Perché paragonarsi agli altri è un errore?
Paragonarsi agli altri è un atteggiamento che non solo non favorisce alcun benessere ma costituisce persino un ostacolo a un miglioramento di sintomi o comportamenti patologici.
Paragone e “oggettificazione” dell’umano
Il paragone differisce sia dal confronto costruttivo con l’altro sia dalla possibilità di trarre ispirazione da modi di vivere differenti dal proprio.
Nel paragonarsi a qualcuno l’individuo ne esce sempre perdente, perché l’insoddisfazione dirige il suo sguardo automaticamente verso chi ritiene più “su”.
Il paragone suppone che esistano una superiorità e un’inferioritá misurabili secondo parametri oggettivi. In genere questo mettere sulla bilancia si focalizza sull’immagine, sulla performance e sull’avere, valutate a partire da “standard modaioli” tipici della società occidentale.
Paragonarsi riduce se stessi a oggetti, a merci la cui pregevolezza è stabilita dal grado di aderenza ai modelli imperanti.
In questa dinamica viene completamente tagliata fuori la dimensione spirituale dell’uomo, l’unica in grado di generare opere benefiche e orientare saldamente nelle difficoltà della vita.
Per dimensione spirituale non si intende unicamente l’anima in senso cristiano ma anche, più laicamente, l’esercizio della “virtù”, la spinta umana verso il bene, la creatività e l’armonia.
Senza la virtù l’uomo è solamente un morto che cammina, una macchina lucida e accessoriata ma intimamente fredda, votata alla disperazione.
Che succede alla macchina se non è abbastanza bella, potente e ricca? La si butta via o la si tiene nel perpetuo disprezzo.
Le persone che si paragonano continuamente agli altri non fanno altro che considerare se stesse al pari di “gadget” difettosi, alimentando un circolo vizioso di negatività.
Vissuti depressivi e invidia avvelenano il loro cuore, paralizzando totalmente la loro capacità di esercitare la virtù.
Anche chi si ritrova all’apice del triangolo bellezza-successo-danaro non è esente da invidia e cadute narcisistiche: esiste sempre la minaccia del crollo che si sa, prima o poi arriva per tutti a causa delle leggi della natura.
Una via di uscita dal materialismo
Come uscire allora dal tunnel inaridente del materialismo spinto, che porta alla desolante convinzione di essere solo oggetti fra oggetti?
Innanzitutto bisogna volerlo veramente. Purtroppo molte persone sono così dentro a tale meccanismo da non riuscire nemmeno a metterlo in discussione. Si lamentano e soffrono dei successi altrui, tirando in ballo la sfortuna come scusa per non cambiare atteggiamento di base. Che resta profondamente materialista.
Oggi più che mai è necessaria un’elevazione di natura spirituale. Non per forza la riscoperta autentica di Dio, anche se aiuterebbe moltissimo a vedere con altri occhi e a uscire dallo stagno angusto delle miseriucole umane.
Basterebbe già riuscire a mettersi in contatto con la propria capacità vera di fare e sentire, capire come si è fatti davvero e mettere a frutto le proprie capacità per il piacere di partecipare e contribuire al gioco della vita.
Senza più inseguire modelli di perfezione plasticosa e un po’ ottusa.
Riappropriarsi della virtù così concettualizzata prosciuga la depressione e l’insoddisfazione.
Esercitarsi in qualcosa in cui si può riuscire ad esprimersi (qualsiasi sia il livello sulla scala di desiderabilità sociale) non per il successo e l’apparenza ma per “sentirsi” e “sentire” la gioia di essere operosi è la chiave per dare un taglio allo sterile ripiegamento su di sè.
Puntare al Bene non solo eleva ma muove e risveglia la coscienza addormentata nella pura esistenza bidimensionale dell’immagine.
L’accettazione di sé in quest’ottica non è rassegnazione alla mediocrità ma accoglienza della propria, unica dotazione, degna in quanto tale e non meritevole di inutili e mortificanti paragoni.
Sono rari i casi di individui che non hanno assolutamente nulla da dare; e quando anche un’infermità dovesse sopraggiungere essa non sarebbe da ostacolo alla creatività. Lo sarebbe solo nell’ottica della visione disperata e angosciante dell’uomo macchina.
Immergersi nella natura può essere molto utile per ritrovare il proprio essere spirituale. Nella natura cadono tutte le sovrastrutture sociali e l’uomo si riscopre terribilmente nudo e fragile, ma finalmente autenticamente vivo e in contatto col grande mistero dell’esistenza.
La natura è un potente antidepressivo e una scuola davvero formatrice per lo spirito. Insegna ad “essere” più che ad “apparire”, impone umiltà e intelligenza, spirito di adattamento e resistenza.
E poi ci sono i rapporti umani veri, non inquinati dalla serpe dell’invidia. Le persone con cui ti senti a casa anche quando sei giù e nella forma meno smagliante.
L’amore concreto, quello che prescinde dalla coppia e che si manifesta nei rapporti di scambio non competitivi (non il sentimentalismo o l’esaltazione idealizzante) è una forza potentissima.
L’accoglienza, l’ascolto e la mancanza di giudizio possono far aprire uno spiraglio nella visione lugubre materialista, a patto che non vengano “usate” come mero sfogatoio ma siano da incentivo al risveglio.
Le persone possono così essere degli stimoli le une per le altre, anziché limitarsi a rispecchiarsi in un’inutile concorrenza distruttiva.