La sindrome da alienazione parentale: perché è una teoria non scientifica

Che cosa si intende per sindrome da alienazione parentale e quali sono i suoi rischi
Lo psichiatra forense Gardner inventa negli anni ottanta il costrutto di “sindrome da alienazione parentale”, per indicare quel fenomeno per cui, in caso di grave conflittualità familiare, un figlio esibisce atteggiamenti di rifiuto verso uno dei genitori (tipicamente il padre) a seguito dell’indottrinamento manipolatorio perpetrato da parte dell’altro genitore.
Fortunatamente la comunità scientifica non ha riconosciuto tale teorizzazione come una patologia vera e propria, tant’è che essa non è stata inserita all’interno del DSM (manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali).
Il rifiuto marcato da parte di un bambino nei confronti della figura paterna (si tratta infatti del caso più comune, più raro è il viceversa) non necessariamente è legato alle parole screditanti della madre, ma può essere il frutto sia dell’esposizione diretta ai comportamenti disfunzionali e/o violenti del padre, sia della percezione inconscia della delusione materna.
I bambini infatti sono molto sensibili ai sentimenti dei genitori, anche quando non vengono espressi a parole e con intenzionalità diffamatoria: per un bambino non è affatto difficile ricondurre la sofferenza materna all’inadeguatezza del padre, qualsiasi essa sia.
Data l’immaturità psichica del bambino, l’emozione percepita correttamente nell’altro non può essere elaborata nella sua complessità, e può dare quindi luogo ad atteggiamenti di freddezza e di ostilità verso il padre.
Utilizzare questo costrutto per deliberare circa l'adeguatezza di una madre può quindi essere molto rischioso, soprattuto quando la valutazione è portata avanti da esperti con perizie svolte nell'ambito di processi per separazione conflittuale.
Gli "errori" in buona fede delle madri: la richiesta inconscia di supporto emotivo
Esistono sempre casi in cui le madri commettono l’errore di riversare verbalmente sul bambino il loro astio, la loro delusione, la loro disperazione generate dal compagno frustrante e dalla dinamica tossica che si è andata a creare nella coppia.
Si tratta di un errore nella misura in cui il figlio viene caricato di un compito che non gli compete, ovvero quello di consolare o di difendere il genitore, con conseguenze nefaste sulla psiche del piccolo.
Nella maggior parte dei casi tuttavia si tratta di donne che hanno dei lati di immaturità e di fragilità. Il loro intento non è quello di distruggere il partner agli occhi del figlio; queste donne per lo più cercano, sbagliando, conforto e appoggio nel loro figlio, là dove il partner è effettivamente carente nel supportare il benessere della famiglia.
È rara la situazione in cui abbiamo un marito amorevole, mansueto, innocente e una moglie furiosa, diabolica e manipolatrice.
Esistono sicuramente casi similari, in cui la capacità materna di accudimento e di cura risulta gravemente compromessa da una dinamica che alterna possessività verso il bambino e atteggiamenti abbandonici. Ma la cosiddetta “alienazione parentale” in tali quadri rappresenta il minimo dei mali, perché il bambino è danneggiato direttamente dalla condotta disorganizzata della madre.
La madre sufficientemente buona: la capacità di contenimento dei bisogni primari
I cosiddetti “danni” che le madri possono infliggere ai loro figli non possono essere messi tutti sullo stesso piano.
Gli effetti più gravi sulla psiche del piccolo, tali da richiedere talvolta un allontanamento della madre dalla cura del bambino, concernono l’incapacità materna di contenerne i bisogni primari, la pappa, il bagnetto, la cura del sonno, atti accompagnati da parole dolci, dagli abbracci, da un atteggiamento protettivo.
Il pediatra illuminato Winnicott, sosteneva come le madri non possano mai essere perfette; il punto è che la madre sia “sufficientemente buona”, ovvero che sappia espletare la sua funzione di “holding” nei confronti delle necessità e delle pulsioni del bambino.
Quando questo holding esiste, quando le cure adeguate si accompagnano all’affettività, la capacità materna non può essere messa in discussione.
Ciò anche quando la madre commette l’evidente e non lieve errore di cercare conforto nel figlio. Le ripercussioni di questa ricerca di soddisfazione nel figlio hanno un impatto meno devastante rispetto alla carenza di cure.
La psicoterapia della madre in crisi
In molti casi basta un intervento psicoterapeutico volto a sostenere la madre nel periodo delicato segnato dai conflitti di coppia per far regredire anche totalmente il bisogno di soddisfarsi nel bambino. Quando la madre riprende fiducia e ricomincia a investire nella sua figura di donna ecco che il bambino si trova svincolato da quella posizione difficile, che spesso suscita in lui sentimenti di ostilità verso il padre.
Infatti se la madre trova soddisfazione altrove, si sente spalleggiata e aiutata, molla la presa sul piccino nella stragrande maggioranza dei casi. In più il bambino, "percependola" più felice, si rasserena e si apre maggiormente al padre.
La pericolosità del concetto di alienazione parentale: cosa fare per sostenere e non demonizzare le madri?
Dunque il costrutto di alienazione parentale contiene una pericolosità su due versanti.
Da un lato fa di tutta un’erba un fascio, evoca lo spettro della madre divoratrice anche in quelle situazioni in cui la sua figura è fondamentale e sufficientemente appropriata ai fini dello sviluppo armonico del bambino.
Dall’altro purtroppo in questi ultimi anni, nonostante la comunità scientifica non abbia riconosciuto la validità di tale costrutto, esso ha un impatto notevole nelle separazioni giudiziali, nelle separazioni cioè in cui i coniugi non trovano un accordo ma si accusano reciprocamente di inadeguatezza (ai fini dell’ottenimento della tutela esclusiva del figlio).
Tali accuse portano invariabilmente i giudici a nominare dei periti (le famose CTU) per determinare l’adeguatezza genitoriale tramite delle perizie psichiatriche.
A farne le spese spesso sono le donne, trascinate in tribunale da compagni che non accettano i comportamenti di rifiuto dei loro figli, innescati non dalla “follia”materna, bensì dal livello altissimo di conflittualità che va a disturbare la serenità della loro mamma.
Per la sensibilità infantile l’infelicità materna si spiega con l’inadeguatezza paterna: agli occhi del bambino il papà è colui che è deputato a rendere contenta la mamma. Se non lo fa, per le ragioni più disparate (tra cui non di rado la violenza), egli è identificato come il colpevole.
Con la crescita chiaramente il bambino diventa capace di andare oltre queste percezioni primitive, e di ricostruire in maniera lucida come sono andate le cose davvero.
Ma che succede se le madri sufficientemente buone sono allontanate traumaticamente dai loro figli in virtù di decisioni prese sulla base di teorie datate, ascientifiche, che sanno di slogan, di cui purtroppo molti periti sono infarciti ideologicamente?
A chi giova tale allontanamento traumatico?
Le madri, anzichè essere colpevolizzate e messe fuori gioco, nell'ottica della tutela del bambino vanno aiutate e sostenute nella loro funzione genitoriale.
Soprattutto e a maggior ragione quando non riscontriamo quadri di gravi disturbi della personalità e ci riteniamo di fronte a madri sufficientemente buone, benchè in crisi e in difficoltà.
Il bambino ha sempre in primis bisogno della madre; in un contesto di cura appropriato, non giudicante ed etichettante, certe disarmonie possono essere mitigate e risolte.
I padri che si ritrovano a tu per tu con il rifiuto da parte del figlio più che accusare la compagna dovrebbero porsi delle domande su loro stessi, svolgere una sana autocritica e provare a rimodulare il rapporto con il piccolo.
Una difficoltà che si incontra oggi può essere efficacemente superata un domani; importante è non cedere alla tentazione di dare la colpa agli altri, mettersi in discussione costruttivamente e avere fiducia che nel tempo i problemi relazionali si risolvono, data la dinamicità dello psichismo del bambino e la sua plasticità in risposta agli stimoli (a maggior ragione quelli virtuosi!).
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