Adolescenza ritardata
Bravi bambini, ubbidienti, studiosi, a proprio agio con gli adulti e in difficoltà con i pari. E non solo durante l’infanzia. La situazione si protrae in età adolescenziale: i genitori non sono sottoposti a critica, non vengono “demoliti” dal pensiero indipendente che si fa strada dalla pubertà in poi. Restano i punti di riferimento incrollabili, le loro attese e i loro pareri influenzano tutte le prime vere scelte di vita, dall’università all’amore.
Ottundimento e risvegli tardivi
Molti non si affrancano mai; la loro vita scorre serenamente nell’alienazione più totale senza conflitti. Anche in età adulta mamma o papà vengono chiamati al telefono più volte al giorno, il conforto della loro approvazione è essenziale per vivere bene, per sentirsi felici, a posto. Quando infine la morte si frappone imponendo forzatamente la separazione si verifica un vero e proprio crollo. Senza l’altro soggetti così non esistono, precipitano nell’abisso del bambino abbandonato, della creatura priva di risorse psichiche ed emotive per cavarsela in autonomia.
Altri pare che si “sveglino” più tardi, magari alla fine di un percorso universitario intrapreso sempre sulla scia della compiacenza. All’improvviso, già grandicelli, diventano ribelli, cominciano a distruggere tutto ciò che avevano costruito con paziente sottomissione. Tuttavia la passione per la demolizione non lascia spazio ad alcuna costruzione duratura.
Una serie di false partenze viene collezionata senza interruzione, come se il bisogno di sperimentarsi in una dimensione priva di impegno, mai potuto appagarsi, prendesse il sopravvento su tutto. La tirannia delle tempistiche da rispettare, così invadente nella prima parte della vita, si rovescia in quella delle occasioni stimolanti da non lasciarsi sfuggire, in una bulimia dissipativa e sfinente al termine della quale avanza un vuoto angoscioso. Ho provato questo e quello, ora che faccio? Che ne sarà di me?
Questi sono i tipici scenari delle così dette “adolescenze ritardate”, tentativi inconsci di realizzare una separazione che però sembra impossibile. Impossibile infatti è essere semplicemente se stessi, accordarsi al proprio gusto, alla propria interiorità senza venir fagocitati da mille suggestioni passeggere. La precarietà avvolge tutto, amicizie, rapporti con l’altro sesso, lavori, hobby, gusti musicali ecc...
Emozioni e ricerca convulsa
Ciò che appare seriamente compromesso è il senso d’essere vivi. La vitalità è ricercata e agganciata maniacalmente, con una frenesia di riempimento che si fa mortifera. L’euforia prende il posto della gioia, così come intensi stati depressivi si sostituiscono alla percezione acuta della difficoltà e del dolore.
Gioia e dolore nella loro forma “adulta” infatti si sperimentano per la prima volta nella loro compiutezza proprio durante quella fase adolescenziale non vissuta. L’amore e le sue frustrazioni, così come il misurarsi con gli amici, la socialità e le relative difficoltà sono il primo banco di prova rispetto ad una gestione emozionale in autonomia, senza il rifugio comodo ma opprimente del genitore.
L’adolescente che vive a pieno la sua età impara a conoscersi, tramite prove ed errori comincia a costruirsi un’idea di chi è, di cosa sente e di cosa vuole al di là della famiglia. E il senso di libertà è così goduto da essere gioia pura, così come una delusione o un conflitto bruciano e fanno percepire il dolore emotivo in modo nuovo rispetto all’infanzia.
L’adolescente ha fretta e timore di lasciare l’adolescenza, desidera lanciarsi nella vita adulta e non sa se ce la farà. In ogni caso il suo essersi messo alla prova gli permette di compiere delle scelte che riflettono i suoi desideri, le sue inclinazioni e aspirazioni. Così quando incontrerà delle difficoltà non si lascerà andare completamente allo sconforto, vacillerà ma resisterà perché sarà sostenuto dalla fiducia in ciò che ha scoperto di sé.
Dunque saltare la tappa adolescenziale e poi viverla verso i venticinque/ trent’anni, se da un lato dimostra un tentativo di guarigione rispetto all’appiattimento dell’adesione acritica al volere genitoriale, dall’altro si profila come una condizione che espone a turbolenze che rischiano di trascinarsi a fasi alterne per tutta la vita.
Approccio terapeutico
Ecco perché in questo caso è molto importante un’autodiagnosi che porti ad una richiesta di aiuto. La psicoterapia non può sostituirsi alla vita non vissuta, così come non può incidere senza la collaborazione del paziente.
Perché qualcosa cambi davvero bisogna che la terapia non si trasformi nell’ennesimo luogo da cui dipendere e conseguentemente in un secondo tempo da distruggere.
La terapia è efficace se fa da ponte verso la separazione, diventando uno spazio conoscitivo rispetto alle emozioni più proprie. Non un sostegno, non una stampella ma una fucina di idee, di pensieri nuovi. Un modo per connettersi, magari per la prima volta in assoluto, con la parte più autentica della propria personalità.
Lavoro possibile quando un barlume di personalità è effettivamente presente e disponibile a mettersi in gioco. Contrariamente lo scacco resta dietro l’angolo, rientrando anche la stessa psicoterapia nella serie delle false partenze e delle distrazioni di durata variabile dell’eterno adolescente.