Amor fati: perché è un concetto attuale

Amore del fato, amore del proprio destino: dalla filosofia di Nietzsche fino ai giorni nostri
“Amor fati”, concetto elaborato dalla filosofia stoica e ripreso da Nietzsche, significa letteralmente “amore del fato”. Qualsiasi esso sia, anche il più ingiusto e terribile.
Dice Nietzsche in Frammenti postumi: “a tal fine occorre comprendere i lati finora negati dell'esistenza non solo come necessari bensì come desiderabili... per sé stessi come i lati più fecondi, più potenti, più veri dell'esistenza, in cui la volontà in essi si esprime più chiaramente”.
Non si parla qui di rassegnazione, di subire passivamente i rovesci della fortuna. L’amore del fato richiede un movimento attivo, un atto d’amore che si sostanzia nel percepire la bellezza nella bruttezza, l’opportunità nella disgrazia, la sfida nel muro invalicabile, la forza nella debolezza, l’autenticità nelle macerie, la creatività nella privazione.
Si tratta di uno sguardo che abbraccia l’esistenza nella sua interezza, e la prende per quella che è, con amore, con grinta, con passione, con struggimento e orgoglio.
Il dolore, la fatica e la paura non sono certo negati in quest’ottica ma vengono accolti come esperienze, come insegnamenti, come fatti che contribuiscono ad affinare l’essere e a renderlo unico, oltre che più consapevole e aperto di mente.
Tutto ciò che ci accade arriva per rivelarci qualcosa. Sta a noi vedere al di là dell’immagine beffarda della sfortuna e accettare di vivere e divenire qualcosa che non avevamo previsto e che non volevamo con la nostra limitata volontà.
L’amor fati come antidoto al vittimismo
L’amor fati è un atteggiamento salvifico. Solleva dall’odio, dal rancore, dal rimuginare, dal vivere nel rimpianto o nel rimorso. Impedisce all’amarezza di innestarsi permanentemente e di mangiarsi la spinta e l’energia, possibili anche quando si è intenti a sopravvivere, a mantenersi a galla nei problemi che sembrano non finire mai.
Ma soprattutto esso eradica il male dei mali, il vizio dei vizi, ovvero il vittimismo, compagno inseparabile di invidia e distruttività.
Vedersi vittime di una vita ingiusta è il peggio che possa capitare a un essere umano perché immobilizza, guasta, infiacchisce, distorce l’immagine della vita degli altri, paranoicizza, fomenta aggressività, rende pesanti, allontana tutti e porta a formulare profezie che si auto avverano, tipo “saró sempre solo”, “nessuno mi capisce”, ecc…
Si può davvero coltivare l’amicizia o l’amore con chi si piange perennemente addosso? Chi vuole condividere il tortuoso cammino dell’esistenza con qualcuno che è incapace di portare il proprio peso ma è sempre pronto a sentenziare sulla vita degli altri?
Amor fati significa accollarsi il peso non solo di ciò che ci capita senza che se ne abbia colpa ma coincide anche con l’integrazione dei ripetuti fallimenti in cui si cade fatalmente ogni volta.
Nella ripetizione, nell’eterno ritorno dell’uguale, si disvela qualcosa di noi, non dell’altro. Vedere quello che continua a tornare, poterlo mettere a fuoco salva, perché consente di sollevare le bende dell’io ideale, facendoci toccare l’autenticità dei nostri limiti, apparentemente invalicabili perché cuciti addosso negli anni.
Ma al posto della depressione nell’amor fati abbiamo la gioia dell’uomo che non si paragona agli altri, che non giudica, non punta il dito ma riconosce e accetta se stesso, includendo gli sbandamenti, gli errori, gli accecamenti, le delusioni, i tradimenti come promotori di conoscenza vera.
Amor fati e psicoterapia
Questo concetto, a prima vista filosofico, rivela una concretezza palpabile da chiunque si sia ingaggiato seriamente in un percorso di psicoterapia. Infondo ne parlava espressamente uno dei grandi maestri, Carl Gustav Jung: "un dir di sì all'esistenza, un sì incondizinato a ciò che è, senza proteste soggettive, l'accettazione della mia stessa essenza, proprio come essa è".
Oggigiorno purtroppo il lavoro psicoterapeutico sta drammaticamente scadendo al rango di moda; soprattutto tra i giovanissimi andare dallo psicologo viene interpretato come un servizio qualsiasi, uno sfogatoio delle frustrazioni, un mezzo per evare il narcisismo o un oroscopo per predire il futuro e il da farsi.
E l’offerta ahimè non aiuta a disincentivare le false aspettative; sempre più di basso profilo i vari e sedicenti psi si adeguano al mercato, svilendo il senso di un lavoro che per dare risultati tangibili e stabili nel tempo non può piegarsi a mera consolazione, ipnosi o illusione.
La sofferenza oggi è vissuta come un insulto, quasi un affronto, mentre la felicità, in quanto stato patinato e stereotipato (tipicamente connessa all’apparire e all’avere) è considerata un diritto che spetta.
Il concetto di amor fati ci viene allora in aiuto, perché ci mostra il lato più vero della felicità. La felicità, come diceva quell’apparente scrittore per ragazzini di nome Gianni Rodari, “non è semplice e facile come una canzonetta: è una lotta”.
E chi riesce ad essere felice? Chi non si stanca mai di lottare, di cercare e di fare, ovvero chi decide di svegliarsi, di prendere in mano la propria vita irrimediabilmente segnata e imperfetta e di coltivarci sopra il proprio giardino.
I nostri giovani non hanno bisogno di essere compatiti, non necessitano di strade spianate e di comode scorciatoie ma di esempi concreti di come si sopporta e si affronta il duro reale, senza cadere nella rassegnazione, nel lamento e nella nevrosi.
Là dove cadiamo c’è il nostro tesoro: si tratta di allenare gli occhi a vedere nel buio: nuovi colori si accendono, nuove vibrazioni, nuovi interessi.
La passione allora può accomodarsi accanto alla paura e prendere il posto della noia da confort, far vibrare di vita anziché far tremare al primo alito di vento.
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