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Io sono: Celine Dion. Il lutto impossibile

La sindrome della persona rigida: tra resilienza e lutto impossibile

Io sono: Celine Dion” è il recente biopic uscito su Amazon Prime (diretto da Irene Taylor Brodsky), incentrato sulla “lotta” della cantante canadese “contro” la malattia neurologica rara che la affligge (la sindrome della persona rigida).

La critica ha accolto favorevolmente il film, definendolo autentico e toccante, esempio di forza e resilienza nei confronti delle avversità della vita.

Non si può non riconoscere la determinazione di Celine Dion nel seguire le cure e nel cercare di non essere sopraffatta dalla sua malattia.

Sul finire del film infatti ci dice: “ho sempre un piano b. Mi vedo ancora ballare e cantare. Se non posso correre camminerò. Se non posso camminare striscerò. Ma non mi fermerò. Non mi fermerò.”

La modalità scenica di Celine Dion tuttavia desta qualche perplessità, perché si inserisce in un mainstream oggi molto di moda che, davanti ai cambiamenti imposti dalla malattia, opta per l’esibizione del male e per la retorica del combattimento (la malattia vista come il drago da uccidere).

Il “coming out” di Celine Dion è il rovescio dell’occultamento della malattia durato ben 17 anni, attraverso l’assunzione smodata di Valium (Celine stessa ammette di aver rischiato più volte di morire per via delle dosi massicce del farmaco).

Show must go on” dice la cantante, pronunciando la frase come una verità assoluta e non confutabile.

“Tutto fuori” e “tutto dentro” d’altronde sono i due estremi a cui porta la dittatura culturale dell’apparire.

Bisogna apparire, sempre, non importa se al top o nell’inermità più assoluta.

L’impatto emotivo della narrazione sullo spettatore: realismo spinto e retorica del combattimento

L’effetto emotivo sullo spettatore è innegabile, la vicenda personale di Celine Dion umanamente colpisce e rattrista, sia per come viene mostrata sia per la sua realtà.

La presentazione infatti è cruda, priva di fronzoli. La donna si mostra nel suo presente, invecchiata, senza trucco e senza orpelli, i colori sono spenti, la sua casa faraonica appare più un freddo fortino che una vera casa.

Il contrasto fra il passato scintillante e l’oggi è accentuato dai continui flash back che la ritraggono sul palco in abiti favolosi, nel pieno della forma fisica e della potenza canora, contornata dai suoi fan e da atmosfere di successo.

Ai colori e al movimento di ieri vengono accostati di continuo i chiaroscuri delle ore lente che si trascinano nella casa di lusso attrezzata come un ospedale.

Il realismo della narrazione si spinge fino a renderci spettatori di un’improvvisa crisi di spasmi atroci, che aggredisce la cantante proprio dopo alcuni ripetuti sforzi con le prove di canto.

La vediamo imprigionata dalla morsa del corpo fuori controllo, cogliamo tutta la solitudine e lo strazio a cui condanna il suo male e notiamo i gesti competenti e compassionevoli dei suoi assistenti.

L’artista dal grande talento, per altro rimasta precocemente vedova, è minata dalla sua condizione fisica proprio nella possibilità di esercitare la sua arte, come non empatizzare con il suo dolore?

Come non riconoscere la sua ostinazione nel provare e riprovare a cantare i pezzi che una volta interpretava con voce di usignolo?

Il lutto impossibile nella cultura dell’immagine

Tuttavia mano a mano che la pellicola procede nella mente di chi segue la vicenda emergono sensazioni, perplessità e interrogativi dissonanti con il messaggio di forza e di resilienza che essa cerca di veicolare.

Ascoltando attentamente Celine, quasi fosse una nostra paziente, ne possiamo “sentire” tutta la disperazione senza rimedio.

Come guarire dalla depressione? Verrebbe voglia di aiutarla, non a cancellare ciò che la affligge, cosa impossibile, ma a trovare una via di uscita di speranza, a sviluppare una visione diversa e più ricca dell’esistenza.

La condizione psicologica di Celine è molto complessa, non solo per via della comprensibile entità della sofferenza ma soprattutto per il modo con cui la affronta.

La donna, prima di arrivare a rivelare il suo stato di salute, aveva cercato per molti anni di nasconderlo, attraverso stratagemmi vari e compromettendo la sua salute con l’abuso di farmaci.

Oggi la vediamo quindi imprigionata in una specie di oscillazione fra negazionismo ed esibizionismo, senza soluzione fra i due estremi perché nel suo discorso non c’è ombra di accettazione.

Al nostro sguardo non sfugge il suo ripiegamento egoico, la concentrazione a senso unico su se stessa e su ciò che ha perduto.

Il suo mostrare orgogliosamente cimeli, vestiti, scarpe fa rabbrividire perché questi oggetti sono macabramente custoditi come reliquie dentro un magazzino gigantesco che pare un freddo cimitero, nell’illusione esaltata che essi rappresentino la vita.

Infatti, la vita che non c’è più, la vita fatta di lustrini e di successi sembra essere l’unica vita possibile e degna di questo nome.

Celine di fronte alla gigantesca perdita a cui è andata drammaticamente incontro si rivela incapace di lasciare andare, incapace di accettare il divenire, incapace di tramontare.

Le sue risorse psicologiche per fronteggiare la depressione sono scarse e di natura maniacale, ovvero risposte eccitate, ostinate che fanno appello solo a una volontà di cancellazione del problema.

Ma il problema che lei vive è connaturato alla condizione umana: ammalarsi, perdere la voce, lo splendore sono cose che fanno parte della nostra condizione terrena.

La cantante è tutt’uno con il proprio Ego, identificata interamente alla sua voce (in un passaggio lo dice anche espressamente, dice di aver passato la propria vita a seguire la propria voce, a lasciar fare a lei, a dirigerla e guidarla).

Senza la sua voce lei non è letteralmente più nessuno, è un’anima persa.

Ciò che viene mostrato allora si rivela come tutto il contrario della resilienza.

La resilienza infatti è un atteggiamento non rinunciatario che si fonda sull’accettazione e sull’integrazione psichica del cambiamento sgradito, non sulla sua negazione.

Qui abbiamo invece una reazione profondamente depressiva, a cui seguono difese maniacali. Il narcisismo ferito di Celine non sembra colmabile da nulla, nemmeno dalla chance offerta dall’alto compito di essere madre.

Colpiscono con infinita tristezza gli atteggiamenti e gli sguardi dei figli, che vivono in questa casa gigantesca piena di giochi senza un padre, con una madre depressa alle prese con i suoi demoni e soprattutto senza un’ombra di gioia.

Spalle dimesse, sovrappeso, occhi inchiodati sul cellulare, senza dire una parola questi ragazzi svelano impietosamente il loro disagio, la condanna di essere i figli invisibili di una star decaduta.

Oggi, in occasione delle olimpiadi del 2024 Céline Dion è tornata a cantare a Parigi. Dove avrà trovato la forza?

Si sarà sottomessa per l’ennesima volta all’abuso di Valium nell’inchino mortifero al Dio dell’apparenza?

Male oscuro, Sindrome maniaco depressiva, Oscillazioni del tono dell'umore