Quando a soffrire è la personalità
Anni di psicoanalisi classica ma nella sostanza non cambia niente: l’impermeabilità al cambiamento tramite insight inconscio è uno degli indici che denotano in chi chiede aiuto la presenza di una struttura della personalità, in cui gli aspetti patologici sono rigidamente installati.
Il patologico infatti anche a livello psichico si distingue per la sua transitorietà o cronicità. Non è una questione di intensità: si può stare male tantissimo, in maniera forte e lacerante eppure a un certo punto arrivare a guarire, a giungere verso una condizione di benessere percepita anche dagli altri.
Al contrario il malessere può restare inavvertito, e comparire per lo più perché sono gli altri a inviare sistematicamente dei feedback negativi, con lamentele, appelli accorati, rifiuti. Quasi non c’è sofferenza in se stessi, eppure il patologico è pervasivo, ha radici profonde e si manifesta in relazione agli altri più che a motivi interiori.
Poter guarire da una sofferenza anche molto pronunciata, poter cambiare interiormente pur restando se stessi suppone infatti un’elasticità che nelle personalità disturbate in senso patologico è del tutto assente.
Il blocco dei processi di autoguarigione
Tale elasticità coincide con la possibilità di guardare come dall’esterno i propri schemi cognitivi, affettivi ed emotivi, per modularli in senso adattivo. Essa si traduce inoltre nel poter ricercare i motivi alla base della sofferenza e poter “elaborarli”, ovvero poterli guardare, collocare, accettare e infine potersene nuovamente dimenticare.
Questa malleabilità psicologica coincide con un vero e proprio processo di autocura mentale, un meccanismo autoriparativo inconscio che per motivi genetici e/o ambientali nei disturbi di personalità è assente, dando luogo a problematiche croniche.
Per questo motivo i disturbi seri del carattere sono difficilmente trattabili col modello classico di psicoterapia basato sulla liberazione della parola e con essa dei processi autocurativi della mente, transitoriamente bloccati per via dell’intensità del dolore, della paura sopraggiunta, di idee irrazionali ecc…
Se lo stallo nella guarigione è reversibile in terapia lo si coglie abbastanza presto, chi gode di buoni processi riparativi inconsci piano piano si riattiva fino alla guarigione.
Il terapeuta si limita a favorire ed assecondare tale svolgimento, primariamente con l’ascolto e con interventi ad hoc.
Nel caso dei disturbi di personalità ciò non accade, nulla si muove nonostante grandi elucubrazioni.
Alcune persone con problematiche del carattere possono talvolta migliorare velocemente, ma per puro effetto suggestivo. La suggestione in quanto tale offre infatti dei risultati effimeri, non duraturi e strettamente dipendenti dalla cura più che da una mobilitazione di risorse interne.
La capacità di pensare non è affatto assente in presenza di un problema della struttura caratteriale, anzi. Si può avere una totale mancanza di insight psicologico eppure essere in grado di formulare pensieri intelligenti ed articolati.
Spesso in queste situazioni l’intelligenza e il ragionamento logico fungono da “stampella” rispetto al processo deficitario, aiutando a capire, almeno sul piano razionale, cosa c’è che non va in se stessi.
Il problema del solo utilizzo dei processi consci (razionalizzazione) ai fini del cambiamento consiste nel peso eccessivo del controllo razionale, sempre passibile di cedimenti. Eppure in casi così un buon uso dei processi consci è già moltissimo.
Tipologie di disturbi di personalità e soluzioni possibili
I disturbi di personalità sono tradizionalmente divisi in tre gruppi o “cluster”: nel primo la componente preponderante è la stranezza e l’eccentricità (schizoide, schizotipico, paranoide) nel secondo la reattività emotiva e la scarsa empatia (borderline, istrionico, antisociale, narcisistico), nel terzo l’ansia e la paura (dipendente, evitante, ossessivo compulsivo).
Ad esempio per un soggetto con disturbo di personalità “borderline”, riuscire a esercitare il controllo sulla rabbia è importante. Se esso accade perché si è “capito” quanto la rabbia sistematicamente scaricata sia nociva per se e per gli altri è comunque un buon risultato, perché indica un abbozzo di atteggiamento auto riflessivo che potrebbe consolidarsi nel tempo ed automatizzarsi.
Lo stesso discorso vale per un soggetto “paranoide” , capire di essere paranoici non elimina la tendenza alla paranoia ma la mitiga moltissimo grazie all’uso di processi di auto monitoraggio di natura cosciente (che sostituiscono gli assenti meccanismi autoriparativi inconsci)
Anche per un “dipendente” scoprire le radici della propria dipendenza ha poco o nessun valore di attivazione nel senso della guarigione. Ma capire di agire sistematicamente in maniera dipendente attenua la dipendenza tout court, nella misura in cui si può introdurre una pluralità di interessi e rapporti che mettono in contatto con le esigenze/gusti della propria persona e non soltanto con l’oggetto della dipendenza.
Dunque se il trattamento di questi casi è reso più complesso non dalla gravità dei sintomi ma dalla loro inerzia, è importante non disperare sia per chi soffre sia per chi si rende disponibile ad aiutare.
Il primo vero passo è la comprensione del proprio problema, senza drammatizzazioni o scoraggiamenti.
Per ciò che concerne gli aspetti patologici del carattere, una volta passati dall’egosintonia all’egodistonia (ovvero dalla considerazione dei propri tratti caratteriali come in linea col proprio modo di essere al loro riconoscimento come fastidiosi e autolimitanti) ci si può attivare per costruire delle supplenze efficaci, delle modalità intelligenti per “aggirare” l’ostacolo.
La terapia psicologica non sempre può “sciogliere” dei nodi ma può risultare efficacissima nel costruire “protesi” ad hoc, in grado appunto di supplire a danni irreversibili e a rendere la vita nuovamente vivibile e serena.