Quando l’odio ammala le relazioni
Molte problematiche relazionali e di coppia affondano le loro radici nella difficoltà, se non nell’impossibilità e nella non volontà di padroneggiare sentimenti più o meno coscienti di odio distruttivo.
Il fallimento del maneggiamento mentale dell’odio, ovvero del suo contenimento psichico tramite meccanismi evoluti (quali ad esempio la razionalizzazione, l’empatia, l’autocritica, il perdono ecc…) segnala quasi invariabilmente un oscuro consenso al male che esso racchiude.
Non è infatti la presenza in sé dell’odio a generare i problemi, ma il suo non riconoscimento critico da parte di chi lo prova.
Riconoscere di avvertire odio dentro se stessi, poter ammetterlo senza negarlo o edulcorarlo e magari anche verbalizzarlo infatti è il primo passo per disattivare i suoi effetti nefasti, per impedirgli cioè di colonizzare con la sua tossicità tutti i pensieri e i vissuti, nonché la condotta.
Assecondare l’odio, sia che esso sia non avvertito oppure al contrario sia ben presente alla coscienza, comporta una scelta, anche quando pare più “forte di me”.
Ma che cos’è esattamente l’odio?
L’odio è un sentimento di potente avversità nei confronti dell’altro, che può arrivare fino alla fantasia (o più raramente fino all’attuazione) del suo integrale annientamento (morte, umiliazione, caduta in disgrazia ecc…).
Nella vita quotidiana si manifesta in piccoli o grandi sgarbi, sgambetti, maldicenze, ripicche, torture e ricatti emotivi ecc…che troppo spesso nella società attuale sono “normalizzati” come modalità di relazione inevitabili e perfino utili.
Origini del sentimento odioso
In genere l’odio deve la sua origine alla percezione indistinta e non sempre appropriata di un torto subito da parte dell’altro. Il sè si percepisce sotto attacco ma per vari motivi non vuole o non può difendersi apertamente e ristabilire subito la parità. L’inibizione della possibilità di reazione incentiva la nascita e la fomentazione di sentimenti ostili, che in questo modo proliferano nel tempo in maniera incontrollata.
Più l’odio è intenso, più esso trae forza da esperienze di abusi vissuti nell’infanzia: il passato offre benzina ed esaspera il sentimento odioso anche in presenza di piccole e sorvolabili frustrazioni.
Soprattutto quando un genitore diventa per il bambino oggetto di un odio intenso e profondo, tale esperienza rende molto difficile trovare un equilibrio relazionale in età adulta, soprattutto nei rapporti che comportano intimità.
L’odio non è il contrario dell’amore, ma sostanzialmente indica la presenza di un amore tradito con violenza, un amore impossibile, la percezione di non essere nulla per l’altro.
Per questo è oggetto d’odio qualcuno che è parimenti oggetto di interesse e di amore. L’amore risveglia la dipendenza e con essa la possibilità che l’amato abbia altre mire o interessi. Inoltre l’amato per il solo fatto di mobilitare sentimenti forti, stima, ammirazione, passione ecc…si avvicina involontariamente alla zona d’ombra dell’odio
Egli ha acquisito un potere che può far sentire piccoli e miserabili, quindi è pericoloso in quanto tale.
Le relazioni adulte fra pari poi, anche quando hanno molta ricchezza e positività al loro interno, non possono mai integralmente supplire alle mancanze vissute da bambini, risarcimento che chi ha subito traumi infantili in realtà si aspetta.
Ma una certa misura di frustrazione è insita in ogni rapporto umano, il fraintendimento, il ferire involontariamente con gli atti o le parole non sono totalmente evitabili
Come contenere il sentimento odioso
Un grado sufficiente di maturità emotiva permette di tollerare i piccoli e meno piccoli disallineamenti che derivano dalla condivisione di un rapporto di intimità.
In questi casi il movimento odioso verso l’altro frustrante è riconosciuto e disattivato grazie all’intervento di facoltà elaborative sviluppatesi con la crescita e l’esperienza di vita.
Essere stati soggetti a rapporti d’abuso espone maggiormente al sentimento odioso ma non necessariamente alla sua esplosione incontrollata o alla sua fredda manifestazione.
Non esiste un determinismo nella trasmissione di fantasie e atteggiamenti più o meno grossolanamente violenti verso l’altro.
Abbandonarsi all’odio implica una scelta, anche quando il deficit si pone a livello del controllo degli impulsi
Perdere la testa, arrabbiarsi può essere un fatto episodico di cui ci si può scusare e a cui si può riparare, e non necessariamente implica un desiderio distruttivo.
Agire l’odio non si sovrappone perfettamente all’espressione aggressiva diretta, anzi, spesso il veleno viene rilasciato freddamente, attraverso mille mascheramenti e perfino modalità apparentemente amabili.
L’odio è parente dell’invidia, si allarga a macchia d’olio in tutte le relazioni significative, mirando alla caduta in disgrazia dell’oggetto d’amore splendente.
La psicoterapia può aiutare a vedere le proprie dinamiche oscure ma non le può eradicare senza che ci sia la volontà forte di migliorarsi anche su un piano etico.
Volere il male dell’altro, compiere scorrettezze ai suoi danni, godere delle sue sfortune è un vizio che non può essere tolto dall’esterno.
Bisogna volersi ripulire, come l’alcolizzato che decide di disintossicarsi una volta per tutte.
L’elemento della volontà e dell’onestà coraggiosa nel riconoscere il proprio peggio è un requisito fondamentale.
Purtroppo esistono coppie, amici, gruppi che ormai reputano normale “farsi gli sgambetti“ reciprocamente, di continuo e in ogni situazione.
Scalfire questa assuefazione, questa abitudine malsana vuol dire decidere di voler vivere in modo diverso, da persone che optano per la costruzione anziché per la sterile e narcotizzante dimensione distruttiva.
Rapporto uomo donna, Aiuto psicoterapeutico