenza, nella crisi.
Dopo il contenimento, che se effettuato tempestivamente salva la vita, subentrano le risorse individuali, di cui la cantante è ampiamente dotata e che la malattia può non aggredire se non temporaneamente.
Le “risorse”, ovvero quell’insieme di capacità e talenti personali costituiscono, dopo l’amore, l’altra leva per tornare alla vita.
La Nannini ha la musica, ma anche persone meno dotate possono trovare la loro strada e la loro gratificazione nel dedicarsi a ciò che sanno fare per se stessi e per la società.
La fragilità di molte psicologie simili a quelle della nostra cantante è direttamente proporzionale alla loro forza sovrumana.
Troppa forza troppo presto va incontro spesso a strappi rovinosi.
Ma l’uscita dal tunnel della follia si puó tradurre in rinascita, in un equilibrio nuovo che rende poi “indistruttibili” nel successivo cammino esistenziale.
Male oscuro, Affrontare il senso di vuoto, Guarire dai sintomi