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I fattori terapeutici della psicoterapia

Vaso di iris con poltrona verde, immagine generata da Sibilla Ulivi

Le dinamiche alla base del processo di cura

I risultati di un lavoro psicoterapeutico possono arrivare in breve tempo, oppure richiedere mesi e anni per stabilizzarsi e rendersi pienamente visibili.

L’elemento temporale è quindi relativo e dipende dal momento specifico e dall’assetto psicologico in cui si trova la persona che chiede aiuto.

Ad esempio una persona può essere molto sospettosa e in difficoltà ad aprisi con gli altri; è difficile che il suo malessere possa sbloccarsi in poche sedute. Se il terapeuta sa pazientemente esercitare l’arte terapeutica allora piano piano egli vede il suo paziente cominciare a rivelare il proprio mondo interno, autenticamente.

Ciò che in questo caso risulta un passaggio notevolissimo, preliminare ad ulteriori evoluzioni, in altre situazioni viene tranquillamente saltato e dato per scontato.

Il grado di fiducia nell’altro e nella possibilità taumaturgica della parola fa la differenza in termini di rapidità dei risultati: più ci si affida, più la psiche profonda è libera di dar luogo ad associazioni ed elaborazioni costruttive.

Si capisce allora come i fattori terapeutici vadano ricercati principalmente al livello della relazione con il curante, relazione che egli è addestrato a manovrare con etica e sensibilità “competente”.
Nessuna comunicazione e nessun intervento terapeutico possono risultare efficaci in assenza di una buona gestione della relazione da parte del terapeuta.

La relazione terapeutica: etica e competenza

Comunemente chiamata "transfert “dagli psicoanalisti e genericamente “alleanza terapeutica” da parte di tutti gli altri, la relazione terapeutica presuppone che vi siano sentimenti di stima e di fiducia da parte del paziente verso il curante.
Ma tali sentimenti non vanno mai dati per scontati; chiedere aiuto vuol dire nutrire delle aspettative di riceverlo, quindi vuol dire sperare, augurarsi di trovare un essere umano disponibile alla cura.

Quindi se da un lato domandare è già investire l’altro di un potere terapeutico, gli incontri ogni volta mettono alla prova questa supposizione.

Se esistono persone sospettose e in grado di tutelarsi da cattivi incontri, ce ne sono altrettante che, in balia della sofferenza, si fiderebbero di chiunque.

L’etica e la competenza del curante sono quindi fondamentali affinché il cosiddetto transfert resti un generico sentimento di gratitudine fiduciosa e non si trasformi in attaccamento morboso o in odio acerrimo.

Se le attese vengono via via disattese, lo psicoterapeuta si trova nei guai: amore e odio sono potenze distruttive ma non sono mai risposte casuali del paziente, sono sempre l’esito di una cattiva gestione della relazione terapeutica.

Cosa fa capire che esistono le condizioni per un lavoro proficuo insieme a un curante?

Prima di tutto l’etica: un terapeuta vero non parla mai dei fatti propri, ma proprio mai. Anche se interrogato esplicitamente trova dei modi garbati per riportare l’attenzione sul testo del paziente. Il motivo non è la tutela della privacy ma la cancellazione della propria persona per evitare di influenzare l’altro, di trascinarlo in un rapporto di rivalità o di idealizzazione del tutto inutili ai fini della cura.

Chi è in terapia deve quindi avere la sensazione di essere ascoltato e rispettato senza abusi, confronti, invadenze. Deve essere molto chiara la percezione che quell’ora è tutta sua, che può disporne a piacimento, a piene mani, senza preoccuparsi di arrecare disturbo o di sfigurare o di compiacere.

La competenza consiste invece nella capacità del terapeuta di capire le parole e le questioni complesse del suo assistito grazie a domande mirate e interpretazioni di senso, che non lo mettano troppo sotto pressione ma al contempo gli restituiscano una serietà e profondità di approccio ai suoi problemi.

La competenza significa che il terapeuta non parla a casaccio sulla base della sua presunzione di sapere.
Questo purtroppo è un errore riportato in maniera frequentissima da soggetti che hanno alle spalle dei percorsi del tutto fallimentari.

Il terapeuta peggiore è quello che "sa" per diritto acquisito, per installazione presuntuosa in una falsa posizione di sapere. In questi casi non abbiamo nessun fattore terapeutico in gioco ma un semplice utilizzo del principio di autorità, un abuso psicologico bello e buono, piuttosto grossolano anche, di cui però non tutti riescono ad accorgersi e liberarsi in tempo.
Lo stato di bisogno, l’insicurezza, la volontà di mettersi in discussione e la sopracitata aspettativa di trovarsi di fronte ad una persona animata da buone intenzioni (e non dal proprio egocentrismo) concorrono a restare in ostaggio per anni in rapporti terapeutici logori e sterili.

Il sapere di non sapere e la ricerca della verità

La competenza anche nel campo della psicoterapia si sostanzia in umiltà e in socratico “sapere di non sapere”, ovvero in consapevolezza dei propri limiti di conoscenza.

La psicologia di ogni individuo è un caso talmente complesso e particolare che non può mai essere interamente ridotta a una diagnosi. A parte i casi di diagnosi completamente errate, sono preoccupanti anche le situazioni in cui il paziente ha l’impressione e di essere trattato come un caso e non come un soggetto unico.

La competenza porta lo psicoterapeuta a inquadrare dei temi che ricorrono, ma poi la sua abilità la si vede nel modo che ha di utilizzare il dialogo terapeutico senza trincerarsi nel silenzio di superiorità.

Dialogare va tranquillamente di pari passo con l’ascolto, non significa esporre idee personali ma ingaggiarsi in una costruzione condivisa, alla luce della consapevolezza che il paziente di se stesso ne sa molto di più del curante.
Il terapeuta competente si pone come colui che mette a disposizione umilmente la sua mente come un elaboratore ausiliario della mente del paziente, senza violenza, senza imposizione. Con generosità egli offre le sue energie mentali: senza la sua attenzione e la sua fatica nulla può mai muoversi davvero. 

La verità che entrambi cercano è complessa da cogliere, è spesso mutevole e cangiante. Essa non va mai identificata con qualche verbo o dottrina psicoanalitica, pena la ricaduta in un processo artefatto, stucchevole e opprimente.

In una seduta terapeutica accadono fenomeni molto difficili da descrivere e forse perfino da comprendere fino in fondo con le categorie di pensiero che ci sono date normalmente.

I pazienti proiettano un mix di pensieri e di emozioni che il terapeuta riceve, cerca di codificare avvalendosi anche di domande di chiarimento, ed infine li restituisce sotto forma modificata, grazie al lavoro svolto dalla sua mente.
Essere competenti in materia di psicologia umana significa sapersi lasciare “usare” come uno strumento, a volte soltanto come una cassa di risonanza, altre come uno stimolo in grado di riavviare dei processi inceppati e di reinquadrare dei circoli viziosi mentali, altre ancora come mezzo per accedere a intuizioni e passi in avanti nel proprio personale, già avanzato percorso di autoconsapevolezza.

Mai un terapeuta competente si sostituisce alla mente del paziente, anche quando svolge questa funzione digestiva per lui. Egli ne rispetta sempre i meccanismi e il sapere, senza volontà di imporsi. La sua mano di meccanico della mente è gentile, anche quando effettua degli interventi di riparazione, perché ha fiducia nelle potenzialità del motore che sta maneggiando.

Ne consegue una collaborazione, un essere entrambi presi da un lavoro appassionante. Il paziente deve sentire che il suo terapeuta si diverte mentre lavora, si appassiona, è presente, naturalmente in modo garbato, non sguaiato, non euforico.

Se il terapeuta è vivo e sveglio l'altro se ne accorge e ne beneficia in molti modi; poi, trattandosi di una relazione fra esseri umani, può capitare di vedere il terapeuta stanco, meno vigile del solito, ma se sono situazioni sporadiche tutto rientra nella normalità. Non di rado è il paziente stesso a chiedere al suo analista come stia, e non solo come formula di cortesia. La gentilezza è contagiosa. 

Altra cosa fondamentale è la capacità di restare quando le cose si complicano, quando va tutto male.
Un terapeuta competente è anche qualcuno che non molla la barca se le onde cominciano a gonfiarsi.

Egli tiene sul piano emotivo nei momenti di crisi, è qualcuno con cui ci si sente al sicuro nel piangere, nel mostrare dolore e vulnerabilità. Ed è qualcuno che si sa tirare indietro, che sa serenamente "svanire" quando il suo paziente, più libero, più vivo può e vuole fare a meno di lui.

Aiuto psicoterapeutico , Guarire dai sintomi