Anaffettività: sintomi e sfumature

I sintomi manifesti dell'anaffettività nella società contemporanea
Ultimamente nella nostra attività in studio noi psicoterapeuti stiamo rilevando un alto numero di problematiche psicologiche legate all’anaffettività, ovvero all’incapacità, più o meno marcata, di reperire in se stessi dei sentimenti di natura affettiva verso l’altro.
Comportamenti evitanti, rotture drastiche, depressione, empatia di superficie, asessualità o sessualità fine a se stessa, abuso di sostanze sono solo alcuni dei sintomi più evidenti di un disagio che affonda le radici nell’infanzia e che sta dilagando fra i giovanissimi.
L’anaffettività è un contenitore ampio, essa comprende situazioni di varia intensità, che vanno dalla cautela in campo sentimentale (che potenzialmente può essere quindi “sghiacciata”), alla mancanza più totale di attaccamento emotivo, pur in presenza di relazioni affettive.
L’anaffettività lieve e reversibile
La persona lievemente anaffettiva, si limita ad essere fredda e guardinga verso le persone non ancora ben conosciute, ma, pur a volte con difficoltà, si dimostra desiderosa e capace di intensificare i suoi sentimenti, soprattutto nel progredire della conoscenza.
Essa inoltre, benché intimamente sulle difensive, prova empatia per gli altri, sebbene questo suo entrare in risonanza con loro possa frequentemente accadere più con la mente che con il cuore.
I sentimenti in questo caso sono filtrati dalla razionalità, mentre le passioni sono tenute sotto controllo fino a che il controllo razionale non rilascia il semaforo verde per viverle.
In linea generale l’anaffettivo “lieve” è qualcuno desideroso di potersi abbandonare agli affetti caldi, ma si trattiene interiormente perché teme di non venire corrisposto o teme di soffrire sviluppando una tal relazione.
Egli quindi prudentemente “saggia” la relazione prima di buttarcisi a capofitto, mostrando all’altro dei comportamenti amichevoli, cordiali ma sempre un po’ venati di distacco.
La difesa dunque non è rigida ma risulta in verità molto permeabile. Inoltre è più l’altro a percepirla, perché la persona in atteggiamento di auto protezione spesso non si accorge nemmeno di dare questa impressione.
La modalità un po’ chiusa e distaccata è messa in atto inconsapevolmente; i sentimenti tuttavia nell’inconscio crescono e si sviluppano, indipendentemente dalla volontà. Questo è il motivo per cui molti anaffettivi lievi non si accorgono di provare qualcosa per qualcuno se non all’improvviso, dopo un periodo di apparente, tiepida simpatia.
Essi non di rado finiscono vittime proprio delle difese psichiche che avrebbero dovuto proteggerli; non giocando apertamente la partita del flirt, stando sempre con il freno a mano un po’ tirato, perdono occasioni importanti, perché l’altro dopo un po’ li lascia perdere, giudicandoli male, considerandoli freddi o non interessati.
I rifiuti possono bruciare sulla ferita aperta, e inasprire ancor di più la tendenza a chiudere il rubinetto dei sentimenti.
Uno sguardo attento però puó intercettare il loro meccanismo e portare a pazientare, così che l’affettività bloccata può, presto o tardi, trovare una via di espressione. Purtroppo due persone compatibili ma entrambe lievemente anaffettive possono non riconoscersi mai, se non dopo anni di fraintendimenti e ritirate.
L’anaffettività pervasiva: il tratto di narcisismo patologico
Gli anaffettivi “gravi” sono invece coloro che sembrano davvero incapaci di stabilire qualsiasi legame sentimentale profondo, anche quando si trovano effettivamente implicati in una relazione.
Essi provano simpatia o antipatia, provano emozioni, in genere basate sul rispecchiamento, ma non affetti. Essi non “sentono” di voler bene, non provano nulla, sono come anestetizzati, indifferenti all’effettivo stato emotivo dell’altro.
Questo tipo di anaffettività è francamente patologico e purtroppo si sta diffondendo molto fra i giovani, forse come esito dei cambiamenti culturali e di costume che hanno investito la generazione dei loro padri.
Le relazioni “liquide”, la promiscuità sessuale, la normalizzazione dell’abuso di sostanze, la mentalità utilitaristica dilagante e il motto “segui il tuo desiderio e vai” portano desolantemente a vivere in un mondo autoreferenziale, e a ritenere che le persone siano “intercambiabili”, ovvero tutte sostituibili al pari di “cose” inanimate. Il senso dell'umano così si riduce sensibilmente, e con esso la possibilità di accedere al campo della compassione, prerogativa dell'uomo.
L’anaffettivo puro non è tale perché teme il rifiuto. Tranne casi particolari legati a patologie psichiatriche con base genetica appurata come ad esempio la schizofrenia o il bipolarismo, in cui il ritiro affettivo è purtroppo l’esito di uno scompenso psicotico, quando l’anaffettività è così pervasiva ritroviamo una forte componente narcisistica.
Il narcisismo patologico infatti provoca un investimento delle energie psichiche sul proprio Io, a discapito della relazione con gli altri, visti per lo più come strumenti di gratificazione o come “appoggi” per restare a galla nella vita.
Il sentimento genuino e gratuito, coltivato per il puro piacere dello scambio e della condivisione del mondo interno dell'altro, semplicemente non trova spazio perché tutta la “libido” ruota attorno al proprio Ego, alle sue perentorie esigenze, alle sue necessità di conservazione e alle sue ambizioni senza fine.
Gli anaffettivi con disturbo di personalità narcisistico sono soggetti a depressione e uso di sostanze perché, essendo intimamente aridi e appagandosi solo di oggetti e non di relazioni, si annoiano di tutto e di tutti.
L’abuso di alcol o di cocaina, così diffusi, servono per “sentire qualcosa”, per dare un po’ di vita alla depressione e al vuoto che attanaglia dopo le abbuffate solitarie di oggetti.
Le cause profonde dell’anaffettività
Quasi invariabilmente nelle storie di tutti gli anaffettivi, dai lievi ai narcisisti veri e propri, troviamo separazioni coniugali segnate dalla conflittualità, oppure situazioni familiari disfunzionali caratterizzate da climi incerti e burrascosi.
Il trauma è la figura sottostante, trauma da intendersi come rottura dell’ordine e della fiducia nella stabilità del proprio ambiente di riferimento. Il bambino, a contatto con la turbolenza ripetuta e incomprensibile dell’altro, tendenzialmente reagisce chiudendosi. Se l’adulto lo delude sistematicamente egli impara a non fidarsi più e diventa guardingo.
In questo modo si spiega il primo livello di anaffettività, quella reversibile, quella che deve le sue caratteristiche alla ferita, alla necessità di auto protezione di fronte ad essa. Non volerne più sapere dopo tanto soffrire, desiderare la solitudine, la pace, la compagnia di persone tranquille e affettivamente equilibrate (che non feriscono e non mettono sotto stress) è una caratteristica tipica dell’anaffettivo recuperabile, diventato tale più per sfinimento che per altro.
Nel caso di anaffettività di stampo narcisistico invece troviamo altro. Troviamo cioè l’interiorizzazione del cinismo dell’adulto, un modellamento del carattere sulla base di quello del genitore. Il genitore frustrante, benché magari criticato, viene inconsciamente preso a modello: se tratta male mamma, se beve, se pensa solo a se stesso il suo modo di fare egoriferito viene assorbito e fatto proprio.Se poi questo genitore pensa solo ai soldi, o vive in un mondo di riscatto e di desideri illimitati di successo il figlio ne assorbirà il valore e ne porterà avanti la ricerca.
Anche la qualità della relazione viene introiettata: se i genitori si odiano fino a divenire reciprocamente indifferenti, l’indifferenza affettiva viene interiorizzata come il sentimento cardine di un rapporto umano.
Il nichilismo e la perdita di valori umani tipizzano dunque la realtà relazionale dell’anaffettivo, che può tentare di camuffarsi ai propri stessi occhi inscenando un personaggio buono e retto. Tale personaggio è destinato tuttavia a non durare nella percezione dell’altro, ma tale risveglio può avvenire a spese del partner molto in là nel tempo.
La cura dell'anaffettività in psicoterapia
Il primo tipo di anaffettività è trattabile per vie classiche, la rimemorazine e la parola terapeutica fanno miracoli in persone rinchiuse in se stesse ma desiderose di comunicare. A questo livello si tratta, tramite il transfert, di promuovere il ritorno della fiducia nelle relazioni e il recupero di una modalità relazionale più aperta e disponibile. Tutto ciò chiaramente nel rispetto dello stile personale di ognuno.
La cura del secondo tipo di anaffettività invece è sempre una sfida per i clinici, perché essa fa parte di un sistema di valori radicato nell’animo.
Il narcisista più trattabile è quello in crisi, depresso da tutto il suo avere materiale e dal deserto affettivo che si trova attorno. Egli ci lascia qualche margine di manovra, soprattutto se è disposto a guardarsi dentro spietatamente e vuole fermamente mettere in discussione una vita dominata sovente unicamente da cose e questioni materiali.
Allora si possono guardare zone remote del suo animo, rimaste fresche, intatte rispetto alla corruzione operata dall’altro e rinforzate dal contesto sociale. Accedervi grazie alla relazione terapeutica può risvegliare qualcosa dell’ordine dell’affettività, del desiderio di riparazione e del calore umano gratuito, sepolti sotto strati di siderale indifferenza.
Affrontare il senso di vuoto, Oscillazioni del tono dell'umore, Attacco al legame