Depressione e tristezza
Il termine depressione spesso viene evocato in maniera impropria, per riferirsi o a banali cadute di tono dell’umore o a stati dell’animo più complessi, che comunque restano ancora sotto l’ombrello della tristezza o di sentimenti sfumatamente luttuosi.
I segni e le cause della depressione
Perché si parli di depressione devono essere presenti dei precisi indici, non episodici ma protratti nei mesi. La depressione implica un black out pressoché totale, la perdita di energie e di interessi e pensieri ricorrenti di colpa. Essi impediscono di svolgere le più banali azioni quotidiane, condannando ad una resa disperata e psichicamente annichilente.
Alle cadute depressive di tal genere si alternano momenti di pseudo normalità o di piena ripresa delle forze. Talvolta compaiono atteggiamenti di segno opposto, all’insegna della maniacalità.
Lo scivolamento nel baratro depressivo può essere lento, preceduto da prodromi riconoscibili, oppure brusco e inaspettato. Spesso esso prende lo spunto da un qualche evento o pensiero, tuttavia la sproporzione fra lo stimolo che fa da innesco e la reazione depressiva fa capire chiaramente quanto la causalità del malessere stia altrove.
La congiuntura di scatenamento riattiva sulla base di analogie anche solo esteriori il nucleo psichico patogeno originario, consistente in un insieme di vissuti traumatici risalenti tipicamente all’infanzia o alla pubertà.
Tali accadimenti, non elaborati al momento del loro verificarsi perché soverchianti la maturità psichica infantile, in assenza di un contesto di supporto o di una presenza adulta che aiuta ad integrarli e superarli almeno parzialmente, restano come incapsulati nella mente.
La psiche si trova così divisa, conservando al suo interno aree oscure, caotiche, profondamente instabili in grado in certi momenti di prendere il sopravvento e di invadere tutto il campo mentale.
Generalmente l’esperienza traumatica, episodica o come spesso accade ricorrente e protratta nel tempo in quanto legata al contesto familiare, implica la percezione di impotenza di fronte a qualcosa. Un incidente stradale, una calamità naturale, una malattia, una separazione, un genitore instabile oppure freddo e glaciale sono alcuni esempi di ciò che può far affondare nella sensazione di inermità più totale.
Trovarsi in balia di situazioni che perturbano l’equilibrio e la stabilità senza una figura adulta in grado di proteggere dal relativo senso di solitudine crea l’humus per lo sviluppo di problematiche psichiche future, in cui trova un posto rilevante la depressione clinica.
Nella depressione vera e propria tornano l’impotenza, la colpa, la percezione di schiacciamento soggettivo, l’assenza di senso e di fondamento, la mancanza di un perché, la solitudine senza rimedio, l’impossibilità di opporsi mettendo in campo delle difese che aiutano a reagire e a tenere testa alla violenza del reale.
Differenze fra depressione grave, mood luttuoso e tristezza nevrotica
Nella tristezza o durante stati emotivi luttuosi (in cui prevale un sentimento di mancanza) il senso di vuoto non è mai totale, il senso di colpa non assume i contorni della voragine che inghiotte.
Non c’è in questi casi una coincidenza con il baratro ma esso è possibile vederlo da una certa distanza, come una minaccia all’orizzonte dalla quale è ancora possibile salvarsi, sottrarsi con qualche sforzo o accorgimento. La reazione viene da lì, dal non sentirsi tutt’uno con la perdita, dal poterla comunque mettere in prospettiva.
Se da adulti è possibile reagire in tempo ragionevole alla sofferenza, anche profonda, attraverso l’azione o la parola significa che da bambini si è potuto beneficiare da qualche parte del dono della cura, di un appoggio, di un ancoraggio e dunque di un senso più o meno stabile di esistenza.
I vissuti così penosi e pervasivi della malinconia vera e propria invece durano nel tempo, la volontà sembra minata o inesistente. Spesso il grande depresso attira i rimproveri da parte di chi lo circonda perché viene preso per un pigro senza spina dorsale, un insoddisfatto cronico che non sa che cosa vuole nella vita.
Ma clinicamente è possibile distinguere una depressione grave da una legata alla dinamica di insoddisfazione. L’insoddisfatto è sì rabbuiato e inconcludente, può anche mostrare qualche comportamento apparentemente auto lesivo, ma il suo malessere non è un dolore psichico soverchiante, il suo trascinarsi è apparentato al vizio e al non volerne sapere di mettersi in gioco davvero in ciò che desidera veramente.
Non c’è rischio di passaggi all’atto suicidari nella dinamica dell’insoddisfazione, tipicamente nevrotica e dunque anche molto teatrale e finalizzata a tenere in scacco l’Altro per non assumersi la responsabilità senza garanzie di essere se stessi. Il senso di non valere niente non è autentico, perché compensato da un narcisismo sconfinato.
Il malinconico vero non cerca di manovrare l’altro, non soffre di pigrizia da eccesso di confort, non si balocca con il proprio io irrisolto, non è un malato immaginario, non dice di sentirsi una merda ma sotto sotto coltiva l’idea di essere più degli altri. Di solito è molto autentico e lucido, il marchio a fuoco che su di lui ha lasciato il reale è ben visibile ad un occhio dotato di un po’ di sensibilità clinica.
Se non è possibile allora guarire dalla malinconia grave è però fattibile, anche tramite la psicoterapia, trovare delle strategie di prevenzione e di contenimento del malessere, facendo leva sulle pulsioni di vita residue e offrendo un nuovo modello relazionale supportivo e decolpevolizzante, che nel tempo può lasciare delle tracce relativamente stabili nella psiche.