La generazione ansiosa di Jonathan Haidt: sintomi, responsabilità e orizzonti terapeutici

Gli schermi che spengono l’infanzia: la tesi di Haidt
La “Generazione ansiosa” di Jonathan Haidt (Rizzoli 2024) è un testo che mette in correlazione il vertiginoso aumento di ansia in adolescenza e depressione fra i giovani dal 2010 in poi con un uso eccessivo di smartphone e social media (unitamente alla mancanza di gioco libero).
Il libro parla di una sorta di “riconfigurazione dell’infanzia” da reale a digitale, evidenziando lo squilibrio esistente nella vita dei bambini tra iperprotezione fisica e libertà di navigazione online. Inoltre nel testo vengono proposte soluzioni concrete per arginare il problema a livello familiare e scolastico: no smartphone prima dei 14 anni, social media dopo i 16, divieto di cellulari a scuola e più gioco non supervisionato.
Questa è l’estrema sintesi di un testo molto articolato e ricco sia sul piano delle fonti (dati sulla salute mentali basati su statistiche mondiali, studi osservazionali e sperimentali che correlano l'uso dei social media a esiti negativi sulla salute mentale) che della descrizione dei meccanismi patogeni legati all’abuso della tecnologia nei giovanissimi (privazione del sonno, frammentazione dell'attenzione, iperattività, dipendenza, solitudine, contagio sociale, confronto e ricerca di consenso).
I sintomi dell’infanzia iperconnessa: disattenzione, superficialità e ansia
Il pedagogista Seymour Papert parla di “mente cavalletta” per descrivere l'atteggiamento contemporaneo diffuso fra i giovanissimi di saltare da un'informazione a un'altra, senza soffermare l'attenzione su nulla e privandosi quindi della possibilità di fissare e approfondire i concetti.
La disattenzione si lega così alla superficialità nella conoscenza (che però inquietantemente si lega alla presunzione di conoscenza) e all’impossibilità di tollerare la frustrazione necessaria per qualsiasi apprendimento che possa dirsi tale.
L'impatto è quindi duplice, sul versante del pensiero e su quello della personalità. Tutto ciò si traduce in debolezza dell’Io, ovvero in destrutturazione della capacità di pensiero e della forza mentale, qualità indispensabili per il raggiungimento di un buon grado di autonomia, equilibrio psichico e possibilità di autorealizzazione.
I soggetti in età evolutiva che restano intrappolati nella spirale dell'uso smodato di smartphone, pc, web e social perdono non solo la capacità di concentrazione e di socializzazione, ma vanno incontro ad un vero e proprio blocco psico affettivo, con conseguenze disastrose sia per quanto riguarda la loro vita personale che per quella che sarà la società del futuro.
Un società costituita da individui passivi, che non sanno pensare con la propria testa, fragili, bisognosi di consenso e capaci solo di consumare, non può che andare verso una deriva autoritaria e involutiva sul piano della creatività.
Ma quello che stiamo vedendo oggi non è la radicalizzazione, l’esasperazione di ciò che una volta era lo “zapping” televisivo? Passività, superficialità e consumismo non erano dei flagelli già nelle infanzie degli adulti di oggi?
Responsabilità e azioni terapeutiche per le famiglie
Il libro di Haidt, dal taglio molto descrittivo, fa sorgere allora nella mente degli addetti ai lavori ulteriori interrogativi: come è stato possibile arrivare a tutto ciò? Quel è la responsabilità degli adulti e della società? Cosa possono fare le famiglie e gli addetti alla salute mentale per arginare i danni al di là dei divieti?
Queste domande non hanno la finalità di colpevolizzare o trovare soluzioni per eliminare il problema; esse si pongono l’obiettivo di aumentare consapevolezza e con essa di aiutare i genitori e gli operatori della salute mentale a promuovere lo sviluppo di risorse psichiche in questi ragazzini alla deriva.
Purtroppo ben prima del 2010, anno della diffusione di massa degli smartphone, psicologi e sociologi denunciavano il fenomeno del così detto “bambino re” o “bambino feticcio”, oggetto di esibizione e di idolatria da parte dei genitori.
Dagli anni duemila si è cominciato ad osservare tale ribaltamento dei ruoli; non più il genitore “autorevole” che educa al rispetto dell’adulto e all’osservanza delle regole del vivere familiare e sociale ma il genitore totalmente affettuoso e dedito a non frustrare il bambino, bisognoso di essere amato da lui. L’infante, elevato al rango di oggetto che catalizza tutti i bisogni frustrati dell’adulto, è stato messo sul trono.
Peccato che questo modo di procedere, questo considerare il bambino come una creatura angelica e dotata del potere di irradiare la felicità impossibile altrimenti, abbia dato il via a comportamenti dispotici e aggressivi nei bambini, rimasti senza barriere che ne limitassero gli impulsi e ne agevolassero il passaggio dal mondo dell’onnipotenza allucinatoria a quello del principio di realtà.
I bambini, non più sottoposti ad alcun tipo di castrazione, sono cresciuti come dei “barbari”, assetati di cose, incapaci di venire a patti con la realtà, inibiti nella possibilità di pensare e si soffermarsi sulle cose, incapaci di differire la benché minima gratificazione. Tutto subito, e gli adulti dietro ad accontentare e viziare sempre più.
La rinuncia al compito faticoso dell’educazione ha infatti portato ad un lassismo, ad un’assenza di presenza, riempita da tate, giocattoli e ultimamente dal famigerato smartphone, escamotage perfetto per “ipnotizzare” il piccolo tiranno, silenziarlo finalmente per un po’.
Come risvegliarsi dal mondo degli smartphone a acquisire consapevolezza
Le famiglie quindi, anche quando i sintomi della dipendenza da cellulare (con le relative crisi di astinenza) sono già conclamati non vanno molto lontano nel fossilizzarsi sulla mera contrattazione delle ore da passare davanti allo schermo. I divieti da soli non bastano, se non si accompagnano a un cambio di passo sul piano della consapevolezza.
La dipendenza non si cura soltanto con la disintossicazione, benché questa sia necessaria. I genitori, incapaci di contenere l’irritabilità del bambino privato della sua droga, finiscono per mollare il colpo, alternando inutili divieti a concessioni che hanno ormai totalmente perso il carattere di eccezionalità.
I ragazzini come i tossicodipendenti sono abili manipolatori e sanno come ottenere ciò che vogliono, il paradiso artificiale in cui prolungare all’infinito il sentimento di onnipotenza infantile.
E’ quindi urgente e necessario che i genitori alle prese con questi fenomeni nei loro figli si ingaggino in un lavoro introspettivo non facile e persino doloroso, che li porti a svegliarsi dal torpore in cui sono scivolati.
La delusione indotta dal bambino (che a conti fatti non porta felicità ma problemi) non deve portare a disinvestire la cura. Essa va reimpostata su nuove basi.
Solo se l’adulto compie uno scatto di crescita esso può parallelamente avvenire nel piccolo. Crescere vuol dire prendere atto che nessun oggetto può dare la felicità, nessun bambino e nessun gadget.
Dare l’esempio al bambino di indipendenza dall’uso scriteriato dei social network sarebbe già un bel cambiamento di passo.
L’adulto che esce finalmente dal mondo dei balocchi può diventare un sostegno solido per il figlio, non nell’accontentarlo o nel castrarlo ferocemente. Questi sono due estremi difensivi che riflettono entrambi l’incapacità di fronteggiare le difficoltà della vita.
Essere un sostegno vuol dire restare solidi nei no, essere pronti alla parola e all’ascolto ma fermi interiormente là dove il bambino soffre e si ribella. Il bambino ha bisogno di ricominciare a “sentire” che l’adulto è una persona forte, più forte di lui, ma non sul Iato dei muscoli e del potere.
Si tratta di una forza psichica che si può sviluppare facendosi aiutare in psicoterapia, con umiltà e con la voglia di svegliarsi dal confort offerto dai gadget, con il desiderio di capire che cosa siano davvero l’infanzia e la vita al di là della retorica di massa, dall’edonismo e dal narcisismo esaltato propinati ormai ovunque.
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