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Come vincere la paura: cinque idee per non farsi sopraffare

Quadro con farfalle di Sibilla Ulivi

La paura: da meccanismo di protezione a fissazione patologica

La paura tocca tutti gli esseri umani, in sè non è patologica, ma costituisce un’emozione ancestrale che entra in gioco ogni volta che ci troviamo in pericolo di vita.

Essa, con le reazioni violente indotte nel corpo e nella mente, si impone come un allarme rumorosissimo: obbliga a dismettere ogni pensiero e attività in corso e spinge con urgenza all’attacco, alla fuga o alla ricerca di una soluzione intelligente che metta al riparo dalla minaccia percepita.

Ma la paura può anche bloccare e crescere a dismisura, estendersi a situazioni di vita "normali", diventando  così patologica.

La paura patologica: blocco del pensiero e pericoli immaginari

La paura in genere pone due tipi di problemi.

In primo luogo essa può letteralmente spegnere il cervello e dar luogo così a reazioni spropositate come l’eccesso di difesa o l’inermità, il panico e la paralisi totale.

Secondariamente la paura può estendersi a pericoli “immaginari”, che non sono concreti e tangibili nel qui ed ora ma che la mente può anticipare grazie alle sue capacità predittive.

Questi problemi intravisti nel futuro possono non riguardare la vita e la morte nel reale, ma comportare conseguenze spiacevoli, come la perdita di una condizione confortevole di benessere o la caduta narcisistica (il rifiuto, la brutta figura, l’esclusione sociale ecc..). Anche a questo livello la mente può andare in crash, restare intrappolata nel calcolo delle conseguenze tragiche oppure lanciarsi in maniera avventata verso l’ignoto.

Si capisce allora come il potenziale patogeno della paura sia molto elevato: essa, se non ben padroneggiata dalla mente razionale, può dilagare e avvolgere qualsiasi situazione “neutra”.

Può trasformarsi in paura di vivere, bloccando fra mille paletti, oppure, nel tentativo di tacitarla, può portare all’estremo opposto, ad agiti senza senso, spesso distruttivi.

Le cause della "paura di vivere"

In genere la paura “si fissa” come condizione esistenziale durante lo sviluppo, a causa di un ambiente familiare eccessivamente “surriscaldato” dalla sua influenza.

Se in famiglia ogni situazione inconsueta viene percepita come un dramma o come un segno di una catastrofe imminente (senza che tali vissuti siano schermati agli occhi del bambino) il sistema d’allarme connesso alla paura si ipersensibilizza, bloccando le possibilità di esplorazione e la consapevolezza rispetto alle proprie capacità di resilienza e di gestione intelligente dei problemi.

La scarsa autostima delle persone paurose

Problemi di autostima non a caso accompagnano sempre i sintomi ansiosi, perché la persona è scarsamente in contatto con se stessa e con le proprie potenzialità.

In genere le persone molto paurose non riescono a focalizzare bene se stesse, si ritengono più fragili di quello che sono nella realtà e possono trasmettere anche agli altri un’immagine fuorviante.

Esse preferiscono inoltre mettere da parte i loro desideri, perché tentare di realizzarli evoca paure immaginarie, mille “se”, ovvero infiniti scenari catastrofici che vanno in loop.

Talvolta il pauroso decide di uscire dal proprio guscio attraverso azioni non ponderate per nulla (agiti impulsivi), nel tentativo di silenziare il caos di voci interiori. La violenza in questi casi è un rischio, così come scelte e prese di posizione che si rivelano profondamente autolesive.

Rompere il cerchio della paura: la volontà di guarire

Come si esce allora da queste spirali? C’è qualche possibilità per chi si ritrova sistematicamente bloccato dalla paura?

Ricordiamo anche come alla base di qualsiasi azione che può avere un valore potenzialmente terapeutico è necessaria la volontà di uscirne davvero.

Senza desiderio di superare noi stessi non c’è tecnica che tenga: il lavoro psicoterapeutico tocca sempre a noi! Anche i piccoli passi sono importantissimi, essi costituiscono l’anticamera di cambiamenti più visibili e radicali.

Cinque strategie per superare la paura

Vediamo allora cinque modi che possono essere alla portata di tutti per iniziare a scardinare il meccanismo patologico descritto.

Prima strategia: informarsi il più possibile e leggere libri e articoli di approfondimento sul tema. La conoscenza costituisce uno step importante, uno stimolo preliminare per il cambiamento, perché mette in moto la mente, la apre alla ricezione e all’elaborazione di nuovi stimoli.

Secondo punto: riflettere, magari insieme a uno psicoterapeuta, sulle cause profonde che hanno determinato l’iper sviluppo della paura. La psicoterapia è molto utile perché consente di vedersi con altri occhi, da un punto di osservazione diverso, e quindi di entrare in contatto con parti di sé di cui non si sospettava l’esistenza. Queste parti sono parti sane della mente, zone che hanno delle potenzialità inespresse e che si possono coltivare.

Terzo step: decidere di aumentare i propri livelli di esposizione agli eventi temuti, con lo scopo non di avere successo ma di verificare che cosa succede all’interno di noi al contatto con la situazione che fa paura. Capire che lo scopo non è non avere paura ma sopportare lo stato di tensione interna, non farsi vincere totalmente da lei (in modo da guadagnare terreno e aumentare via via sempre di più la possibilità di esplorazione e la messa in gioco di sé).

È importante vivere questa fase come un’esplorazione, come un esperimento e non come una performance

Una volta guadagnata confidenza con il meccanismo dell’uscita dalla zona di comfort ci si possono concedere delle pause per rilassare la mente e fare il punto della situazione (ed eventualmente anche per regredire). Le regressioni sono normali, ma quando si riparte si vede che non si tratta più del punto di partenza originario.

Quarto punto: allenarsi alla riflessione e all’autocontrollo, ricorrendo anche a tecniche mutuate dalle discipline sportive e dalle pratiche orientali.
Connettersi profondamente a se stessi, concedersi la meditazione rilassata tramite l’immersione nella lettura o in hobby che appassionano.

Quinta strategia: allenarsi a cogliere la differenza tra pensiero produttivo e pensiero ossessivo, in modo da nutrire il primo e ostacolare il secondo. Imparare a riconoscere i pensieri che vanno nel loop e stopparli, non dando loro troppa retta anche quando diventano intrusivi.

Alla base di tutta questa pratica terapeutica non c’è l’eliminazione del sintomo ma l’apprendimento di un suo padroneggiamento possibile, in modo che esso non prenda il sopravvento e il predominio su tutta la condotta.

La riduzione del comportamento sintomatico crea ulteriore spazio per l’elaborazione psichica, in un circolo virtuoso di rinforzo reciproco che alla lunga offre risultati tangibili e duraturi in termini di cambiamento.

Aiuto psicoterapeutico , Guarire dai sintomi, Ansia da prestazione, Ansia patologica